Omelie 2019 di don Giorgio: SESTA DI PASQUA

26 maggio 2019: SESTA DI PASQUA
At 21,40b-22,22; Eb 7,17-26; Gv 16,12-22
Tre brani, ciascuno con uno spunto fortemente riflessivo
I tre brani della Messa ci offrono, ognuno, uno spunto per delle riflessioni che ritengo fondamentali per una fede autenticamente cristiana, per confrontarla con quel Dio o quel Cristo che, invece, è solo una “credenza” religiosa, per di più trascinata stancamente da anni, che ora non dice più nulla, o quasi, né di Dio né di Cristo, e tanto meno di quel rapporto con il mondo del Divino che, misticamente, va oltre un rapporto di esteriorità, e che dovrebbe, invece, prenderci innanzitutto nel nostro essere più profondo.
Per dirla brutalmente: ho la sensazione che il rapporto di fede del credente di oggi sia del tutto “carnale”, ovvero tra un corpo spento e una forma idolatrica di Dio, ovvero tra due alienati: da una parte il mio corpo senza spirito e, dall’altra, ciò che noi chiamiamo Dio.
Il rapporto è “carnale” nel senso che è tra due cose, un rapporto di pelle: in gioco non c’è, da una parte, lo spirito del nostro essere, e, dall’altra, lo Spirito divino. Io, come corpo, esteriorità, e Dio come ente, idolo, immagine costruita su una struttura dogmatica.
Che significa struttura dogmatica”? La religione – ogni religione: quella ebraica, quella islamica e anche quella cristiana in quanto religione cattolica – impone i suoi dogmi, e mi dice: “questo” è il vero Dio. Il “questo” è un dogma che limita l’Infinito, pone cioè Dio in schemi mortificanti, e addirittura lo falsifica.
I Mistici medievali, alla parola “Dio” (di per sé ha un significato anche interessante: significa luce, come la parola “giorno”) preferivano la parola “Divinità”, più vaga, se volete, ma meno limitativa. I grandi Mistici dicevano: il vero Dio non è né “questo” né “quello”, non è un ente: Dio non si può conoscere nella sua essenza.
Per conoscere Dio bisognerà usare il metodo del distacco: togliere via tutti i “questi” e i “quelli”, per arrivare man mano all’essenza di Dio. Ci arriveremo solo con l’unione mistica, quando cioè avremo eliminato tutti gli strati che abbiamo messo sulla Realtà divina.
Per scoprire un affresco coperto da strati di calcina, non bisogna aggiungerne altri, ma togliere, togliere finché appare l’affresco. Anche lo scultore vede già la sua opera nel marmo, ma deve togliere tutti i pezzi, per arrivare a realizzare la sua opera.
I Mistici parlavano di teologia “negativa”: è quella che toglie false immagini, mentre la teologia “positiva” è quella che aggiunge definizioni, dogmi o altro, coprendo così l’essenza divina.
Ecco, il dio delle religioni è quel Dio che è coperto da strati dogmatici che lo rendono un  altro dio. Il Dio della Mistica è il Dio nudo, senza immagini o incrostazioni dogmatiche.
E allora capite perché i Mistici hanno sempre dato fastidio ad ogni religione, che li ha condannati, proprio perché i Mistici puntavano al cuore del mondo del Divino, togliendo ogni mediazione, e, volere o no, la religione è una mediazione tra Dio e l’essere umano.
Paolo, accecato, ha visto il nulla, ovvero Dio
Primo brano. Lo spunto lo trovo quando l’apostolo Paolo ricorda la folgorazione divina,  mentre era sulla via per Damasco. Nel primo racconto, capitolo 9 degli Atti, Luca così scrive: «Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla» (9,8). Sulle parole “non vedeva nulla”, Meister Eckhart ci dà una delle più strabilianti interpretazioni.
Scrive in una delle sue famose omelie: «… Paolo vide il nulla, e quello era Dio… Dio è un super-essere, una super-vita, una super-luce… Quando l’anima giunge all’Uno, e vi penetra con un puro rigetto di se stessa, trova Dio come un nulla».
Eckhart aggiunge: «Quando (Paolo) vide il nulla, vide Dio. La luce che è Dio si effonde e oscura ogni altra luce. Nella luce in cui Paolo ebbe la sua visione, vide Dio e niente altro».
Secondo l’ordine di Melchisedek
Secondo brano. Lo spunto sono le parole: “Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek”.
A parte il fatto che nessuno dei quattro evangelisti presenta Gesù nelle vesti di un sacerdote: era un laico: proprio uno di noi, del popolo. Neppure si dice che fosse uno scriba o un fariseo: ovvero, non era neppure un teologo! Viene chiamato solo “maestro”, “rabbì”. E Cristo dice ai suoi discepoli: «E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo» (Mt 23,10).
L’autore della Lettera agli ebrei parla di un sacerdozio universale, a cui appartengono tutti gli esseri umani, dunque anche Cristo. Questo sacerdozio non ha nulla a che fare con il sacerdozio levitico. Cristo è sacerdote, ma secondo l’ordine di Melchisedek.
Chi era Melchisedek? Dice l’autore della Genesi: era un pagano, “sacerdote del Dio altissimo”, che benedice Abramo, di ritorno dopo una campagna militare. L’autore della Lettera agli ebrei commenta: «egli (Melchisedek), senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre» (7,3). Non dimentichiamo che, quando un prete celebra la sua prima Messa, il coro parrocchiale esegue il canto: ““Tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem  Melchisedek”. Non c’è bisogno di tradurre, e di aggiungere altro.
“Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità…”
Terzo brano. Gesù dice: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità…” .Poco prima aveva detto (16,7): «… è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò».
Parole chiarissime: prima il Gesù di Nazaret, il Cristo storico, se ne deve andare, deve scomparire, solo così potrà inviare lo Spirito santo. L’ultimo respiro del Cristo storico sulla croce è il dono dello Spirito santo. Altrimenti, Gesù è chiaro: con il Cristo storico avremo solo una parte della verità. “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità…”.
Sinteticamente possiamo dire. Non dobbiamo rifiutare il Gesù di Nazaret, ma non basta. C’è una prima fede ingenua, esteriore, “storica”, che non riesce però a comprendere il legame mistico tra finito e infinito, e si esprime in modo antropomorfico, rappresentativo. Ma questa prima ingenua fede è occasione del nascere in noi di una seconda fede, interiore, spirituale, che “toglie” la precedente, ma anche la rende vera. Perché nasca questa vera fede, occorre che scompaia Gesù come individuo, come persona singolare, in conformità al testo evangelico più amato da Eckhart: “È bene che io me ne vada…” (Gv 16,7).

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