A un giudice qualsiasi di un qualsiasi tribunale italiano

di don Giorgio De Capitani
Credo che qualsiasi cittadino abbia il diritto di difendersi anche di persona, oltre che mediante propri avvocati, da un sistema di potere che usa l’arma della querela per colpire quella libertà di espressione o di opinione o di giudizio, diciamo di parola, che fa parte di uno Stato che si ritenga democratico.
Ai propri avvocati è il compito di preparare una difesa legale, che certamente non compete al comune cittadino, ma ciò non toglie all’assistito il diritto di dire anche la sua. 
Ecco ciò che penso.
Anzitutto, vorrei di nuovo soffermarmi sulla questione, ritenuta tuttora un punto chiave per la legge italiana, dell’offesa alla “persona”. Ora, tirare subito e sempre in ballo questa storiella, di cui, oltre alla giustizia italiana, si avvale il potere inquisitoriale, è una scusa o un alibi per reprimere la libertà del pensiero. Sì, una scusa o un alibi che rasenterebbe il ridicolo, se  non ci fosse di mezzo la scure che si abbatte inesorabile sugli spiriti liberi.
Non ho mai capito, e non capirò mai, quel mettere dei paletti alla libertà del pensiero, in nome di chissà quale rispetto per la “persona”, quando è evidente che il giudizio, bello o brutto, blando o feroce, riguarda esclusivamente il comportamento, e non la “persona” in quanto tale.
E se succede che il divario tra la “persona” e il suo comportamento si assottigli fin quasi a sparire, ciò non è sempre dovuto alla cattiva fede di chi contesta quel tizio, ma al delirio di onnipotenza del tizio che non solo vuole far “apparire” ma realmente identificare se stesso (in quanto persona) con il suo comportamento. Non sto qui a citare i casi: sarebbero troppi da elencare. Ma non posso, tuttavia, dimenticare ciò che per milioni di italiani, e per diversi decenni, ha rappresentato Silvio Berlusconi: il suo ego personale e il suo agire in tutte le varie sfaccettature morali e politiche, erano la stessa cosa: ciò rientrava, appunto, in quel delirio di onnipotenza, tipica di dittatori e di populisti di tutti i tempi. In breve, posso riassumere così: Io sono perché mi comporto in un certo modo!
Quando l’idolo delirante – un impasto di egoità e di comportamentalità (scusate la terminologia!), ovvero un “unicum” tra coscienza e alienazione –, finalmente si è frantumato sotto i colpi del tempo (un giudice che non perdona), e di un popolo, la cui natura sembra quella del puttaniere che cambia bandiera a seconda dei venti favorevoli, inevitabilmente è venuto meno anche ogni mio giudizio, essendo di quel fantoccio di cartapesta rimasto solo un pugno di ceneri.
Vorrei aggiungere un’altra cosa. So di essere magari frainteso, ma la mia schiettezza non mi permette di tacere.
Talora, soprattutto se si tratta di politici a cui manca ogni buon senso nel campo del bene comune, ovvero di quel grande Bene che è l’Umanità, mi è difficile, quasi impossibile, vedervi la “persona”, per cui mi sembra del tutto paradossale parlare di offesa “personale”, quando in realtà c’è solo un insieme comportamentale che copre perfino ciò che noi chiamiamo “coscienza”. Anche qui, la colpa non è di chi non vuole vedere la “persona” da rispettare, ma di chi fa di tutto per “apparire” in tutto il suo armamentario disumano.
Ma c’è di più. Quando è in gioco il bene comune – nel campo o contesto politico esso è l’essenza stessa della Democrazia – non ritengo né opportuno né doveroso mettere in primo piano la “persona”, la quale, anzi, deve cedere il posto al bene comune. E il bene comune è anche l’insieme di quei cittadini, dunque anch’essi “persone”, che hanno il diritto di essere tutelati e difesi dai comportamenti o dalle ideologie razziste di politici che prevaricano sui diritti dei più deboli. E perciò ritengo mio dovere, tra la “persona” del politico razzista o criminale e le “persone” dei più deboli, scegliere queste ultime. In altre parole, ritengo assurdo o paradossale essere accusato di offendere la “persona” di un criminale, mentre costui si permette, anche in forza del suo potere o del suo consenso popolare, “offendere” la dignità di milioni di innocenti, lasciandoli magari morire con leggi infami.
Nessuno riuscirà mai a convincermi che è violare la legge o la costituzione, se dicessi a un criminale che è un criminale, un bastardo, un razzista, un barbaro e, perché no?, un figlio di puttana. O la legge italiana colpisce chi usa un certo linguaggio ritenuto formalmente o socialmente o politicamente poco corretto, e lascia impunito chi permette ai poveri cristi di morire, affogati o abbandonati o spediti al loro destino infernale?
Siamo all’assurdo di condannare chi travalica la decenza ipocrita del linguaggio, quando è a tutti chiaro il significato del suo messaggio.
No! Si guarda alla forma, e, condannandola, si condanna nello stesso tempo anche il suo messaggio. E, in tal modo, trionfa la giustizia delle formalità, e l’ingiustizia di chi se ne approfitta per violentare, rispettando le leggi che lui stesso si inventa, i diritti dei più sfortunati.
Sì, qui è in gioco un ribaltamento della giustizia: i più forti vincono, rispettando le regole perverse del loro potere, mentre i più deboli soccombono nel mare delle criminalità più protette.
Ah, certamente i credenti invocano la giustizia divina, ma alla fine dei tempi, lasciando che nel frattempo criminali, sia politici che religiosi, facciano stragi di dignità umane, di coscienze, di quella giustizia che non aspetta troppo, lasciando impuniti il male e i suoi carnefici.
Un’ultima cosa. Fino a qualche anno fa credevo che le querele servissero ai più deboli per difendersi dai prepotenti, e invece mi sbagliavo.
Ora  le querele servono ai più forti per far zittire gli spiriti liberi che, proprio perché liberi, rinunciano anche a querelare, perché credono che la loro unica arma sia la forza della verità e della giustizia, quella Umana.
È allucinante sapere che i tribunali italiani siano intasati di querele da parte di politici che le usano per mettere sotto silenzio la voce delle persone più libere.
Ma ciò non servirà a far tacere la voce della coscienza di chi si ribella ad ogni sopruso e ad ogni violazione dei diritti della libertà e della giustizia.
I tribunali del potere sono sempre finiti per diventare la tomba della verità e della giustizia,  ma c’è un Tribunale, al di sopra di ogni ingiustizia, che prima o poi diventerà la tomba degli aguzzini e servitori dei crimini umanitari.
Ogni condanna emessa dai tribunali del potere è la prova del marciume di una giustizia che vuole sostituirsi alla voce della Coscienza.
Giudicate pure, condannate gli spiriti liberi, ma finirete nella tomba della vostra dissennatezza criminale.

 

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