27 aprile 2025: SECONDA DI PASQUA
At 4,8-24a; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
Premetto subito che, durante tutto il periodo pasquale, che va dalla Pasqua fino alla Pentecoste (periodo che dura perciò 50 giorni), la Liturgia ci offre come prima lettura della Messa un brano tolto dal libro “Atti degli apostoli”, scritto da Luca, autore del terzo Vangelo: un libro, che ritengo uno tra i più importanti della Bibbia, purtroppo poco conosciuto, per non dire del tutto ignorato perfino dalla Chiesa istituzionale.
Un libro preziosissimo, indispensabile, se vogliamo conoscere qualcosa degli sviluppi del primo Cristianesimo. Non per vantarmi, a parte i Vangeli, gli “Atti degli Apostoli” è un testo che conosco bene: anni fa è uscito il testo integrale con i miei commenti corredati di note e di immagini che favoriscono la lettura del testo, e a breve uscirà un altro libro, ma solo con alcuni brani scelti che tuttavia possono essere uno stimolo a leggere il testo integrale.
Una cosa risulta evidente leggendo gli “Atti degli Apostoli”: non è vero che, secondo una certa idea diffusa tra gli stessi credenti, tutto sarebbe stato facile per i primi cristiani, spinti dall’entusiasmo, sotto la grazia dello Spirito santo. Già dire “grazia” serve a chiarire il titolo: non si tratta solo di atti, cioè di azioni, di episodi anche miracolosi, dietro c’è appunto la Grazia, che è il dono dello Spirito santo.
Le difficoltà delle prime comunità cristiane dipendevano dalla loro stessa composizione. Immaginate che cosa poteva comportare la convivenza tra cristiani provenienti dal mondo ebraico e cristiani provenienti dal mondo pagano. Diverse mentalità, diverse culture, diverse usanze e costumi, tanto più che gli ebrei erano monoteisti e i pagani politeisti. E, all’interno dello stesso mondo giudaico, c’erano difficoltà di convivenza tra gli ebrei della Palestina, più ortodossi, quindi più chiusi, rispetto agli ebrei della “diaspora”, che vivevano fuori della Palestina, a contatto diretto con il mondo pagano, soprattutto quello greco, perciò erano più aperti.
Le prime difficoltà nacquero dunque per una questione di convivenza tra cristiani provenienti da mondi diversi, tanto più che il messaggio evangelico, la Buona Novella, imponeva un distacco da certe tradizioni e da leggi che non stavano più negli otri nuovi, immagine cara a Gesù. Il messaggio di Cristo imponeva un distacco dal vecchio, che, usando ancora l’immagine evangelica, non fermentava più, era diventato come un repellente aceto.
Pensate alla questione della circoncisione, campo iniziale di battaglia tra ex ebrei che volevano imporla ai cristiani ex pagani, o alle carni degli animali sacrificate alle divinità pagane (idolotiti) che venivano poi vendute sul mercato.
San Paolo, ex ebreo di tendenza rigidamente farisaica, convertitosi al Cristianesimo per grazia divina sulla via per Damasco, farà di tutto per sciogliere la Via di Cristo dalle pastoie religiose del mondo ebraico. Già gli antichi Profeti, i primi autentici precursori del messaggio evangelico, avevano parlato di una circoncisione del cuore, al di là di una circoncisione puramente fisica. E qui dobbiamo inserire la iniziale difficoltà dello stesso Pietro a sganciarsi da tradizioni ebraiche che non reggevano più davanti alla Nobiltà evangelica. Poi anche Pietro, tra l’altro capo della Chiesa istituzionale secondo la promessa di Cristo (“tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”), dietro visioni divine capirà, e si metterà sulla stessa linea di Paolo, il quale però sarà sempre il bersaglio preferito degli Ebrei rigidamente fedeli alle leggi mosaiche, che vedevano nella nuova Via, così chiamato il Cristianesimo, una setta pericolosa, una minaccia al mondo ebraico.
Ma la cosa che potrebbe sembrare la più miserevole tra i nuovi credenti, chiamati prima “fratelli”, poi “santi”, poi “cristiani” nella comunità di Antiochia, era la presenza di invidie tra loro, di gelosie, di malcontenti, di lamentele verso i capi, Pietro e Paolo, il tutto dovuto alle miserie umane. Questo fa capire quanto sia lungo e difficoltoso il cammino di conversione, anche quando si è già convertiti, per aver scelto di essere cristiani cattolici. Non basta il battesimo per sentirci fratelli, santi, seguaci di Cristo.
Il Cristianesimo nel libro “Atti degli Apostoli” è chiamato Via, in greco odòs, dunque è un cammino, non è immobilismo, già perfezione. Nessuno deve sentirsi un arrivato alla mèta. La mèta è sempre più avanti dei nostri ideali, e gli sforzi indicano la difficoltà di camminare sulla retta via: gli stessi Santi si sentivano sempre in uno stato di conversione.
Siamo nell’anno del Giubileo, anno di Grazia, ovvero di conversione. La Grazia non distribuisce a tutti, a buon mercato, titoli di benemerenze, o condoni vari, tramite indulgenze o pellegrinaggi giubilari: la chiesa istituzionale, quando si sente vuota di Grazia, perché non ci crede, si aggrappa a tanti stratagemmi di sua invenzione, e la gente allocca ci crede, pensa di ottenere chissà quali benefici interiori.
Ma, nonostante le miserie umane presenti anche tra i primi cristiani, “Atti degli Apostoli” è un libro altamente edificante: vediamo un cammino costante delle prime comunità cristiane, soprattutto ad opera dello Spirito, che però non agiva per conto suo, come un “deus ex machina”, con colpi di grazia spettacolare, ma attraverso gli stessi cristiani che agivano perché credevano nel Risorto e credevano senza porre limiti, nella certezza che la Grazia, dandole spazio all’interno del proprio essere, non pone limiti.
E ancora stupiscono le parole che troviamo nel brano di oggi: “vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni…”. La parola “franchezza” traduce il termine “parresia”, che in greco significa letteralmente “tutto ciò che viene detto”, indicando la libertà di parola, ma anche la franchezza nell’esprimersi, senza giri di parole, senza ambiguità che è quel dire o non dire, caratteristica di chi vuole barcamenarsi per salvare la faccia, senza rischiare troppo. È stato scritto: «Perché ci sia democrazia deve esserci parresia». Come a dire che oggi, con governi populisti e fascisti, tutto è concentrato nel potere che reprime la libertà di parola.
Certo, vediamo anche che la parola “parresia” è diventata solo uno slogan, stampato magari sulle magliette o a intitolare associazioni di ogni genere. Càpita spesso anche a me: quando rispondo a certe critiche per certe mie provocazioni, dicendo: “Scrivo ciò che penso”, la risposta del solito imbecille di turno è: “Tu non devi pensare di testa tua!”.
Nel discorso in occasione della festa di Sant’Ambrogio, il card. Martini ha fatto, in particolare, riferimento, parole sue, ad «un male oscuro, difficile da nominare, forse anche perché è difficile da riconoscere, come un virus latente eppure onnipresente. Potremmo chiamarlo col nome di “pubblica accidia” o di “accidia politica”. (Accidia vuol dire inerzia, indifferenza e disinteresse). È il contrario di quella che la tradizione classica greca, come pure il Nuovo Testamento, chiamano parresia, libertà di chiamare le cose con il proprio nome. Si tratta di una neutralità appiattita, della paura di valutare oggettivamente le proposte secondo criteri etici, che ha come conseguenza un decadimento della sapienzialità politica». Non aggiungo altro.
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