La protesta dei Masai, sfrattati dalle loro terre

www.huffingtonpost.it
26 Agosto 2024

La protesta dei Masai, sfrattati dalle loro terre

di Carlo Renda
Doveva essere un ricollocamento volontario, a difesa del cratere di Ngorongoro, ma si è trasformato in una prova di forza del governo, che ha calpestato tradizioni e diritti di un’intera comunità. Perché deve far spazio ai turisti e agli affari d’oro che fanno gola alla Tanzania
L’avviso di sfratto è arrivato da tempo, ma i Masai non se ne vogliono andare. Per questo sono pronti a resistere a oltranza e sono scesi in strada, arrivando a bloccare le auto dei turisti in safari lungo la strada principale che collega il parco nazionale del Serengeti e il cratere di Ngorongoro, nel nord della Tanzania.
Ricollocare la comunità Masai è da anni un obiettivo del governo di Dodoma. Gli ultimi mesi hanno impresso un’accelerazione al processo. A fine luglio un report di Human Rights Watch ha fatto ulteriore luce su quanto accade. Non è la prima volta che i Masai sono costretti a spostarsi per lasciare spazio al turismo: già negli anni Cinquanta il governo coloniale costrinse migliaia di loro a lasciare il Serengeti; nel 1959 aveva istituito la Ngorongoro Conservation Area (Nca), nella regione di Arusha, come patria permanente delle popolazioni che vivevano attorno al cratere di Ngorongoro, in grande maggioranza Masai. Ora il governo vuole liberare questa area, entro il 2027, allontanando circa centomila Masai dalle loro case e dalle loro terre d’origine. La popolazione di Ngorongoro, spiega il governo, è passata da 8.000 a 110.000 in pochi anni e rende difficile mantenere la natura incontaminata dell’area, salvaguardando lo status di patrimonio mondiale Unesco. Anche il bestiame è aumentato vertiginosamente.
Per le ong dei diritti umani, invece, la decisione ha più basi politiche ed economiche, perché il turismo dei safari è una voce troppo importante per il bilancio della Tanzania e per il mercato del lavoro. Espandendo le terre protette, la Tanzania spera di attrarre milioni di investimenti esteri e sempre più turisti: lo scorso anno, oltre un milione di persone hanno visitato i parchi nazionali. Negli ultimi mesi la Banca Mondiale, l’Ue e altre realtà hanno però congelato i finanziamenti alla Tanzania per preoccupazioni legate alla violazione dei diritti umani.
Senza alcun confronto con la comunità, il governo ha incentivato i Masai a spostarsi a 600 chilometri di distanza, nel villaggio di Tsomera della regione di Tanga, fornendo a chi accettava una casa e un terreno da coltivare, rinnovando le strade, costruendo una scuola elementare, un centro sanitario, il sistema idrico, l’ufficio postale, la stazione di polizia. Di fronte alla scarsa disponibilità dei Masai a trasferirsi, il governo ha cambiato metodo, introducendo restrizioni e arrivando anche alle violenze e ai pestaggi per forzare lo sgombero, documentate dalle ong Human Rights Watch e Amnesty International: ha iniziato, già nel 2022, a ridurre in modo sistematico i servizi essenziali ai residenti della Ngorongoro Conservation Area – con restrizioni al cibo, all’alloggio, all’assistenza sanitaria e all’istruzione – perfino a impedire il pascolo degli animali in aree specifiche dell’area, con un impatto notevole sul reddito di una popolazione di pastori, infine anche con limiti al libero esercizio del diritto di voto.
“Siamo stati intimiditi, aggrediti, arrestati, multati e picchiati”, rivela il legale che difende gli interessi dei Masai, Denis Oleshangay, “è in atto un genocidio culturale, un crimine contro l’umanità, stanno cercando di renderci la vita così dura che nessuno rimarrà” aggiunge, sottolineando che hotel di lusso, lodge e campeggi dentro e fuori l’area protetta sono più dannosi per l’ambiente rispetto alla popolazione Masai e al suo bestiame. “La conservazione è una buona cosa, non siamo contrari. Siamo contro la conservazione attuata in modo discriminatorio, militarista”.
Al Jazeera racconta la storia di Emmanuel Kituni, 39 anni, che di recente si è trasferito in una delle case a schiera di tre stanze del villaggio di Msomera. “Avevamo paura di lasciare le terre dei nostri antenati. Io sono nato lì e ci ho vissuto tutta la vita, quindi è stato difficile per me andarmene”, ha detto Kituni, che racconta le difficoltà di ambientamento nella nuova realtà, “perché qui era tutto nuovo e non conoscevo nessuno”. Si è adattato, però, racconta, e ora può coltivare, mentre a Ngorongoro glielo impedivano. Oltre all’appartamento ha anche ricevuto cinque ettari di terreno agricolo e 10 milioni di scellini (3.700 dollari) di indennizzo. “A Ngorongoro eravamo sottoposti a così tante restrizioni. Se metti su anche solo una staccionata di legno ti chiedono il permesso. Qui almeno mi sento libero”, racconta. Ma l’avvocato Oleshangay rimarca che “non stiamo dicendo che tutti vogliono restare, stiamo difendendo coloro che non vogliono andarsene. Non è solo la terra, è la cultura, è la religione, è tutto ciò che rende una società ciò che è. Mi chiedete di andarmene, ma mi state dando un pezzo di terra che non ha alcun valore per me” spiega il legale, aggiungendo che, ad esempio, ci sono riti religiosi importanti per la comunità che possono essere eseguiti solo in siti ancestrali come l’Ol Doinyo Lengai, o la Montagna di Dio, un vulcano attivo che si trova negli altopiani di Ngorongoro.
Alla Cop15 di Montreal, nel 2022, la Tanzania ha siglato un patto globale per la protezione della natura, impegnandosi a conservare almeno il 30% delle terre e degli oceani del pianeta entro il 2030: è il cosiddetto piano 30×30 che prevede però che le popolazioni indigene siano incluse nella protezione della biodiversità. E il Parlamento della Tanzania, secondo documenti visionati da DW, sta discutendo un’altra proposta per la creazione di altre aree protette che richiederà la rimozione di altri 100 villaggi Masai. Le ong calcolano che, così, sarebbero in totale più di 300mila le persone sfollate: “Se i piani saranno attuati i Masai perderanno l’80-90 per cento delle loro terre originarie” afferma Roman Herre della ong tedesca Fian, “una distruzione totale del loro stile di vita”.
La Chiesa cattolica ha preso una posizione forte in favore dei Masai. Il presidente della Conferenza episcopale della Tanzania, il vescovo Wolfgang Pisa ha esortato il governo al rispetto dei principi di trasparenza, verità, pace e giustizia, dicendo che i beni del paese sono di proprietà del popolo e sono gestiti temporaneamente dal governo per conto del popolo. Per questo la comunità Masai dovrebbe essere rispettata e ascoltata, non sconvolta nel loro stile di vita e nella loro tradizione, non picchiata e privata dei servizi e dei diritti essenziali. Non è vero che le persone si stanno spostando volontariamente, sono costrette ad andarsene e stanno alzando la voce per la negazione dei loro diritti… Il governo dovrebbe sedersi al tavolo con la gente di Ngorongoro – è l’appello del prelato – non costringerli a spostarsi”.

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