Una diocesi che ha dissipato l’eredità di S. Ambrogio


 

di don Giorgio De Capitani

Noi ambrosiani portiamo un nome, quello di Sant’Ambrogio, che è di grande prestigio, ed è anche una responsabilità non indifferente se pensiamo all’eredità che il nostro patrono ci ha trasmesso.

Non basta vantarci di essere ambrosiani, se poi dimentichiamo ciò che Sant’Ambrogio è stato e rappresenta ancora oggi, con tutte le inevitabili rivisitazioni storiche. Per rivisitazione intendo il riesame con atteggiamento critico nuovo sulla base di un’ottica culturale diversa. C’è stato chi ha evidenziato le contraddizioni di Ambrogio, talora stridenti, ma costui non ha capito che nessuno, neppure Gesù Cristo, è stato del tutto disincarnato dalle limitatezze del suo tempo, e nessuno, neppure oggi, sarà esente da un giudizio altrettanto ingeneroso dei posteri.

Ciò che dobbiamo cogliere di Gesù Cristo e dei suoi testimoni è quel messaggio che va oltre la storicità del momento, anche se, ogniqualvolta lo cogliamo nella sua essenza più genuina, per il fatto che lo incarniamo nell’attualità, in parte lo ridimensioniamo. Ed è qui che ci vuole quella capacità, chiamatela come volete, di non esaurire nella realtà del momento un messaggio che è profetico, perciò che va oltre, sempre oltre, anche come stimolo, come spinta a coglierne, sempre, almeno un pizzico di eternità. Certo, non si tratta di mettere in ogni nostra singola azione un barlume di Profezia. La Profezia sta nell’insieme del nostro agire che si traduce man mano nelle cose che facciamo. Possiamo anche cogliere la Profezia, ma non riuscire poi in pratica a tradurla nel nostro agire. Parliamo bene, ma razzoliamo male. Facciamo tanti bei discorsi su Gesù Cristo, ma senza poi avere il coraggio di rivoluzionare il nostro apostolato.

Così noi ambrosiani dobbiamo dire dell’eredità che ci ha lasciato il nostro patrono. In che senso ci sentiamo oggi ambrosiani? Solo perché apparteniamo alla diocesi milanese?

I preti ambrosiani, proprio perché sono di quel nord ritenuto fino ad ieri la culla del benessere e dell’economia, hanno la brutta nomea di essere grandi manager nel campo organizzativo o edilizio, di essere praticoni, pragmatisti, sempre pronti a inventare qualcosa di concreto e di sensazionale per sentirsi in avanguardia anche nel campo pastorale. I soldi non ce ne mancano, così pure l’inventiva, e talora anche una certa spregiudicatezza. Obbedienti ma formali alle direttive del cardinale, al punto giusto, ovvero da far apparire di essere in linea con le direttive curiali, ma poi, ciascuno nel proprio orticello, fa i cavoli che vuole. Si lamenta solo quando gli si toglie l’orticello.

Finora, dico finora, nella mia Diocesi ambrosiana non ho quasi mai, aggiungo “quasi” per essere un po’ ottimista, incontrato un prete che si lamentasse di una pastorale troppo tradizionale, per sognare una Chiesa più aperta, una Diocesi più conciliare. C’è stato Martini, e i preti borbottavano, sempre per questioni pragmatiche. C’è stato Tettamanzi, e i preti hanno fatto lo stesso. Ora c’è Scola, e i preti se ne stanno tutti zitti, pur tra mugugni del momento; poi, trovata la posizione giusta, tutti soddisfatti! Anche noi preti ambrosiani siamo abili nel saperci adattare, addirittura fare i lecchini, pur di farci ben volere dal capo. Se il vescovo è un sant’uomo che prega tutto il giorno, facciamo finta di pregare e anche di digiunare. Se il vescovo è ciellino, ci facciamo ciellini.

Ora poi che c’è il Sostentamento del clero, le cose sono peggiorate, nel senso che siamo sotto minaccia: non possiamo disobbedire, altrimenti ci tolgono da vivere! E così i preti ambrosiani borbottano, ma obbediscono. Fingono di obbedire.

Sì, non ho quasi mai incontrato un prete che si lamentasse perché la grande eredità di sant’Ambrogio è stata tradita. Invece che rivisitare Sant’Ambrogio per le limitatezze della sua epoca, rivisitiamo il grande Santo nella sua creatività profetica. Qual è in sintesi tale creatività?

Certo, Ambrogio era anche preoccupato della organizzazione diciamo efficientistica della sua diocesi (sarà soprattutto il suo successore san Carlo Borromeo a far applicare le direttive del Concilio di Trento), ma ha voluto anzitutto dare una tale impronta pastorale da riavvicinare il popolo di Dio alla parola di Dio e al mondo dei deboli e dei poveri.

Parola di Dio, spirito di servizio e attenzione alle problematiche sociali: tre elementi costitutivi che, secondo me, hanno caratterizzato l’episcopato di Ambrogio a Milano. Mi chiedo quanto di questi elementi troviamo nella Chiesa ambrosiana di oggi.

Parola di Dio. A parte il popolo, lasciato ignorante in questioni di fede e d’altro, mi chiedo quanto i preti si preparino nelle omelie festive. Che squallore! Ogni sforzo per dire qualcosa sui brani della Messa è tutto proteso al pragmatismo più sterile. Le solite tiritere, con la solita applicazione moralistica, snobbata poi dal comportamento pratico della gente comune che ormai se ne frega del sesto e degli annessi e connessi. Nessun accenno all’attualità, se non per stigmatizzare l’edonismo altrui, senza farsi un esame di coscienza sul proprio, e il relativismo, che, guarda caso, è sempre in riferimento alle leggi assolute della morale o ai rigidi dogmi campati per aria. Tutto in funzione di un asservimento di tipo esclusivamente religioso. Parola profetica? “Che è mai questa strana parola?”, si chiedono i preti ambrosiani.  “Lasciamola ai pazzoidi che non hanno nulla da fare!”.

Spirito di servizio. Di quale servizio? Gli ambienti parrocchiali odorano di gratuità? Non si sente. Oramai ha preso piede il volontariato a pagamento. Così gli ambienti possono funzionare a pieno ritmo, non saprei con quel effetto pedagogico. Sì, qualche offerta pro questo o pro quello è nel programma pastorale. Soprattutto si aiutano i missionari che vengono a sostituire il prete, che se ne va sempre via. La gratuità o servizio non può essere un riempitivo o un alibi. È e deve essere lo stile pastorale. Un modus vìvendi e un modus operandi. Sant’Ambrogio vendeva i calici d’oro per riscattare gli schiavi. Noi vendiamo le anime per abbellire gli ambienti parrocchiali… vuoti!

Infine, attenzione alle problematiche dei deboli e dei poveri. Sant’Ambrogio si è distinto per la sua autonomia dal potere violento e per la sua attenzione alla fascia dei più deboli. Davvero interessanti le sue idee sul bene comune e sulla proprietà privata. Oggi non mi pare che i preti ambrosiani abbiano raccolto l’insegnamento del loro patrono. Quanti preti berlusconiani, e quanti giovani preti figli del berlusconismo più lurido! Un vero tradimento del Vangelo! Mi chiedo con quale coerenza un prete sostenga un Condannato e poi educa i ragazzi alla legalità o, meglio, alla giustizia. Gesù ha nettamente distinto la legalità dalla giustizia. La legalità era quella farisaica, la giustizia era quella del nuovo Regno. Anche il cristianesimo deve saper distinguere la legalità dalla giustizia. Non mi pare che i preti ambrosiani abbiano in tal proposito delle idee chiare. Non parliamo poi di che cosa pensano del bene comune, o dei valori Umani.

La Chiesa ambrosiana da tempo è diventata borghese ed è rimasta tradizionalista. Si è chiusa in se stessa. Strutturalmente in affanno, ma ultimamente non si pensa che alla riorganizzazione delle parrocchie spegnendone l’anima profetica. Non basta la cultura del Principe cardinalizio per coprire il vuoto con una tinteggiatura di facciata. L’intelligenza è dei profeti, non dei gerarchi dal pugno duro. I preti, certo, obbediscono, per paura, magari per terrore. Ma gli spiriti liberi non si fanno sottomettere.    

Sant’Ambrogio dovrebbe riprendersi la sua Cattedra, e trasmettere ai preti moderni che si dicono ambrosiani l’amore per la Parola radicale di Dio, il senso evangelico del servire la Chiesa e i poveri. In più, se fosse qui oggi, avrebbe il vantaggio che lo Spirito, attraverso i Concili, ha fatto sentire con più forza la sua voce. Voce che abbatte le mura, che apre le finestre, che non si chiude nel cerchio di una religione asfittica o di Movimenti ecclesiali in balìa di un potere corrotto e corruttore.

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14 Commenti

  1. Ludovico ha detto:

    Gli articoli letti fino ad ora costituivano a mio parere una legittima difesa.
    Questo, sempre a mio parere, sembra l’inizio di una vendetta che, mi sembra, non è molto cristiana.

  2. Patrizia 1 ha detto:

    Non mi è mai successo di ascoltare delle omelie con tanto interesse come mi accade con don Giorgio,per il resto se mi volete torturare, fatemi ascoltare quei polpettoni allucinanti che comunemente si sentono nelle chiese “normali”. Don giorgio è uno dei pochi che ha rispetto dell’intelligenza degli altri, ed è così raro di questi tempi.
    Papa Francesco se ci sei batti un colpo.

  3. agostino ha detto:

    Ambrogio non può essere certo preso a modello del comunismo. È una lettura fortemente strumentalizzata della posizione sua e dei Padri della Chiesa, come Basilio Magno o Giovanni Crisostomo, sulla proprietà privata. Secondo i Padri della Chiesa, Dio ha dato a tutti l’ordine di custodire, coltivare e dominare la terra, godendo dei frutti che sono un suo dono gratuito: la proprietà privata nasce dopo il peccato originale. Lo scrivono nei primi grandi commenti alla Genesi: Dio non ha destinato il mondo solo ad alcuni, per cui chi possiede un bene deve sentirsi responsabile anche per chi ne è privo. I Padri, da un lato, sostenevano la liceità della proprietà privata, ma dall’altro lato ricordavano anche la destinazione responsabile dei beni che un uomo può avere. A muoverli, era una motivazione eminentemente religiosa.
    Alla radice di questa destinazione universale dei beni non c’era certo una lotta di classe, ma il riconoscimento che tutti gli uomini sono figli di uno stesso Padre. È per lo meno impreciso vedere Ambrogio come un uomo che, per difendere i deboli, attaccava il potere.
    Conclusione: leggiti meglio i Padri della Chiesa (Giovanni Crisostomo inclusi) e non i pagliacci alla Fo.

  4. davide ha detto:

    Ancora una volta grazie Don Giorgio per la chiarezza della sua analisi ……. la condivido in pieno

  5. Paolo ha detto:

    Ancora una volta don Giorgio ha ragione, maledettamente ragione. C’è quel ”quasi mai” che riconosce i meriti di una ”minoranza qualificata” di preti, ma, purtroppo, se ci guardiamo in giro ha stramaledettamente ragione don Giorgio. E lo vediamo anche dallo squallido, irresponsabile e ridicolo atteggiamento della curia sul suo caso, degno delle migliori multinazionali Usa e del miglior socialismo reale. Complimenti a Scola!

  6. GIANNI ha detto:

    Attualizzare personaggi e periodi storici è sempre o quasi opera improba, anche perchè ognuno è figlio del suo tempo.
    Non solo, talora spesso si tende a travisare l’operato di personaggi storici, talora reinterpretati in ottica eccessivamente apologetica.
    Ambrogio (poi divenuto santo) era amante dell’esegesi biblica, ma qualche storico, giustamente, ha fatto un’esegesi storica di Ambrogio, continuerò a chiamarlo così.
    La realtà è che, personaggio storico importante, unitamente a quanto ricordato nell’articolo, va anche detto di lui che era tuttavia anche un notevole intollerante, per usare un eufemismo, decisamente più di tutti i preti o fedeli che oggi parlano di ortodossia.
    Che qualcosa di questa intolleranza, appunto, riecheggi anche nella attuale tradizione della chiesa ambrosiana?
    Come non ricordare che riteneva opera sacra il bruciare le sinagoghe?
    Sicuramente Ambrogio scrisse molto e difese il cattolicesimo, ma anche a costo di invadere le altrui chiese (in particolare quelle degli ariani) ed a costo di difendere l’operato di coloro che erano dediti agli incendi delle chiese altrui, anzi, egli stesso disse che era stato lui l’ideatore di siffatti atti.
    Una volta ho letto il commento di uno storico, che lo definì antesignano di certi atti nazisti.
    Insomma, io penso che un po’ di spirito profetico e di realismo storico non faccia male anche nella rivisitazione di coloro che, per il cattolicesimo, sono santi.
    Se, quindi, è per questo, cioè per una sostanziale intolleranza, allora certo possiamo anche dire che un po’ di spirito intollerante ambrogino caratterizzi certi ecclesiastici, come colui definito principe cardinalizio.

    Certo, la chiesa di oggi non è quella di secoli fa, ma qualcosa è rimasto.
    Del resto, se non fosse così, non sarebbe chiesa.
    Peraltro ricordo anche che Ambrogio era contrario ad una chiesa assembleare, e fu strenuo difensore del primato petrino.
    Anche per questo, forse, come dicevo in altri commenti, sarebbe necessario prendere atto, non dico solo da parte di taluni sacerdoti, ma anche da parte di fedeli che vorrebbero qualcosa di diverso, che questo qualcosa è opportuno costruirselo da soli.
    Finchè si rimane sotto il cappello, la dicitura, la categoria di una singola religione o confessione, necessariamente si sbatte contro la contraddizione di voler essere liberi spiriti profetici, quando invece ci si lascia incasellare, imprigionare, classificare.
    In una religione, in una confessione, ecc.
    Del resto, non è forse il giuramento di obbedienza uno dei primi atti dei nuovi sacerdoti?
    Ed anche a tal riguardo, dove sta la coerenza?
    Un libero spirito profetico, che sia realmente tale, non solo a parole, potrebbe mai pronunciare un siffatto giuramento?
    Ecco perchè io preferico il libero pensiero.
    Se un libero pensatore mette in dubbio dei dogmi, ritiene liberamente che Cristo sia da interpretare in un certo modo, e via dicendo, non pone limiti a questo suo libero, forse profetico, pensiero, propro perchè non si dichiara cattolico, piuttosto che protestante, ecc. ecc.
    Non giura obbedienza ad una ortodossia o ad una gerarchia.
    Ecco perchè, a prescindere dalle idee professate, ammiro il libero pensiero di un Mancuso.
    Ecco perchè, invece, dico che Kung è un libero pensatore che preferisce restare, tuttavia, nella sua prigione.

    Ed è per questo, che dico anche: e la comunità di Monte?
    Coloro che sono favorevoli a don Giorgio, preferiscono continuare a restare prigionieri dell’incasellamento cattolico, o essere realmente liberi profeti, ognuno con il suo, con le sue capacità?

    Una ulteriore proposta:
    volete davvero comunicare alla gerarchia ecclesiastica il vostro dissenso in modo efficace?
    Allora, non so se profeticamente o meno, vi suggerisco questo, idea che ho quasi avuto in sogno questa notte:
    se e quando don Giorgio non celebrerà più la messa, i sostenitori di don Giorgio vadano alla prima messa celebrata dal nuovo sacerdote e, poco dopo l’inizio, escano dalla chiesa uno ad uno.
    Questa cosa potrebbe ripertersi diverse volte.
    Contemporaneamente qualcuno di loro, quale rappresentante, scriva al vescovo, al vicario, al nuovo sacerdote, o comunque a chi prenda il posto di don Giorgio, parroco o non so chi altro, ecc, per dire che se don Giorgio non viene reintegrato nelle sue funzioni, loro non andranno neanche più a messa.
    La chiesa rimarrà vuota, o solo con coloro per i quali non importa se c’è don Giorgio o altro sacerdote.
    A volte certi atti sono comunicativamente più efficaci di mille lettere di protesta.
    Le lettere, o mail ecc., le userete solo per spiegare il vostro gesto.
    Chissà, forse così otterreste di più che non cercando di convincere la gerarchia con lettere di semplice protesta, e non di spiegazione del gesto di non andare più a messa, che, forse, non vengono neppure lette.
    La gerarchia cosa deciderebbe?
    Lascerebbe la chiesa praticamente vuota?

  7. Franca Paciarotti ha detto:

    Conosco personalmente Don Giorgio in quanto vado ad ascoltare le sue omelie a Monte di Rovagnate e ne apprezzo in particolare il modo in cui viene da lui comunicato il significato di ogni brano Evangelico, calandolo nella realtà di tutti i giorni.
    Ogni volta, uscita dalla Chiesa, mi ritrovo a riflettere sulle sue parole ed avverto il desideri o di soffermarmi con altre persone su quanto ho avuto modo di sentire da Don Giorgio.
    È questo il motivo molto importante che mi porta a considerare molto triste e dolorosa la condizione in cui questo sacerdote e tutta la sua comunità stanno ora vivendo.
    Non si può, a mio avviso, procedere ad un distacco forzato, ma occorre ripensare all’insegnamento di Gesù Cristo, che non avrebbe mai voluto che un suo pastore ad un certo punto venisse impossibilitato ( perché emarginato) a prendersi cura dell’intero gregge a lui affidato.
    Ciò che sta ora accadendo a Monte è dovuto ad una decisione calata dall’alto, che suscita inevitabilmente in me tanta amarezza ,sconforto e disappunto nei confronti della Chiesa Cattolica, la quale, forte del suo potere, sa diventare disumana.

    • dottginkobiloba ha detto:

      approfondimento interessante, solo una piccola precisazione, si dovrebbe andare a messa per assistere al miracolo eucaristico e partecipare,attraverso la comunione, al sacrificio della morte (e resurrezione) di Cristo. il resto è coreografia. se una persona sceglie a quale messa andare in base alla simpatia che prova per il celebrante o per l’omelia più o meno interessante (o soporifera)ha capito ben poco

      • Carlo Antonini ha detto:

        Sono convinto che sia indispensabile capire il messaggio di Cristo se si vuole diventare buoni cristiani, quindi un’omelia che induca alla riflessione non può dirsi coreografia, ma parte integrante della Messa.
        Chi non la pensa così dimostra di far parte di quella chiesa che ha proibito il possesso delle copie della Bibbia (concilio di Tolosa del 1229) e messo all’indice le traduzioni della Bibbia in volgare (concilio di Tarragona del 1234).

  8. Carlo Antonini ha detto:

    Dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto è stata trovata la scusa per mettere a tacere una voce che ha il grave torto di dire la verità sulla Chiesa Cattolica che rappresenta più un pote-re politico che spirituale e su una classe politica che rappresenta solo se stessa e i suoi inte-ressi. Ma don Giorgio non è solo questo: le sue omelie riescono a calare il Vangelo nella realtà di tutti i giorni e lo rendono vivo. È forse questo che preoccupa?

  9. renato ha detto:

    BUONGIORNO è triste , ma allo stesso tempo siamo partecipi di una grande storia , quella che ci fa adulti , come amministratore hò bisogno di respirare aria vera nuova , che si rinnova sempre pensare in grande , sono con lei DON GIORGIO ,nella fatica si esce sempre migliori , nella fede in CRISTO vi è la motivazione per un vivere non banale ma incarnato nella vita di ogni giorno.
    renato

  10. Kerigma ha detto:

    Critiche davvero ingenerose. Non saremo la diocesi migliore del mondo, ma vedo nel mio decanato ancora tanta carità e spirito di servizio. Poi per carità, siamo tutti peccatori, e se non fosse per la miseriordia di Dio, saremmo tutti paglia nel forno. Ma questo vale per tutti, non solo per la diocesi di milano.

    Poi, il suo discorso mi sembra troppo “pretecentrico”: preti qui, preti là… Ma la diocesi siamo noi battezzati, prima ancora che la “macchia” sulla quale lei sta concentrando il suo discorso. Capisco il suo livore nei confronti della gerarchia che l’ha per così dire “terminata”.
    Ma si sforzi di vedere il bicchiere mezzo pieno, un po’ di vento dello spirito, nelle sue parole! O il carisma di missione finisce quando le cose non girano come si vorrebbe?

    La abbraccio forte, ma la invito a essere ottimista, e più generoso nei confronti di una diocesi “corpo mistico” della quale fino a pochi mesi fa era ingranaggio operativo e fattivo.

  11. dottginkobiloba ha detto:

    lei avrà anche ragione, ma deve tenere conto che di sua spontanea volontà , quando si è fatto prete si è inserito in una struttura dove esiste una gerarchia. ripensando a tutto quello che ha detto su questo sito al card scola prima che arrivasse a milano (e anche dopo)non si deve stupire del trattamento che le stanno riservando. che ho una piccola attività, se un mio dipendente un giorno si e l’altro pure non fa altro che insultarmi lo posso anche sopportare ma il giorno dopo che ha maturato la pensione…….

  12. pierluigi ha detto:

    E’ sempre la struttura che opprime; pensiamo che dopo due conflitti mondiali disumani, l’utilizzo della chimica per sopprimere prima ancor che per vincere la guerra; l’utilizzo della fisica per distruggere e sopprimere per terminare la guerra; é arrivata da uno dei più vecchi cardinali all’epoca di utilizzare la ripresa economica più o meno generalizzata nel vecchio continente per pensare ad un Concilio dove tentare attraverso la fede di superare le divisioni esistenti, ma tutto il resto della struttura cosa aveva pensato dalla fine del secondo conflitto mondiale? Mi auguro e Le auguro caro don Giorgio, di poter assistere e magari partecipare a quella ventata di metodo semplice , fresco e innovativo che si è intravisto con i primi lavori e passi di Papa Francesco; diversamente anche la “ambrosianità” resterà quella che é oggi, un oggetto smarrito, ma non si sa in quale posto depositato.

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