Omelie 2015 di don Giorgio: Nona dopo Pentecoste

26 luglio 2015: Nona dopo Pentecoste
2Sam 6,12b-22; 1Cor 1,25-31; Mc 8,34-38
Ciò che unisce i primi due brani della Messa è, da una parte, l’atteggiamento di umiliazione del re Davide che, davanti all’Arca dell’Alleanza, si è spogliato, danzando e cantando, in mezzo al suo popolo, tanto da essere duramente rimproverato dalla prima moglie, Mical, figlia di Saul; e, dall’altra parte, le parole di San Paolo, nella prima Lettera ai cristiani di Corinto: «Quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio».  Il brano del Vangelo va ben oltre: Gesù invita a rinnegare se stessi, parole che vanno intese in tutta la loro radicalità.
Davide: figura complessa e santo discutibile
Dal primo brano la figura di Davide esce bene: un re devoto, tanto religioso da farsi disprezzare perfino dalla moglie, per essersi spogliato davanti all’Arca del Signore. Spesso sentiamo parlare di Davide come se fosse un santo: il santo re Davide. E la tradizione biblica attribuisce a Davide la paternità di tutto il Salterio: 150 composizioni, considerate dagli ebrei la preghiere per eccellenza. In realtà, la composizione dei Salmi abbraccia un lungo periodo, che va dall’epoca di Davide (XI sec. a.C.) fino al IV sec. a.C.
La figura di Davide è molto complessa e la sua santità è molto discutibile. È stata mitizzata per dare più prestigio alla storia del popolo ebraico. Le stesse manchevolezze (pensate all’episodio di Betsabea, già sposata, di cui il re s’invaghisce: per poterla sposare, fa uccidere il marito mandandolo in prima fila in battaglia) sono diventate l’esempio di pentimento da seguire. Il Salmo 50 che cos’è? Pur inserendo il personaggio nel suo periodo storico, quando andare in battaglia e uccidere era come soffiarsi il naso, oggi non riusciremmo mai ad accettare una santità grondante sangue.
Tuttavia, il gesto del re Davide, preso in sé, potrebbe anche insegnarci qualcosa. Di fronte a Dio, i nostri paludamenti, di qualsiasi tipo, cadono: ci sentiamo tutti nudi. Ed è così che, poveri o ricchi, siamo tutti uguali. Ciò che ci distingue è un vestito, o un onore, o una carica, o un titolo, o un gruzzolo di soldi. L’essere non ha gradini su cui salire per arrivare chissà dove. Torneremo, commentando il Vangelo di oggi.
Dio sceglie ciò che è debole per confondere i forti
San Paolo, nella prima Lettera ai cristiani di Corinto, insiste sulla distinzione tra la sapienza di Dio e la sapienza umana. L’Apostolo usa parole forti: stoltezza, follia, scandalo, che sarebbero le qualità specifiche di Dio e di ciò che lo riguarda, in particolare il Figlio che si è incarnato, incarnando proprio la follia di Dio, scandalizzando tutti per il suo messaggio provocatorio e per la sua vita donata sulla Croce.
La follia di Dio consiste in particolare nello scegliere gli scarti per dare voce alla sua voce. La storia biblica è tutta una testimonianza di questo stile di Dio e, nello stesso tempo, sembra quasi che, quando lo scarto da lui scelto perde la testa (vedi il caso di Davide), Dio si diverta a farlo cadere dal trono del suo orgoglio. Dio rispetta la libertà, certo, ma, nello stesso tempo, rispetta il suo criterio.
Non solo la storia biblica, ma anche la storia della Chiesa è una storia complessa di scelte di Dio e di stravolgimenti umani. Anche qui, “ciò che è debole per il mondo” scelto da Dio “per confondere i forti”, è sempre soggetto alla tentazione di farsi forte, appena raggiunge una certa carica. E Dio non perdona: non perdona i forti, nel senso che non li sceglie escludendoli dai suoi piani, ma non perdona neppure colui che sceglie perché debole, appena costui tradisce la sua debolezza, entrando nella categoria dei forti o dei potenti.
Se consideriamo i due millenni di storia della Chiesa-istituzione, proviamo a chiederci: quante volte Dio ha dovuto cambiare i suoi piani, contrapponendo ad una gerarchia forte una elite di profeti, insofferenti di ogni potere? Ancora oggi, la Chiesa che cos’è? Pensate soltanto alla sua struttura organizzativa: un insieme di potenti mezzi che possono gareggiare con gli strumenti di qualsiasi altro ente pubblico o privato. La Chiesa è una mastodontica istituzione che non soffre mai la crisi economica, e che sembra avere una energia imprevedibile. Ma è questo che vuole Dio? è questo che voleva Gesù Cristo?
Ha scelto come apostoli umili pescatori, duri di cervice, pronti anche a tradirlo (vedi Giuda e Pietro), e poi che cosa è successo? Eppure, nonostante tutto questo, Dio sfida il mondo e perfino la sua Chiesa potente, scegliendo i più deboli per realizzare i suoi piani.
Spirito, anima e corpo
Il brano del Vangelo riporta alcune affermazioni “paradossali” di Cristo. In realtà, tutto in Cristo è paradossale. La stessa persona di Cristo è paradossale. Paradosso è qualcosa che esce dalla logica comune. Noi abbiamo una logica direi matematica: due più due fa quattro. Ma per il Signore due più due non fa necessariamente quattro. C’è sempre qualcosa che scombussola qualsiasi logica. Quando leggiamo i Vangeli, ci accorgiamo che qualcosa non rientra nel nostro modo di pensare. Cristo ci sconvolge sempre. Purtroppo è successo, e succede ancora oggi, che i credenti hanno cercato di far rientrare Cristo nella propria logica, anche semplicemente traducendo male una parola. Basta cambiare il suo significato originale, ed ecco: tutto diventa chiaro, cioè logico, cioè umano. E il paradosso è sciolto.
Ci sono parole nel Vangelo di oggi che andrebbero spiegate. Cristo parla di rinnegamento, di rinnegare se stesso, di salvare la propria vita, di perdere la propria vita. Che senso dare alla parola “rinnegamento”, alla parola “se stesso”, alla parola “vita”?
Ed ecco il paradosso: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». A rendere maggiormente incomprensibile questa espressione di Gesù, è anche la parola “vita”, il cui termine originale greco è “psyché”. È nato così un grosso equivoco, come un invito a rinnegare la vita terrena con tutti i suoi beni e vantaggi per “guadagnare” la vita eterna nell’aldilà.
Per capire il senso originale del pensiero di Gesù, bisognerebbe allargare il discorso, e distinguere, come fa del resto la Bibbia, in particolare San Paolo, ma soprattutto i mistici, tra: spirito, anima e corpo. Brevemente: lo spirito è la realtà più profonda dell’essere umano, è l’essere umano nel suo contatto con l’infinito; l’anima, invece, dirige le facoltà dell’essere umano in questa vita terrena, e può anche dirigerle contro lo spirito; il corpo tutti sappiamo che cos’è. In questa vita terrena, ciò che Gesù ci invita a fare è lasciarci guidare dallo spirito, a partire dall’anima che non può fare da sé, agire autonomamente. Rinnegare, allora, significa, togliere tutto ciò che l’anima mette come ostacolo allo spirito. Per anima s’intende, ad esempio, la volontà, l’intelligenza, ecc. Il nostro impegno o ascesi sta nel liberare lo spirito dai pesi o dagli ostacoli che gli impediscono di agire liberamente. Ecco in che cosa consiste rinnegare, perdere. Non si tratta tanto o solo di punire il proprio corpo, di agire all’esterno di noi. È l’anima, la quale dirige il corpo, ad dover essere purificata. Ecco perché i mistici parlano di via negativa. Negare significa togliere tutto ciò che finisce per coprire il nostro vero mondo interiore, quello dove risiede lo spirito, nella sua nudità e nella sua libertà.
Sono concetti che andrebbero approfonditi, perché qui è in gioco l’essere umano. Anche la religione, soprattutto la religione, ha contribuito a confondere le cose. Non parliamo, poi, della mondo sociale e politico, dove anche i termini più nobili, quali libertà, giustizia, verità hanno subito preso un’altra strada, portandoci ben lontano dalla dignità del nostro essere umano, nella sua realtà più interiore.

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