Quando ho letto questa notizia, mi son detto (lo posso dire?): “Sono proprio uno sfigato…”. Anche io sono stato querelato da Matteo Salvini, e sono stato penalmente e duramente condannato.
Uno dei pochi che abbiano perso? Forse avrei dovuto ammazzarlo, e forse starei stato assolto.
No, sono stato condannato, perché ho scritto e detto che il capo leghista Salvini Matteo è semplicemente “un pezzo di merda”, il minimo consentitomi in qualità di ministro di quel Cristo che aveva definito gli scribi e i farisei: “ipocriti”, “guide cieche”, “sepolcri imbiancati”, “serpenti”, “razza di vipere”, “uccisori dei profeti “, ecc. ecc. Se non mi credete, andate a leggere la pagina del Vangelo di Matteo (capitolo 23).
Quanto vorrei che nel prossimo processo venisse condannato e mandato in galera magari solo per una decina di anni. Anche qualcuno in più.
Verdetta? Pensatela come volete.
Non è una questione personale, come non è personale il mio odio contro l’uomo “politico”.
In ogni caso, “pezzo di merda” rimane, sia che io trovi qualche giudice che mi dia ragione, oppure qualche giudice “cagasotto” che mi condanni perché pensa alla carriera.
Comunque, nessuna condanna riuscirà a farmi tacere.
E non sopporto che ci siano coglioni, teste di cazzo, anche essi pezzi di merda o ancor peggio, che attualmente mi giudicano un “venduto” solo perché sono realista: non ho la testa fasciata da comunista rimbandito, fannullone, parolaio, che vive di cadaveri sepolti e putrefatti.
Vivo il presente, uso gli occhi della mia coscienza e, in qualità di spirito libero, sganciato da ogni partito politico e da faziosità religiosa, so distinguere ciò che è giusto da ciò che non è giusto.
Coglioni, teste di cazzo, non mi sono mai venduto a nessuno!
Infine, state pur certi: sul “politico” Matteo Salvini non cambierò mai idea, a meno che quel topo da fogna non torni nella fogna da cui è venuto fuori.
Quella è la sua casa, e quella sarà la sua tomba!
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da L’Espresso
25 AGOSTO 2021
LIBERTÀ DI STAMPA
Matteo Salvini perde un’altra querela
contro l’Espresso
di Adriano Botta
Il leader della Lega aveva denunciato il giornalista Mauro Munafò per un articolo che analizzava il linguaggio ambiguo dei suoi messaggi in seguito a un omicidio a sfondo razzista. Ma i giudici gli danno torto e confermano la validità del nostro lavoro
Ci risiamo. Matteo Salvini fa causa all’Espresso e, come al solito, la perde. Al lungo elenco di iniziative legali avviate dal leader leghista, e miseramente naufragate, oggi se ne aggiunge un’altra.
Nel 2016 Mauro Munafò, in un post sul suo blog, commentava gli ambigui messaggi prodotti da Salvini in seguito alla morte di Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano di 36 anni ammazzato di botte da Amedeo Mancini, ultrà della Fermana, per aver difeso la sua compagna da alcuni insulti razzisti.
Poche ore dopo, come era già sua abitudine su tutti i casi di cronaca, Salvini decise di commentare sui social l’evento condannando il gesto ma addossando anche parte della colpa alla vittima.
«Chi uccide, stupra o aggredisce un altro essere umano va punito. Punto. A prescindere dal colore della pelle. Sei bianco, sei nero, sei rosa e ammazzi qualcuno senza motivo? – scriveva Salvini – In galera, la violenza non ha giustificazione. Il ragazzo nigeriano a Fermo non doveva morire, una preghiera per lui. È sempre più evidente che l’immigrazione clandestina fuori controllo, anzi l’invasione organizzata, non porterà nulla di buono. Controlli, limiti, rispetto, regole e pene certe: chiediamo troppo?».
Una uscita che il post di Munafò analizzava nel dettaglio per mostrare i costrutti retorici tipici della comunicazione salviniana, che tanti successi elettorali e social gli hanno garantito. Il titolo del post è quello che più di tutti fece infuriare il leghista: “Per Matteo Salvini se sei nero e ti ammazzano è un po’ colpa tua”.
«[Salvini] tira fuori una dichiarazione semplicemente oscena – scriveva Munafò nel 2016 – costruita con una struttura retorica ben nota. Che punta a colpevolizzare in maniera indiretta e subdola la vittima. Prima ti riscalda segnalando che non importa il colore della pelle (bravo), che chi sbaglia deve pagare (giusto). Poi ti spara il classico “ma”, in cui ti ricorda che se Emmanuel non fosse venuto in Italia allora sarebbe ancora vivo. Di più, ti appiccica l’etichetta di immigrato clandestino, anzi di invasore, glissando su piccoli dettagli irrilevanti quali la tua storia personale che parla di una fuga da Boko Haram e di figli ammazzati».
Per la cronaca, nel 2017 la vicenda giudiziaria intorno all’omicidio di Namdi si chiude con la condanna di Mancini a quattro anni di domiciliari per omicidio preterintenzionale con l’aggravante razziale.
La giustizia fa il suo corso: il pm nel 2020 chiede l’archiviazione ma il leghista si oppone e, nei giorni scorsi, il Gip accogliendo la tesi degli avvocati difensori Paolo Mazzà e Clara Gabrielli conferma e chiude definitivamente la vicenda, dando sostanzialmente ragione all’Espresso.
«La plausibilità logica dei suddetti approcci interpretativi, radicalmente tra loro divergenti per contenuti e finalità di lettura mediatica – si legge nell’ordinanza – discende proprio dall’ambivalenza espressiva del testo del post Fàcebook [di Salvini ndr] e dall’assenza di un inequivoco raccordo logico tra l’espressione di cordoglio, apprezzata dall’indagato come farisaica, ed il messaggio politico. Di tale equivocità lessicale non può certamente rispondere il giornalista’, avendo costui non incongruamente interpretato il messaggio e non avendone dolosamente alterato il senso. Da ciò discende che la condotta dell’autore dello scritto censurato deve ritenersi scriminata dalla esimente del legittimo esercizio del diritto di critica, tenuto conto della dimensione pubblica del destinatario (e della maggiore tolleranza accettata con riguardo alla critica investente l’ambito politico), del rispetto del limite della continenza espositiva e della sicura rilevanza mediatica della tematica trattata».
Il leader leghista, impegnato in questi mesi nel sostenere un referendum per migliorare la giustizia italiana, ha insomma per 5 anni ingolfato la stessa con una querela incongrua.
Le strategie comunicative di Salvini negli anni non sono cambiate e questa ordinanza arriva un mese dopo delle sue dichiarazioni dedicate a un altro caso, la morte a Voghera del 39enne marocchino Youns El Boussettaoui in seguito a un colpo di pistola sparato dall’assessore leghista alla sicurezza Massimo Adriatici (al momento ai domiciliari per eccesso colposo di legittima difesa).
Anche in questo caso Salvini prova a scaricare le colpe sulla vittima, segnalando i suoi precedenti penali e assolvendo di fatto il collega di partito. «È stata legittima difesa – ha commentato Matteo Salvini – È partito un colpo che purtroppo ha ucciso un cittadino straniero che, secondo quanto trapela, è già noto in città e alle forze dell’ordine per violenze, aggressioni, addirittura atti osceni in luogo pubblico».
Oggi come nel 2016 per il leghista, insomma, la colpa è sempre un po’ di quello che muore.
Seguo da parecchio tempo i commenti di Don Giorgio e pur a volte arditi mi piaccio assai trovandoli sempre al momento giusto ed appropriati. Nel caso della condanna nei suoi confronti vorrei essergli solidale e di conforto.
Eccellente il commento della signora Martina.
Penso che la sentenza di condanna fatta da una giudice monocratica nei confronti di don Giorgio sia più il frutto di una “giustizia ingiusta” che di una “giustizia disgraziata”. Mi spiego. La giudice è alle dipendenze del Ministero di Giustizia dove non c’è più il termine Grazia come era. Ci sono sentenze nella quale la bilancia deve pendere più sulla Grazia come nel caso di don Giorgio con Salvini che sulla Giustizia come nel caso di Salvini con l’Espresso. L’arbitrio nelle mani di una giudice (volontà unica penso significhi monocratico) assomiglia a quello dell’arbitrio del podestà del tempo del fascio. Ho il ricordo di mia nonna “costretta” a fare 2 km a piedi per porgere le scuse al signorotto locale (Salvini del tempo) per mancata riverenza da parte di mia mamma. Oggi la cosa sembra ridicola, ma non tanto guardando a quello che è successo a don Giorgio. Usare l’etica a vantaggio di un maiale è come dare la perla evangelica ad un porco. Ritengo Salvini un pallone gonfiato che per sgonfiarlo non serve l’indice del dito che lo solleva più in alto, ma una punta di spillo che lo sgonfi e lo faccia cadere in basso e poter cantare col Sommo Dante: “E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parëa s’era laico o cherco.”
Il ragionamento non mi pare che fili molto, e mi sembra che complichi le cose, già complesse. Lasciamo stare poi la nonna.
Solitamente durante i miei tre processi (due penali e uno civile) non seguo mai i ragionamenti dei miei avvocati. Quando mi lasciano la parola, cerco di far capire in modo semplice, quasi infantile, che a proposito della libertà di opinione, che in Italia è lasciata all’ultimo posto nella graduatoria con le altre nazioni, bisogna distinguere la persona in quanto tale dal ruolo che ricopre. Salvini ad esempio non l’ho mai giudicato come persona, ma sempre nel suo ruolo politico. Sul ruolo politico posso dire ciò che penso, in America e in Francia ad esempio succede così. L’attore De Niro ha detto maiale, porco, ecc. ecc a Trump, e non è successo nulla. Lo ha giudicato come Presidente della repubblica, nel suo ruolo, e ciò deve essere lecito. Un conto, comunque, è un giudizio politico, un conto sono i fatti: non posso dire liberamente che uno ha rubato o è un pedofilo, se non porto delle prove.
Ho sempre invocato la libertà di pensiero o di opinione, senza confondere il pensiero con i fatti.
L’Italia sta ricevendo condanne da Stranburgo per non rispettare la libertà di pensiero o di opinione.
Dovrei andare a Strasburgo, e chi mi paga tutte le spese? Ho già ricorso al tribunale di Milano, e ho pagato perché anche lì mi hanno confermato la condanna.
Le tre condanne mi sono costate e mi costano (le pago a rate) migliaia e migliaia di euro.
E non ditemi che me le cerco, perché vi mando tutti a quel paese.
Uno sfogo durissimo ma che, penso sia lecito, visto l’andare dei fatti. Che il capo leghista, Matteo Salvini, perda le querele è buona cosa ma stride la tua condanna.
Che siano le parolacce? Benissimo, ma questo non è mica ciò che sentiamo nella quotidianità? Non è la lingua del volgo? Eppure, tu don Giorgio, non ne dici se non quando vedi e dici il vero. Questo è un Paese che si scandalizza per una parolaccia ma non per 100 morti in mare…un Paese, il nostro, che gira al contrario in tutto ed è tra i più corrotti. Cosa vogliamo aspettarci? In altri paesi la figura di un Matteo Salvini neanche esisterebbe! Ce lo ritroviamo noi perché siamo noi che gli diamo spazio e potere.
Tutti poi si dileguano e di fronte a tante parolacce scappano.
Trovo invece lo sfogo di una persona VERA che lotta e ha sempre lottato senza mai vendersi a e per nessuno.
Sempre tutta la mia stima.