Omelie 2022 di don Giorgio: TERZA DOPO PENTECOSTE

26 giugno 2022: TERZA DOPO PENTECOSTE
Gen 3,1-20; Rm 5,18-21; Mt 1,20b-24b
Ogniqualvolta la liturgia della Chiesa ci presenta da leggere e da meditare un brano come il primo della Messa di oggi, subito noi preti quasi ci scusiamo dicendo che è impossibile dare una spiegazione di una pagina che richiederebbe ben più di una lezione di esperti esegeti. E, anche allora, non saremmo del tutto soddisfatti, visto che anche gli esegeti più esperti non concordano nel darci una spiegazione convincente.
Anche se le omelie non dovrebbero mai fare a meno di qualche annotazione esegetica, tuttavia, anche per il breve tempo (dieci minuti o poco più), non devono essere lezioni riservate a esperti, ma uno stimolo per tutti perché si rifletta sulla parola di Dio, così come lo Spirito suscita nei propri cuori.
Non do la colpa ai liturgisti quando scelgono certi brani, casomai a noi preti che non sappiamo cogliere in qualsiasi brano della Bibbia che venga proposto qualche stimolo, qualche indicazione, ma sempre in funzione di quel mondo interiore, là dove Dio abita in quanto Spirito.
Anche il primo brano di oggi ci offre numerosi spunti di riflessione, tanto più che oramai tutti gli esegeti, tranne alcuni fondamentalisti, concordano nel dire che si tratta di un mito, perciò da non prendere alla lettera. Lo stesso Platone diceva che i miti servono, anzi sono necessari, quando la ragione umana non arriva a capire certi misteri. Il mito con le sue simbologie ci può aiutare a cogliere qualche idea ulteriore. Soprattutto gli antichi ricorrevano ai miti per tentare di spiegare qualcosa ad esempio del mistero della presenza del male nel mondo. Pensate al popolo ebraico che, uscito dalla schiavitù egiziana (anche questa un male da spiegare) ha dovuto poi affrontare sofferenze di ogni tipo per raggiungere la cosiddetta Terra promessa: una terra che, conquistata con spargimento di sangue, non ha poi dato quella gioia, espressa in quelle parole “dove scorre latte e miele”.
Altro sangue, altre lotte, altri tradimenti, altri castighi (pensate all’esilio babilonese). Come non porre la domanda: se questo è il Dio che promette e promette, come mai allora il male non scompare, anzi sembra accompagnare ogni passo di un popolo, la cui elezione avrebbe dovuto garantirgli almeno qualche momento di felicità già su questa terra?
Ed ecco il mito del peccato originale. Il male c’è, perché i progenitori hanno disobbedito a Dio. Se lo leggiamo attentamente, il mito del peccato originale apre alla speranza, almeno offre qualche spiraglio di luce sul futuro dell’umanità.
Anche a proposito della promessa del Redentore (anche qui sempre promesse!), un flash del mito, ora ci chiediamo se con la venuta del Messia il male sia del tutto scomparso.
No, non è del tutto scomparso. Anzi! Pensiamo ai secoli passati, e al presente: ne è prova ancora una guerra che sta sovvertendo l’ordine di un Creato che all’inizio aveva fatto esclamare all’autore sacro: “Dio vide che era cosa buona!”.
Il male c’è ancora, e la domanda si rinnova: come mai, da dove proviene, perché?
C’è un particolare nel racconto mitico della Genesi, ed è quando l’autore sacro, dopo aver messo in evidenza la confusione di Adamo e di Eva per aver commesso il peccato di disobbedienza, dice: “Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”».
Ecco, il Signore torna nel giardino alla brezza del giorno. Soffermiamoci per un momento sulle parole: “brezza” e “giorno”, due parole che aprono cieli cupi.
La “brezza” richiama quell’espressione, difficile da tradurre, quando Dio passa davanti a Elia sul Monte Oreb, e l’autore sacro annota: Dio era presente in quella “brezza”.
Una brezza di assoluta leggerezza, quasi impercettibile, proprio perché Dio è Spirito, e lo Spirito è leggerissimo, semplicissimo, essenziale.
È vero che Adamo e Eva, scrive l’autore sacro, sentono il “rumore dei passi del Signore” che passeggia nel giardino. Passi che incutono paura, tanto che i progenitori si nascondono tra gli alberi. Talora, in certi casi, il Signore fa sentire i suoi passi, quando l’uomo è stordito dal suo peccato. O, meglio, è la nostra paura di Dio che fa sentire i passi di un Dio sempre pronto a giudicarci. La paura fa sentire i passi del Signore.
Eppure è “giorno”: ecco la seconda parola ”alla brezza del giorno”.
Giorno, o luce che Dio aveva creato per primo: prima che creasse tutto il resto, anche l’essere umano. Prima dell’essere umano, c’era già la luce, e nella luce tutto è chiaro, tutto è giorno.
Il Mistero della Santissima Trinità che cos’è se non pienezza di quella Luce che illumina ogni realtà? Dire Mistero è dire Pienezza di Luce, così sovrabbondante, così splendente che noi, creature, non riusciamo a sopportare, perché i nostri occhi si accecherebbero.
“Giorno”, ed ecco già l’apertura dei cieli bui, e il Signore passeggia nel giardino, sfidando l’essere umano che si nasconde.
Sempre mi ha colpito quella apparente strana domanda del Signore, rivolta all’uomo, da intendere non solo come Adamo, ma anche come Eva: “Dove sei?”.
Questa domanda io me l’immagino come una eco che non cessa di ripetersi lungo i millenni della storia umana. “Uomo, maschio e femmina, dove sei?”.
E noi, spudoratamente, poniamo la stessa domanda, ma a Dio, come se Dio al sentire i nostri passi si nascondesse tra gli alberi di chissà quale bosco. Succede un terremoto, e accusiamo: “Dio dov’eri?”. La stessa domanda quanti l’hanno posta con rabbia a Dio, durante la seconda guerra mondiale, e magari la poniamo ancora oggi per la guerra scatenata dal criminale Putin invadendo l’Ucraina.
“Dio dove sei?”. Ma Dio, come rivolgendosi di nuovo a Adamo e a Eva, chiederebbe anche a noi moderni: “Uomo dov’eri?”, “Tu, uomo o donna, dove sei?”.
Ne combiniamo di tutti i colori, compiendo qualsiasi bestialità, e poi accusiamo Dio dicendogli: “Tu, dov’eri? Dove sei?”.
Sapete che cosa manca a noi, creature di Dio? L’umiltà, o il coraggio di riconoscere i propri errori. Ci è comodo accusare Dio, prendendolo come un capro espiatorio su cui scaricare tutte le nostre colpe.
Questa società non potrà mai convertirsi, se continuerà a scaricare le proprie colpe sugli altri. Siamo stati educati male, fin da quando eravamo piccoli. Siamo cresciuti colpevolizzando sempre gli altri.

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