L’indifferenza è il peso morto della storia

da L’Unità.tv
27 aprile 2017

L’indifferenza è il peso morto della storia

Antonio Gramsci
A 80 anni dalla morte di Antonio Gramsci riproponiamo lo scritto del 1917 contenuto in “La città futura”: indifferenza è abulia, non è vita
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia.
È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti. È la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; e ciò su cui non si può contare; e ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti.
Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa.
I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze.
Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere. Odio gli indifferenti anche per ciò che mi da noia il loro piagnisteo di eterni innocenti.
Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.
Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
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4 Commenti

  1. LANFRANCO CONSONNI ha detto:

    Sono passati 100 anni da questo scritto. Cosa è cambiato?
    Rispetto a quei tempi gli indifferenti di oggi non hanno alibi.
    Probabilmente nel 1917 alla maggioranza della popolazione mancavano le informazioni per leggere la situazione in cui vivevano, e forse l’indifferenza era figlia dell’ignoranza.
    Anche se l’ignoranza di quei tempi veniva compensato da un alto livello di auto coscienza e diffusa cultura di valori che spingeva molti ad essere “partigiani”, anche senza le conoscenze di Gramsci.
    Oggi non abbiamo alibi. Abbiamo mille strumenti per conoscere la realtà, poterla giudicare e prendere una posizione.
    Eppure la mia sensazione è che il rapporto fra indifferenti e partigiani sia cresciuto vertiginosamente,
    Infatti abbiamo vissuto un ventennio di berlusconismo, di cui continuiamo a subire le conseguenze.
    Quanti di noi sono stati veramente partigiani?
    L’indifferenza di oggi ha una unica ragione: mi basta che la mia pancia sia piena.
    L’equidistanza bene descritta da Giuseppe è la maschera per giustificare l’indifferenza della pancia piena.

  2. GIANNI ha detto:

    Non posso che condividere le parole di Gramsci, e mi pare di aver espresso analoghi concetti già in altre occasioni, su queste pagine.
    Personalmente, preferico chi mi odia, piuttosto che chi è indifferente alle mie posizioni, di qualsiasi ambito si tratti.
    In questo scritto probabilmente Gramsci si riferiva ad un contesto particolare, quello del fascimo, in cui i più, o per indifferenza effettiva, o magari per paura, della politica non volevano saperne.
    Tranne poi avvantaggiarsi di atti di altri, che quel regime volevano abbattere.
    Credo che Gramsci abbia voluto esprimere il proprio disprezzo verso la condivisione, o meglio accettazione, di uno stato di cose, che dopo la fine di un regime tutti condannano, ma prima in pochi hanno osato contestare.
    Del resto non solo sul fronte comunista, ma più in generale, la contestazione al regime fu certo più fenomeno di pochi, che di massa, anche sul fronte opposto.
    Perchè vi furono contestatori del regime anche tra i fascisti.
    Il fascismo era infatti nato da un superamento del socialismo tradizionale (come non ricordare le origini socialiste di Mussolini) per assurgere ad un nuovo modello economico e sociale, il corporativismo, di cui tutti si riempivano la bocca, mentre la realtà andava in direzione opposta.
    Furono i grandi gruppi di potere, sopratutto militare, a sgovernare durante il ventennio, e, parliamoci chiaro, anche il cosiddetto fascismo dissidente, che voleva richiamare la vera genesi di quel modello, fatto per superare i contrasti, non per provocarli, ebbe le sue vittime di regime tra coloro che non erano per Mussolini.
    Come ci furono vittime illustre tra coloro che prima avevano appoggiato il duce e poi, sia pur tardivamente, lo avevano abbandonato.
    Ma, appunto, dobbiamo domandarci cosa sarebbe successo in assenza di un intervento esterno, militare.
    Probabilmente la sola opposizione interna non sarebbe bastata, perchè il regime si nutriva in parte di consenso, ma in gran parte di menefreghismo.
    E doverosamente Gramsci si domanda se anche l’indifferenza non costituisca una forma di silente complicità.

  3. Giuseppe ha detto:

    Riflessioni senza tempo di un genio. Gramsci, ancora una volta, si rivela un acuto osservatore del comportamento umano e ne trae le sue conclusioni, che come sempre mettono in crisi la nostra coscienza di uomini “tranquilli” e indifferenti. Le sue osservazioni sono valide specialmente oggi che è di moda l’equidistanza, ritenuta atteggiamento saggio per eccellenza e che essere di parte e prendere posizione è considerato un errore, come se provare delle emozioni e schierarsi apertamente pro o contro atteggiamenti, tendenze ed ideologie in contrasto tra loro sia quasi una vergogna da farsi perdonare.

  4. Giuseppe ha detto:

    Riflessioni senza tempo di un genio. Gramsci, ancora una volta, si rivela un acuto osservatore del comportamento umano e ne trae le sue conclusioni, che come sempre mettono in crisi la nostra coscienza di uomini “tranquilli” e indifferenti.

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