da www.huffingtonpost.it
25 Ottobre 2024
Suor Maya, dal confine libanese:
“Bombardano, ma restiamo:
se chiude la scuola è la fine per questa terra”
di Marco Lupis
Parla con Huffpost la religiosa del villaggio cristiano Ain-Ebel sulla Linea Blu, preso nel mezzo tra i bombardamenti di Israele e i missili di Hezbollah: “A sud del Litani non c’è più niente. Abbiamo bisogno di tutto, ormai non arrivano più neanche i convogli da Beirut”
BEIRUT – Nella videochiamata da Beirut suor Maya El Beaino, direttrice del Collegio delle Suore del Sacro Cuore di Aïn-Ebel, sorride gentilmente, ma nei suoi lineamenti si legge la tensione di queste ore: “Ho visto decine di villaggi sciiti rasi al suolo. A sud del Litani non c’è più niente. Ci sono solo combattenti di Hezbollah e noi pochi cristiani. Tutti i civili musulmani sono fuggiti”. La religiosa ha deciso di rimanere insieme a pochi altri abitanti per non abbandonare la scuola, anche se la maggior parte degli insegnanti si sono rifugiati a Beirut, da dove gestiscono le lezioni online. “Gli insegnanti sono stati evacuati da Ain-Ebel all’improvviso, senza materiale didattico, senza laptop, senza niente. Per questo io sono rimasta qui a coordinarmi con loro e un paio di volte sono riuscita ad andare a Beirut ad incontrarli quando ancora veniva fin qui qualche convoglio dell’armata libanese a portarci qualcosa. Ma da qualche giorno la situazione è diventata troppo pericolosa anche per loro e i convogli non partono da Beirut. Qui siamo in una regione prevalentemente sciita, ad eccezione di quattro villaggi che sono appunto Ain-Ebel, 100% cristiano, Rmeich, Debel e Qouzah”, spiega suor Maya.
Rmeich è un’enclave di civili disarmati, situata in una zona di conflitto che copre un quarto del Libano. Fuori dal villaggio, tracce di cingoli e crateri; dentro, gli abitanti osservano i razzi sperando che si fermino al calare della notte per poter dormire. L’ospedale più vicino dista tre ore, mentre cibo e carburante arrivano tramite convogli dell’esercito libanese, sorvegliati a distanza dalle pattuglie Unifil dell’Onu, essenziali per gestire il dialogo con Israele e per monitorare le operazioni nel territorio. “Quando diciamo missili e razzi, intendiamo di Hezbollah” spiega suor Maya. Lanciano i razzi contro Israele, per esempio, da Hanine, o dagli altri villaggi dietro Ain-Ebel. Così, quando sparano, la difesa militare di Israele abbatte i missili, e i pezzi ci cadono addosso, nei campi, vicino alle case. Ci sono sempre proiettili che vengono sparati e che finiscono nella concessione della scuola di cui sono responsabile”.
Qualche giorno fa, due missili sono finiti vicino alle case, causando il panico tra gli abitanti del villaggio. I bambini giocavano lì vicino. Era la terza volta da quando sono iniziate le ostilità tra Hezbollah e Israele che il villaggio viene colpito. “Per quattro notti di fila non abbiamo dormito. Quando finalmente il frastuono delle bombe è cessato, del villaggio vicino di Ain Ebel non era rimasto in piedi niente”.
Nella scuola diretta da suor Maya ci sono 1000 studenti che provengono da 32 villaggi tutti vicino al confine israeliano: “50% sciiti, 50% cristiani” ci dice con orgoglio, fiera dell’esempio di convivenza che il suo istituto rappresenta. “Da un anno viviamo questa guerra. Da un anno” prosegue il racconto, “questo vuol dire che le famiglie sono disoccupate da molto tempo. Adesso siamo entrati in una nuova fase che è stata molto dura dal 1° settembre. I bombardamenti sono diventati sempre più vicini a noi. Abbiamo avuto più volte finestre che si sono rotte nella nostra scuola. Nell’ultimo anno, abbiamo fatto lezioni faccia a faccia per sole 3 settimane. Per la maggior parte del tempo le lezioni sono state effettuate tramite Teams e Zoom”.
Le chiediamo quanti siano le persone che sono fuggite da lì. “Ain-Ebel aveva circa 1500 abitanti. Nei primi 3 mesi di guerra, ovvero ottobre, novembre e dicembre 2023, ne erano rimasti solo 120. In tutto il villaggio. Tutti se ne sono andati subito. Per quale motivo? Perché avevano avuto paura. Vivono nella loro testa il trauma del 2006. Lì, tutte le strade sono state interrotte. Hanno visto come Israele ha attaccato due scuole a Gaza. I bambini non erano al sicuro qui. Noi siamo rimasti. Sono rimasta con una religiosa nel convento con 120 persone in tutto il villaggio a sorvegliare le case. In seguito, c’erano persone che tornavano di tanto in tanto. Ad Ain-Ebel eravamo tra gli 800 e i 900 abitanti nelle prime due settimane di settembre. All’improvviso, ci hanno detto che dovevamo evacuare Ain-Ebel. Avete 40 minuti, ci hanno detto gli israeliani. Era il 1° ottobre: 40 minuti per partire. Abbiamo evacuato tutte le persone. C’erano molti anziani, disabili, 600 sono partiti immediatamente in un convoglio con l’esercito libanese. Tra i 120 e i 150 in una scuola della quale ero responsabile ad Ain-Ebel per garantire l’organizzazione della vita, dei bisogni, dei pasti”.
A volte qualche aiuto arriva agli abitanti rimasti nella zona dai militari della missione Unifil, che però non possono circolare liberamente nel villaggio, ci spiega ancora suor Maya. “Quando finisce un bombardamento” continua a raccontare suor Maya, “a volte qualcuno dell’Unifil viene a controllare. E quando c’è un convoglio di residenti che vogliono lasciare i villaggi per andare a Beirut, l’esercito libanese li accompagna fisicamente e l’Unifil segue da lontano. Una sorta di controllo a distanza”.
In una situazione sempre più drammatica, le poche comunità come quella di suor Maya cercano di resistere in qualche modo, circondate dai bombardamenti dell’armata israeliana e dai frammenti dei missili lanciati da Hezbollah, mentre gli israeliani hanno detto di voler liberare tutto lo spazio nel sud del Libano sotto il fiume Awali. Ma quante persone siano rimaste, in quest’area a sud dell’Awali, nemmeno suor Maya sa dirlo con precisione: “Posso darvi il numero dei cristiani” ci dice. “Ce ne sono adesso 150 a Debel e 350 a Rmeich. Nei villaggi accanto a noi, non ci sono più abitanti sciiti se non i militanti di Hezbollah. Dal confine fino a Tiro, nessun abitante tranne gli attivisti. Quanti siano, non lo so e nessuno lo sa”. Da qualche tempo, circola la voce che in Israele gruppi cristiani stanno raccogliendo aiuti e denaro da inviare ai cristiani in Libano. Ma suor Maya non ha dubbi su quale sia la parte in cui gli abitanti dell’enclave cristiana vogliono stare. “Gruppi cristiani in Israele? Non ne so nulla. Ma quello che posso dire, è che i cristiani che sono ancora qui, che resistono e che sono ancora nei villaggi, sanno benissimo che Israele è un nemico anche per loro. Gli sciiti dicono sempre di noi, siccome siamo rimasti qui, che stiamo lavorando con Israele. Ma non è così” si accalora suor Maya.
Il Partito di Dio ha detto più volte che sospetta che collaborino con il “nemico sionista”, ma finora, per fortuna, non li attaccati direttamente. Da parte sua, l’esercito israeliano ha risparmiato gli insediamenti 100% cristiani, ma se invece le comunità vivevano mescolate, cristiani e sciiti, allora pur di eliminare qualche terrorista non si è fatto problemi a bombardare le chiese. “Se siamo contro la guerra, non significa che siamo con Israele, è molto chiaro” insiste suor Maya. “Padre Nagib (Nagib Amil, ndr.), che è il parroco di Rmeich, lo ripete sempre: essere per la pace non significa essere per Israele”.
Di cosa avete più bisogno? “Abbiamo bisogno di tutto, ma soprattutto di carburante per generatori elettrici. Per fortuna non sono stati bombardati e ancora funzionano, altrimenti saremmo completamente isolati senza elettricità, e quindi senza connessione. Abbiamo un tecnico qui nel villaggio che fa la manutenzione, rischiando la sua vita, ma senza carburante, non c’e niente che lui possa fare”.
“La situazione. semplicemente, è terribile” insiste suor Maya, “e c’è una grande paura che ponti e strade vengano di nuovo bombardati, soprattutto ora che si parla della possibilità di un’invasione di terra. Ma costi quel che costi”, conclude, “continueremo a restare qui, perché la nostra scuola, la missione della nostra scuola non è solo educativa, non è solo sociale, ma è diventata una missione esistenziale. Quando dico esistenziale, è perché voglio parlare di futuro. Se chiude la scuola, un gran numero di cristiani e di liberi sciiti se ne vanno, vendono la loro terra, la loro casa e vanno a Beirut. Allora sarà la fine per queste terre”.
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