27 marzo 2022: QUARTA DI QUARESIMA
Es 17,1-11; 1Ts 5,1-11; Gv 9,1-38b
Ancora una premessa. Anche questa serve ad allargare il campo delle riflessioni, che, come sempre, vanno al di là di ogni singolo brano.
Dobbiamo renderci conto che leggere il Vangelo di Giovanni non è come leggere i tre Vangeli sinottici (quello secondo Matteo, Marco e Luca), che, pur essendo anche essi del tutto originali in quanto neppure loro sono pure cronache di eventi e di parole, tuttavia non raggiungono l’altezza teologica, o meglio la profondità mistica del quarto Vangelo.
La caratteristica principale del Vangelo secondo Giovanni sta nel prendere un evento o un miracolo di Cristo, e svilupparlo secondo un tema assai importante, come ad esempio il tema della luce e il tema della vita.
Non dobbiamo perciò meravigliarci se nel quarto Vangelo troviamo miracoli o incontri che i tre Sinottici non hanno riportato. In realtà, nei Sinottici troviamo i miracoli, però sono solo accennati e non sviluppati come ha fatto invece Giovanni.
Non dimentichiamo: il quarto Vangelo è stato messo per iscritto alla fine del primo secolo, decenni di anni dopo la stesura dei Vangeli sinottici, perciò la comunità di Giovanni ha avuto modo di riflettere e di meditare più a lungo sulla vita di Gesù Cristo, e soprattutto aveva fatto una sua scelta, diversa dalle altre comunità cristiane: quella di leggere la Buona Novella al di là di quella carnalità legata al Gesù di Nazaret, ovvero leggerla alla luce del Cristo risorto. Possiamo anche dire che il quarto Vangelo legge la Buona Novella con gli occhi della fede, e non con gli occhi di una esegesi carnale.
In altre parole, il quarto Vangelo non si limita a riproporre i miracoli o gli incontri di Gesù, ma li legge con gli occhi della Fede, di quella Fede che è l’Intelletto divino.
E così un miracolo che riguarda il dono di una vista fisica diventa l’occasione per Giovanni di sviluppare il tema della vista spirituale. Dalla vista fisica alla vista spirituale: questo è il senso da cogliere nel racconto del miracolo del cieco dalla nascita.
Adesso vediamo di fare qualche riflessione inerente al brano evangelico di oggi.
Diciamo subito che il racconto presenta diversi aspetti, che non devono allontanarci dal cuore del miracolo. Sono aspetti anche importanti, ma ciò che è da evidenziare è il senso essenziale del miracolo. Sembra che Giovanni nel raccontarci il miracolo quasi si diverta a porre altre questioni, ma solo perché si torni poi a cogliere meglio il cuore del miracolo. Quel voler distogliere il senso del miracolo insistendo su tutto un contesto diciamo polemico, volutamente polemico, è l’intento quasi ironico di Giovanni, come a dire: attenzione, qui si perde di vista il senso profondo della Buona Novella.
Il racconto parte dal fatto che il cieco è costretto a mendicare ai bordi della strada, come del resto era la sorte di quanti avevano problemi di carattere fisico: erano emarginati dalla società, costretti perciò a sostenersi con l’elemosina. Poi c’è la domanda dei discepoli: Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori?. Gesù risponde secco: né lui né i suoi genitori. E Gesù compie un gesto apparentemente strano o stravagante: sputa per terra, fa del fango con la saliva, spalma il fango sugli occhi del cieco. Un evidente richiamo dei primi capitoli della Genesi, quando l’autore sacro descrive la creazione dell’uomo. Altro particolare: Gesù manda quel cieco con gli occhi sporchi di fango a lavarsi alla piscina i Silone. Richiamo del battesimo?
Ma il particolare più polemico è stato il fatto che Gesù ha compiuto quel gesto miracoloso in un giorno di sabato, perciò di riposo, giorno in cui non si potevano neppure compiere gesti miracolosi. E qui succede una cosa apparentemente strana. Gesù scompare dalla scena, e lascia da solo quel cieco, che oramai ci vede, a difendersi e a difendere Gesù dagli attacchi dai farisei.
Ed ecco la domanda: perché il quarto evangelista ha ricostruito il racconto dilungandosi in modo eccessivo sulle polemiche riguardanti l’osservanza del sabato? Proprio per far capire che erano polemiche del tutto inutili e che il peccato dei farisei è stato proprio quello di non aver colto il cuore del miracolo di Gesù.
Solo alla fine riappare Gesù, che incontra quel cieco guarito, che nel frattempo, proprio per la sua ostinazione nel voler difendere a tutti i costi Gesù, era stato dai caporioni ebraici buttato fuori dalla sinagoga. Ed è in questo momento che Gesù, emarginato, incontra quel cieco guarito, pure lui emarginato. Gesù non si limita a incoraggiarlo, ma compie il secondo miracolo, quello più importante: gli dona la vista della fede, la vista interiore.
Una riflessione. Sembra di vedere un cammino di fede, che nei farisei è a ritroso, mentre per il cieco è progressivo. I farisei diventano man mano ciechi, mentre quel cieco man mano si avvia alla vista spirituale, quella della fede.
Giovanni, dunque, ha ricostruito il racconto di un miracolo, quello della guarigione di un cieco dalla nascita, non per parlare della legge del sabato, ma per far capire dove stava il vero peccato di Israele e in Israele il nostro vero peccato.
Quell’uomo era cieco fisicamente, ed è bastato poco a Gesù per restituirgli la vista fisica: un po’ di fango. Ma quei farisei erano ciechi di dentro, e ci voleva ben più di un po’ di fango per restituire loro la vista interiore.
A quel cieco guarito è bastato che venisse buttato fuori dalla sinagoga perché, incontrando di nuovo Gesù, ricuperasse la vista interiore.
Potremmo star qui delle ore a cercare di capire che significa l’essere buttati fuori dalla sinagoga per incontrare il Signore, come se, chiusi in una religione, non ci fosse alcuna possibilità di rientrare in sé, e di vedere con gli occhi dello spirito.
Il problema è un altro: non è tanto la religione in sé a ostacolare l’incontro con il Divino, ma il problema si pone quando la religione, chiudendosi in un organismo carnale, non permette l’incontro con Dio.
Una religione non va giudicata migliore di un’altra solo perché sa compiere dei miracoli, e qui il discorso si farebbe troppo lungo, pensando a come la Chiesa cattolica stabilisce se uno è da santificare o no, ovvero se compie o no dei miracoli. Questo è assurdo!
Se possiamo parlare di validità di una religione, allora vorrei dire che essa lo è, quando aiuta a far vedere l’uomo con gli occhi della fede, ovvero con gli occhi dello spirito.
La Fede non è una credenza religiosa, ovvero un insieme di pratiche diciamo esteriori o carnali, ma la Fede è vedere con gli occhi dello Spirito.
Fino a quando noi non usciremo da una struttura carnale, non potremo incontrare Dio, che è purissimo spirito. In quel “fuori” da ogni struttura sta tutto il senso del miracolo di Gesù: un fuori che ci permette di rientrare dentro di noi. Questo è l’intento di Giovanni: vedere con gli occhi fisici non basta, bisogna ricuperare la vista interiore. Certo, la Fede è un dono, ma ogni dono va conquistato. Ogni dono è un impegno.
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