Tina Gesmundo, 64 anni, preside del liceo scientifico Gaetano Salvemini di Bari e da 23 dirigente scolastico
da Il Corriere della Sera
Tina Gesmundo, la preside del liceo di Bari
che accusa i genitori: «Proteggono troppo i figli.
Dai colleghi poca solidarietà»
di Elvira Serra
Il 17 novembre agli open day richiamò i genitori al loro compito di educatori: «Lo sfogo? Non era preparato»
Tina Gesmundo è la preside del liceo Salvemini di Bari salita agli onori delle cronache per il suo discorso ai genitori durante l’«Open Day» dell’istituto, il 17 novembre scorso.
Nell’auditorium della scuola, davanti a 400 persone, ha chiarito senza giri di parole di non essere lì per vendere un detersivo. E ha punto nel vivo i genitori, accusandoli di sovrapporre i propri desideri a quelli dei figli, incoraggiandoli a inseguire soltanto soldi e successo.
La storia è finita su tutti i giornali, lei è stata invitata perfino da Lilli Gruber a «Otto e mezzo». E adesso che sono scaduti i suoi quindici minuti di celebrità, ragiona su cosa ha scatenato tutta quell’attenzione. Info di servizio: ha 64 anni, si sente «professoressa dentro», ha cominciato a 24 come insegnante di greco e latino e dopo 23 anni ha intrapreso la carriera di dirigente. Suo marito è un ex docente di filosofia, sua figlia insegna storia dell’arte.
Gesmundo, cosa le è saltato in mente quella domenica?
«Non mi ero preparata niente. Ero solo irritata dal comportamento di tanti genitori, che giravano per la scuola come se dovessero comprare qualcosa. Così non mi sono più trattenuta e ho fatto un discorso iperbolico con prossemica vivace».
Era un’iperbole il riferimento alle richieste di raccomandazioni?
«La nostra scuola è diventata un po’ di moda e sono stata costretta a mettere il numero chiuso, perché non abbiamo abbastanza aule. A marzo si sono iscritti 420 studenti e ne ho potuti prendere 360. Le pressioni le ho ricevute da persone in posizioni di potere per far entrare qualcuno, mai per intervenire nei voti. E in ogni caso non sono servite».
Ha parlato di ragazzi iperprotetti.
«In classe ci troviamo anche con 7-8-9 studenti con diagnosi certificate che vanno dall’ansia alla disgrafia. C’è un iper protezionismo che non li aiuta a crescere, perché alcuni problemi si risolvono da soli, quando si raggiunge una maggiore consapevolezza di sé».
In questi giorni da chi ha ricevuto messaggi di solidarietà?
«I più belli sono stati quelli dei miei ex alunni che oggi sono medici, avvocati, giudici o anche persone semplici: sono orgogliosi di avermi avuta come insegnante. Se mi avessero dato un assegno in bianco non sarei stata altrettanto contenta».
E i suoi colleghi si sono fatti sentire?
«Pochissimi. Mi sarei aspettata una maggiore solidarietà, ma la competizione ormai è diventata pervasiva».
Si considera una donna di sinistra?
«Sono orgogliosamente di sinistra, ma non la sinistra radical chic».
E se le proponessero di entrare in politica?
«Non lo faranno mai. Sono scomoda».
È mai entrata in crisi, come insegnante o dirigente?
«Come docente, mai: ho sempre voluto insegnare. Come dirigente ho attraversato un momento difficile qualche anno fa, quando presi una decisione impopolare, nella quale sono stata lasciata sola».
Cosa successe?
«Sospesi un ragazzo in seguito a un’occupazione notturna di una minoranza, che aveva smentito il processo democratico interno alla scuola. Io non credo nell’occupazione, peraltro in un liceo di periferia pericolosissima. Fui bersagliata dai media, ma ne sono uscita più forte».
È vero che agli studenti sospesi fa fare i lavori socialmente utili?
«Le sospensioni hanno sempre l’obbligo di frequenza e in più i ragazzi devono mettere in ordine i tappeti della palestra, spolverare i libri, pulire gli scaffali, aiutare gli altri. Serve a fargli capire che fanno parte di una comunità, insegna ad avere cura degli altri».
I genitori si sono mai lamentati?
«No, nessuno. Riconosco di essere una persona divisiva, ma le famiglie nella maggior parte dei casi si fidano di me. E quando non gli va bene una cosa, chiedono il nulla osta e vanno in un’altra scuola senza nemmeno salutare. Questo è un segnale doloroso per me».
Quante volte è successo negli ultimi due anni?
«Parecchie».
Questo è il suo ultimo anno nella scuola. Poi andrà in pensione. Progetti?
«Con la laurea ho 45 anni di contributi, dunque devo smettere per forza. Mi darò al sociale, alla cura degli ultimi con l’associazione Libera e al volontariato contro la violenza sulle donne. Voglio anche fare corsi di greco antico per chi non ha potuto studiarlo. E, infine, continuerò con il teatro per i ragazzi: lo faccio da più di 20 anni, credo che sia terapeutico».
Il libro che non può mancare nella formazione di uno studente?
«L’amico ritrovato di Fred Uhlman e i classici come Dickens. Mentre tra i più moderni, direi Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino».
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da vanityfair.it
La preside Tina Gesmundo del liceo di Bari:
«Da mesi non faccio altro che risolvere
problemi di genitori
che non accettano nemmeno il 5»
Ha detto ai genitori la verità che spesso non vogliono sentire, così la dirigente scolastica di Bari ha fatto clamore per il suo discorso durante l’open day del liceo Salvemini. «Ho detto cose normali, che pensano un po’ tutti». L’intervista
di Alessia Arcolaci
21 novembre 2024
Tina Gesmundo risponde al telefono ed è commossa. «Mi scuso ma ero in assemblea d’istituto. Gli studenti hanno appena finito di cantare Sally». Il brano è l’iconico di Vasco Rossi che le alunne e agli alunni del liceo Salvemini di Bari, di cui Tina Gesmundo è dirigente scolastica, hanno cantato in occasione del dibattito dedicato al 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. «È stata un’assemblea formativa, alcuni hanno recitato un monologo mentre invece gli studenti delle prime sono andati al cinema per assistere alla proiezione del film Il ragazzo con i pantaloni rosa. Loro tengono alla mia presenza alle loro assemblee e oggi mi sono commossa». Bastano già queste poche parole a comprendere che tipo di preside sia Tina Gesmundo e come mai il suo discorso, pronunciato in occasione dell’open day del suo liceo e diretto in particolare ai genitori abbiano scaturito molto clamore in queste ore. «Voi genitori che sovrapponete i vostri desiderata alle vite dei vostri figli, educate a coltivare solo il mito del successo e del denaro», ha detto la dirigente sottolineando il suo disappunto per chi decide di iscrivere i figli al suo liceo perché è molto in voga. E ha aggiunto: «E comunque ascoltate i vostri figli, insegnate la cura, non a coltivare sogni di gloria e ricchezza. Questa è una scuola dedicata a un oppositore del fascismo, rispettatela».
Qualche genitore è venuto a parlarle dopo il suo discorso?
«No, assolutamente».
E gli studenti?
«Loro sono abituati al fatto che io promulghi questi valori e devo dire che alcuni di loro hanno ravvisato una certa vivacità eccessiva negli alunni dei primi anni. La mia esternazione all’open day era un’esortazione, che poi è stata caricata, in certi casi falsata. Io sono una che quando parla, da docente di greco usa molto le iperboli, le metafore, l’ironia».
In che senso falsata?
«La sostanza era che bisogna ascoltare i ragazzi, non iscriverli perché le scuole sono in voga, alla moda. Bisogna ascoltarli, educarli alla cura dei più fragili: il bullismo non è consentito in una scuola che sia democratica, paritaria, una scuola che insegna dei valori. Era questo il senso».
Più che condivisibile. Cosa l’ha spinta a dire quelle parole?
«L’ open day in genere è il momento in cui si vende il pacchetto con i fiocchettini e invece io ho tentato di esortare i tanti genitori che c’erano a una riflessione più attenta e a un’educazione più tesa a un sistema valoriale che non voglia solo prestazioni ma anche sostanza. Meno concentrata sul mito del successo e del denaro. Questa era la mia esortazione. Cose che dicono un po’ tutti, da grandi nomi come Crepet, Gramellini, Recalcati, sociologi, spicologi, psicterapeuti, forse ha fatto scalpore che lo dicesse una preside in occasione di un open day».
Cos’ha notato di più allarmante rispetto ai comportamenti degli studenti negli ultimi tempi?
«In questi mesi in cui sto praticamente facendo la preside delle prime, ravviso atteggiamenti che non sono assolutamente ragazzate come li giustificano i genitori ma che sono sostanzialmente dei vuoti educativi».
Ci fa qualche esempio?
«Fare delle fotografie ai professori, discutere del colore dei capelli degli insegnanti, fare la foto alle targhe delle loro auto, o prendere in giro i ragazzi più fragili, quelli che non hanno expertise eccezionali durante le interrogazioni, secondo me questo è bullismo. Poiché negli anni precedenti io questo non l’ho ravvisato mai, l’anno scorso un po e quest’anno di più, lo sto evidenziando».
In che senso la sua scuola è diventata di moda?
«È diventata di moda perché è una scuola di qualità, i ragazzi hanno grosse competenze e si realizzano bene in tutti gli indirizzi universitari. Questo è un liceo di periferia che sicuramente funziona ma io non voglio una scuola di moda, io voglio una scuola in cui i ragazzi diventano cittadini. Non m’interessa avere gli utenti, io appunto non vendo prodotti. queste sono le cose che ho detto. Le ho dette con la passionalità che mi contraddistingue, l’amore per i giovani, una certa stanchezza perché davvero da due mesi non faccio altro che risolvere problemi di genitori che non accettano nemmeno il 5 e svalutano il lavoro dei docenti. Questo è inaccettabile».
Che rapporto ha lei con i genitori?
«Oggi i genitori iperproteggono i figli con diagnosi di tutti i tipi, dai disturbi di ansia, attacchi di panico, alla dislessia, disgrafia, disturbi oppositivi, disturbi dell’attenzione, è diventato tutto un disturbo e questo non va bene perché tutte queste cose fino a dieci anni fa venivano risolte dalla crescita. C’è un atteggiamento ansiogeno e iperprotettivo rispetto a queste diagnosi che sono diventate 7,8,9 per classe. È un po’ troppo a mio avviso».
Da dove scaturisce secondo lei questa condizione?
«Questa è un’anomalia di iperprotettivismo e anche di narcisismo perché i genitori vogliono che i loro figli siano tutti vincenti, nessuna scalfittura ai ragazzi viene vista invece come un’occasione di miglioramento, tutto è una via spianata, invece qualche volta la difficoltà fa crescere».
Cosa le capita più spesso con le famiglie?
«Quando non hanno i voti che dicono loro vanno nelle altre scuole, chiedono i nulla osta senza nemmeno salutare i docenti e vanno altrove a provare la ventura. Una persona come me che ha tanti anni di scuola vede tutto questo come un’assurda crisi dei valori. Qualsiasi atteggiamento degli insegnanti che sia un atteggiamento costruttivo, di dialogo con i ragazzi, immediatamente arrivano i genitori che o li prelevano prima da scuola, mandano mail a tutte le ore ai coordinatori, alla scuola. C’è un’invasione progressiva e negativa perché i ragazzi devono crescere con la loro narrazione del sé, non con la narrazione dei genitori».
È vero che la chiamano gli assessori e i preti per raccomandare gli studenti?
«È capitato che mi abbia scritto chiunque per agevolare un ingresso in questa scuola. È successo ma non penso che sia rilevante».
Perché lei ha iniziato a insegnare?
«Io insegno da quando avevo 24 anni, ho vinto il concorso di latino e greco, ho fatto 23 anni da professoressa, poi da 18 da preside. Oggi sto per andare in pensione e mi tiene qui l’amore e la passione per una scuola pubblica e democratica, paritaria per tutti, cioè che dia a tutti pari opportunità. Il mio ruolo è sempre stato quello di ascolto dei giovani, dare loro un’educazione complessiva e difendere negli ultimi anni il valore della scuola con la S maiuscola. Sono sempre stata in prima linea perché dico sempre quello che penso. Sento il dovere di difendere il valore che ha la scuola che non può diventare ricattabile da parte degli utenti. Questa è una scuola che ha molti scritti e io non voglio piegarmi alle logiche di mercato perché questo contrasta con il bene pubblico, il bene di formare le generazioni».
Nel suo discorso ha sottolineato anche che questa scuola è dedicata a un combattente antifascista.
«Sono orgogliosissima di essere la preside di un liceo dedicato a un pensatore, un combattente, che ha avuto come valore fondante la solidarietà e che sia anche un antifascista non sarà proibito dirlo in questi tempi, no?».
Si è stupita per il clamore intorno alle sue parole?
«Come canta Lucio Dalla “la cosa eccezionale è essere normali” e a me sembra di non avere detto niente di eccezionale».
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da Il Corriere della Sera
La scuola non è un detersivo
di Massimo Gramellini | 21 novembre 2024
Il giorno in cui i presidi presentano la scuola ai genitori dei potenziali iscritti non si chiama Giorno di Presentazione ma Open Day, e forse i problemi cominciano proprio da questo aziendalese imposto persino tra i banchi.
Sta di fatto che durante il benedetto Open Day la preside di un liceo barese, Tina Gesmundo, ha detto ai genitori in visita qualcosa di inedito, scomodo e sorprendente: la verità. Ha detto che lei non era lì per convincerli a scegliere il suo istituto, perché la scuola non è un detersivo.
Ha detto che alcuni allievi fotografano le targhe delle auto dei professori a scopo intimidatorio e bulleggiano pesantemente i compagni nel disinteresse delle famiglie, che derubricano quei gesti a semplici ragazzate. Ha detto che i social non c’entrano niente, c’entrano i genitori, che sovrappongono i loro ego alle vite dei figli, educandoli a coltivare solo il mito del successo e del denaro. Ha detto che verranno ripagati con la stessa moneta e che da vecchi i figli li abbandoneranno in una casa di cura. Ha detto che non ha bisogno che arrivino Crepet o Galimberti a spiegarle come le famiglie abbiano scaricato sulla scuola la loro incapacità di educare: purtroppo lo sa già. E ha concluso: «Se dovete venire qui per fare queste cose, andate altrove. Ma qualunque scuola scegliate, imparate ad ascoltare i vostri figli e insegnate loro ad avere cura di sé e degli altri, non a inseguire solo sogni di gloria e ricchezza».
Mi stupisco che non l’abbiano ancora licenziata.
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