26 settembre 2021: QUARTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
1Re 19,4-8; 1Cor 11,23-26; Gv 6,41-51
Mi soffermo sul terzo brano
La Messa ci offre tre brani tutti interessanti, tuttavia anche per questione di tempo mi soffermerò sul terzo, tolto dal Vangelo secondo Giovanni.
Premetto subito che il quarto Vangelo è l’unico, a differenza dei tre sinottici (Marco, Matteo e Luca), a rileggere il miracolo della moltiplicazione dei pani al di là della sua carnalità, ovvero al di là del racconto in sé come evento. C’è un evento: Gesù ha moltiplicato pani e pesci, ma, ecco la domanda: come interpretarlo, se è vero che per Giovanni ogni miracolo è un “segno” che rivela qualcosa di misterioso?
Chiariamo: non è che Marco, Matteo e Luca riportino semplicemente i fatti, anche per loro nessun miracolo è un puro racconto, tuttavia Giovanni rilegge i fatti in un modo ancor più approfondito: l’esempio classico è il racconto del cieco nato.
Nel quarto Vangelo il miracolo della moltiplicazione dei pani ha un suo più ampio contesto, che si conclude con il famoso discorso sul pane della vita. Anzitutto, Gesù attira così tanta gente che ovunque va non trova un momento di respiro. Forse i Vangeli esagerano, per far capire poi la grande solitudine di Cristo in cui si troverà, abbandonato dalla stessa folla a cui aveva rivolto non solo parole di conforto, ma gesti di misericordia e di perdono.
Fa riflettere il drammatico contrasto tra gli entusiasmi degli inizi del suo ministero pubblico e l’abbandono della folla al termine, quando Gesù resterà solo fino alla morte in croce. Ed è proprio il quarto Vangelo che lo evidenzia, spiegandone i motivi, e il motivo era uno solo: quando Gesù parlava di un regno interiore, in cui scompare la carnalità per fare posto allo spirito, allora la gente inizia ad abbandonarlo, a partire dai suoi discepoli, perché, ecco la ragione che Giovanni annota: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”.
“Questa parola è dura!”. Ovvero, è incomprensibile, non rientra nella nostra logica, secondo cui il benefattore è chi si preoccupa della carnalità: il nostro ventre.
Gesù non si era illuso, come se quella gente lo seguisse perché aveva fame di una parola, quella di Dio, che nutre lo spirito. E così provocava la folla: moltiplicava il pane, per poi portarla su un altro piano, quello di un pane del tutto speciale, il pane della Vita. Forse Gesù intendeva soprattutto questo Pane da chiedere nel Padre nostro: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Sull’aggettivo “quotidiano” ci sono divergenze di interpretazioni tra gli esegeti. Io prediligo l’interpretazione di San Gerolamo, che traduce il greco “epiùsion” con il latino “supersubstantialis”, ovvero soprannaturale.
Da notare poi ciò che scrive l’evangelista Marco: “Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (6,34). Si parla di pastore e non di taumaturgo o illusionista o stregone o mago o populista. Forse dovremmo ricuperare il vero senso della parola “pastore”, ed è sempre Giovanni che ce la spiega con le stesse parole di Gesù: “Io sono il buon pastore che dà la propria vita per le pecore”.
E c’è anche il verbo greco, tradotto in italiano con “ebbe compassione”, che letteralmente indica il movimento interiore delle viscere. Gesù ebbe compassione intima, profonda, viscerale. Si potrebbe pensare al movimento uterino della misericordia di una madre.
Notiamo un’altra cosa, che ritengo interessante.
Il miracolo della moltiplicazione dei pani avviene in un luogo deserto, e si conclude nella sinagoga di Cafanao, dove Gesù pronuncia il famoso discorso sul Pane della vita.
Dunque, deserto e sinagoga. Come dire oggi: deserto e chiesa, deserto e religione.
Per un ebreo il deserto richiamava le origini, quando c’erano solo le acque, prima di essere fecondate dallo Spirito di vita. Il deserto diventerà il luogo dell’appuntamento di Dio con la sua creatura, purificata e fecondata dallo Spirito divino.
I profeti Geremia e Osea ricordano il deserto come il luogo dove si era consumato il tradimento idolatrico del vitello d’oro. Ma Dio non si era rassegnato e aveva voluto trasformare quel luogo solitario nella sede dell’intimità, in cui svelare di nuovo al popolo ebraico la sua parola e condurlo con amore verso la meta della libertà.
E sempre il Signore penserà con nostalgia a questo “ritorno” di Israele a lui, come egli stesso confessa: «Mi ricordo con intensità della fedeltà amorosa della tua giovinezza, dell’amore del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata» (Geremia 2, 2).
Deserto, ovvero distacco da tutto per l’incontro con il Distacco per eccellenza, ovvero con quella Divinità, spoglia di ogni nostra immaginazione. Nel deserto siamo ciò che siamo, e Dio è ciò che è, in una nudità assoluta, ovvero sciolta da ogni rivestimento mentale o strutturale.
Nel deserto si sente solo il bisogno di una Parola che nutre lo Spirito. E allora non è una provocazione che Cristo abbia compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani proprio in un deserto, lui che aveva risposto al diavolo che lo aveva invitato a trasformare i sassi in pane: “ Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”?
E non è ancora una provocazione che Cristo abbia scelto la sinagoga per tenere quel discorso sul pane della vita che ha scandalizzato, come abbiamo visto, gli stessi discepoli tanto da abbandonare il Maestro?
Che cos’era per un ebreo la sinagoga? Era un luogo religioso, dove si era perso ogni senso del Divino. Ecco perché Cristo sceglie la sinagoga, proprio per purificarla, ma sarà un’utopia, poiché Cristo sarà costretto a eliminare in radice la religione, dando inizio a quel Cristianesimo, caduto subito nelle braccia di una chiesa istituzione che farà dello Spirito un qualcosa di proibito, per dare visibilità al “grosso animale”.
Cristo risorto vorrebbe ancora parlarci di un cibo del tutto spirituale, ma nessuno lo ascolta, neppure la sua Chiesa e tanto meno i credenti.
Tu parli di spirito, e la massa parla di ventre. Tu parli di pane, e subito la gente pensa a quello materiale.
E c’è ancora la stessa reazione dei discepoli di Gesù: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. E tutti se ne vanno a brucare erba secca.
Come non riflettere sulle parole di Cristo nei riguardi della folla che lo cerca: ”Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”.
Ecco, dobbiamo sempre conservare una fessura, e una fame: la fame del vero pane che nutre il nostro spirito.
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