
da Repubblica
14 MAGGIO 2025
Cinque sì migliorano la vita
Elena Granaglia e Andrea Morniroli
Essi hanno un tratto in comune: correggono i gravi errori commessi da governi di ogni colore tra gli anni ’90 e l’inizio di questo secolo
Un’occasione da non mancare. Votare Sì ai 5 referendum è un modo per tornare a contare per migliorare la vita di tutti e tutte noi. Si tratta di quesiti assai significativi, che riguardano la vita di ogni persona. Essi hanno un tratto in comune: correggono i gravi errori commessi da governi di ogni colore tra gli anni ’90 e l’inizio di questo secolo, quando, per affrontare una nuova concorrenza internazionale, furono approvate norme che indebolivano il potere contrattuale del lavoro, promuovevano il precariato, favorivano l’elusione delle norme di sicurezza. Nonostante ciò, una parte significativa del sistema imprenditoriale ha reagito bene a quella concorrenza, innovando, accrescendo la produttività, esportando, mantenendo e promuovendo il ruolo del lavoro. Ma un pezzo, sospinto e corrotto dalle nuove regole, è sopravvissuto senza innovare. Noi oggi possiamo correggere quegli errori.
Primo Referendum. Scoraggiare i licenziamenti illegittimi. Forse è la più immorale e controproducente di tutte le norme che oggi possiamo modificare. Con lo Statuto dei lavoratori introdotto negli anni ’70 l’imprenditore viene sanzionato con l’obbligo di reintegro della persona illegittimamente licenziata, lasciando a essa la possibilità di commutare il reintegro in un cospicuo trasferimento monetario. Ora non è più così per chi è stato assunto/a dopo il 2015. Ma compensare un diritto significa, di fatto, violare un diritto, che è tale se non è contrattabile/mercificabile. A una grave ingiustizia per chi lavora, si aggiunge una concorrenza sleale per le imprese sane.
Secondo referendum. Sanzione monetaria adeguata dei licenziamenti illegittimi nelle imprese fino a 15 addetti. Certo, resterebbe iniquità (orizzontali) fra lavoratori che svolgono lo stesso lavoro in imprese di dimensioni diverse. Abbiamo, però, anche la possibilità di migliorare il ristoro monetario previsto per lavoratrici e lavoratori di imprese fino ai 15 addetti. Qui, possiamo evitare che, come accade oggi, la somma del ristoro sia fissa e slegata da ogni considerazione sull’equità e anche sul suo effetto deterrente, come chiarisce la Corte Costituzionale nella sentenza di approvazione del referendum.
Terzo referendum. Il lavoro a tempo determinato come esigenza strategica, non come opportunismo dalle gambe corte. Qui l’obiettivo non è abolire il lavoro a tempo determinato. L’obiettivo è che esso cessi di essere il mezzo degenerato a cui le imprese ricorrono in assenza di una strategia aziendale e fuori da ogni contrattazione nazionale di settore relativa al lavoro. È ciò che in Italia ha sospinto oltre ogni logica il ricorso a questo tipo di lavoro, fino a rappresentare il 16,5 per cento del lavoro dipendente.
Quarto referendum. Rafforzare la sicurezza sul lavoro. Qui si tratta di abolire la scelta immorale con cui si è disincentivata la sicurezza sul lavoro prevedendo che un’impresa committente non abbia responsabilità per infortuni e malattie professionali nelle attività delle imprese appaltatrici e sub-appaltatrici. È uno degli esempi peggiori della penosa scelta di mantenere la competitività del paese degradando la tutela del lavoro. Abolire questa “irresponsabilità” vuol dire dare un contributo a contrastare il fenomeno gravissimo degli incidenti sul lavoro: la mortalità sul lavoro è doppia nelle imprese fino a 50 dipendenti, tipicamente le imprese subappaltate. Ma anche, ancora una volta, a impedire la concorrenza sleale.
Quinto referendum. Accelerare i tempi per dare la cittadinanza a chi è italiano a ogni effetto (art 9.1.b l. 5/2/1992). Con un Sì possiamo ridurre da 10 a 5 (come in Germania o Francia) il numero di anni di residenza legale in Italia per chiedere la cittadinanza Italiana, fermi restando i requisiti oggi esistenti per tale richiesta (lingua, reddito, stato penale, obblighi tributari). Includendo i minorenni, per cui scatta la cittadinanza se scatta per i genitori, si calcola che due milioni e mezzo di persone, italiane a tutti gli effetti ma non “cittadine”, lo diverrebbero.
Cinque scelte per la giustizia sociale, che rendono più forte il lavoro e migliorano i diritti di cittadinanza, valorizzando le imprese che innovano e stanno dentro le regole del gioco. Certo, molto altro resta da fare, a partire dal salario minimo e dalle politiche di contrasto alle disuguaglianze di opportunità per i migranti. Ma dire sì ai referendum è un passo cruciale.
Gli autori sono coordinatori del Forum diseguaglianze e diversità
***
da www.articolo21.org
17 Maggio 2025
Referendum e astensione.
La responsabilità di chi riveste cariche istituzionali
di Cesare Damiano
Il voto è libero e segreto. Questa è una delle fondamentali garanzie della democrazia. E in merito a un voto, che sia quello per una consultazione elettorale o referendaria, si ha la facoltà di manifestare pubblicamente o meno il proprio pensiero. Dico subito che, personalmente, ai 5 referendum che si svolgeranno l’8 e il 9 di giugno io mi esprimerò con altrettanti “Sì”.
Detto questo, e prima di venire alle mie motivazioni, voglio soffermarmi su una questione: quella della responsabilità istituzionale. Per ognuno di noi, nell’essere liberi cittadini, esiste anche l’opzione, discutibile ma legittima, di non votare. E, nel caso di un referendum, questa opzione può significare sia la volontà di non esprimere un voto, sia quella, non nascondiamocelo, di non far raggiungere il quorum alla consultazione. Quorum richiesto per rendere valido il voto abrogativo. Ma coloro che hanno alte responsabilità istituzionali dovrebbero ricordare sempre – io lo so bene essendo stato ministro della Repubblica – di essere un po’ meno liberi degli altri cittadini. Esiste un contegno istituzionale, l’obbligo di essere super partes che, in particolare quando si ricopre un’altissima carica pubblica, non andrebbe mai perso. Dispiace, perciò, che il presidente del Senato, invitando a disertare il voto, abbia dimenticato quel dovere di responsabilità. Dispiace proprio perché chi svolge un simile ruolo, seppur venendo da una parte politica, dovrebbe ricordare che ricopre quella carica per tutti e non può più stare su una barricata. Far questo, prima di tutto, svilisce le Istituzioni repubblicane e la nostra democrazia.
Veniamo alle materie oggetto del voto. Come è noto, quattro consultazioni riguardano normative relative al lavoro e una i tempi per l’acquisizione della cittadinanza per gli stranieri extracomunitari già legalmente residenti in Italia.
Cominciamo dal lavoro, chiarendo che non si vota per l’abolizione del cosiddetto Jobs Act, il quale era una legge delega che dava al Governo Renzi il mandato di legiferare su alcune materie. Dal Jobs Act discesero 7 leggi. La prima, la sola sottoposta al voto, è il decreto legislativo 23/2015 che introdusse il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”. Il quale ha cancellato il diritto alla tutela reale, vale a dire la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015, data di approvazione del Decreto. A quel tempo ero presidente della commissione Lavoro alla Camera che approvò il Parere finale con alcune condizioni vincolanti, tra le quali la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Condizione che fu purtroppo totalmente ignorata dal Governo. Il contratto a tutele crescenti fu dichiarato incostituzionale solo tre anni dopo la sua entrata in vigore, con la sentenza 194/2018 della Corte Costituzionale. Vi sono stati in seguito altri interventi sia legislativi sia della Consulta. Qui voglio solo ricordare una delle ultime sentenze, la 183 del 2022, che dichiarò indifferibile la riforma della disciplina dei licenziamenti, in quanto “materia di importanza essenziale per la sua connessione con i diritti della persona del lavoratore e per le sue ripercussioni sul sistema economico complessivo”. Al di là dei profili costituzionali, rimane il merito politico della scelta fatta allora, cioè cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori con tutto il suo valore. L’effetto abrogativo proposto dalla Cgil sarà, perciò, quello di estendere la reintegra a tutti i lavoratori di imprese con più di 15 dipendenti, a prescindere dalla data di assunzione.
Gli altri 3 quesiti referendari in materia di lavoro riguardano: l’abrogazione delle norme che fissano un tetto (basso) ai risarcimenti in caso di licenziamento nelle piccole imprese; l’abrogazione delle norme che hanno liberalizzato l’utilizzo del lavoro a termine, neutralizzando le causali previste in precedenza; l’abrogazione delle disposizioni che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Non si può non vedere quanto sia giusta l’intenzione di abrogare tali riduzioni di ragionevoli diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Come già ricordato sopra, il quinto referendum, promosso dal segretario di + Europa, Riccardo Magi, punta al dimezzamento, da 10 a 5 anni, dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la presentazione della domanda di concessione della cittadinanza. In molti Paesi europei, come Francia e Germania, il periodo di residenza necessario per ottenere la cittadinanza è già ora di 5 anni.
Non si vede perché dovremmo essere da meno di altri Paesi europei avanzati nei quali, peraltro, il fenomeno migratorio ha un rilievo molto maggiore che in Italia.
Tutto è discutibile. E i cittadini hanno il sovrano diritto di accostarsi a una consultazione in base alle proprie convinzioni e nel modo che scelgono.
Non è per nulla legittimo, invece, disinformare e usare un altissimo ruolo istituzionale per sabotare l’espressione della sovranità popolare garantita dalla Costituzione.

Commenti Recenti