Perché il «pull factor» delle ong non esiste, punto per punto

Rassegna dell’immigrazione

Perché il «pull factor» delle ong non esiste,

punto per punto

di GIANLUCA MERCURI
Il governo italiano è tornato a sostenere l’esistenza di un «pull factor» nei confronti dei migranti, un fattore di attrazione rappresentato dalle attività di ricerca e salvataggio condotte dalle organizzazioni non governative (ong). Si tratta di un argomento ricorrente nella polemica tra partiti e, come in questo caso, tra Stati. Ma anche — in base agli studi scientifici più rigorosi di questi anni — un argomento non sostenuto dai fatti. Un argomento falso. Proviamo a capire perché, punto per punto.
L’attacco di Crosetto Tutto è (ri)cominciato con un’intervista alla Stampa, in cui il ministro della Difesa ha definito «molto grave» che i tedeschi finanzino le ong impegnate nel salvataggio in mare e nell’accoglienza. E ancora: «Berlino finge di non accorgersi che, così facendo, mette in difficoltà un Paese che in teoria sarebbe “amico”. Di fronte alla nostra richiesta d’aiuto, questa è la loro risposta? Noi non ci siamo comportati allo stesso modo quando Angela Merkel convinse l’Ue a investire in Turchia miliardi di euro per bloccare i migranti che arrivavano in Germania dal Medio Oriente».
La lettera di Meloni La polemica si è alzata di livello con l’ingresso in scena della premier, che ha scritto direttamente al cancelliere Scholz, il suo omologo: «Ho appreso con stupore che il tuo governo, in modo non coordinato con il governo italiano, avrebbe deciso di sostenere con fondi rilevanti organizzazioni non governative impegnate nell’accoglienza ai migranti irregolari sul territorio italiano e in salvataggi nel mare Mediterraneo».
L’affondo sul ruolo delle ong Meloni ha anche ribadito la sua linea sul presunto pull factor delle ong: «È ampiamente noto che la presenza in mare delle imbarcazioni delle ong ha un effetto diretto di moltiplicazione delle partenze di imbarcazioni precarie, che risulta non solo un ulteriore aggravio per l’Italia, ma incrementa il rischio di nuove tragedie in mare». È questo il punto chiave che analizziamo qui (diverso è il punto politico, se cioè sia opportuno aprire una polemica con la Germania sui migranti proprio in questo momento).
I numeri degli sbarchi Basterebbero questi dati ufficiali — dati del ministero dell’Interno — a smentire la teoria del pull factor. Come scrive Pagella Politica, «dall’inizio del 2023 sono sbarcati sulle coste italiane oltre 133 mila migranti, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 e il triplo rispetto allo stesso periodo del 2021. In compenso la percentuale di migranti salvati dalle navi Ong nel Mar Mediterraneo è diminuita sia in valore assoluto sia in percentuale. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nei primi sette mesi di quest’anno le Ong hanno salvato meno di 4 mila migranti, circa il 4 per cento sul totale di quelli soccorsi in mare. Nei primi sette mesi del 2022 questi numeri erano stati pari rispettivamente a oltre 6 mila e al 15 per cento. In totale i migranti soccorsi tra gennaio e luglio 2023 sono stati quasi 65 mila, nello stesso periodo del 2022 erano stati circa un terzo». Lo stesso ministro Crosetto, del resto, nella replica al portavoce tedesco ha detto: «Per quanto riguarda i salvataggi in mare, infine, voglio rammentare agli amici tedeschi che quelli effettuati dalle Ong rappresentano appena il 5%». Un mini pull factor, insomma. E dunque?
Una volta per tutte: è vero o no? Risposta in una parola: no. Risposta più articolata: tutti gli studi degli ultimi anni dimostrano il contrario. Il più recente, pubblicato in agosto dalla rivista internazionale Scientific Report (stesso gruppo editoriale di Nature), ha analizzato per 10 anni proprio le rotte migratorie che riguardano l’Italia e ha concluso che «non ci sono differenze statisticamente significative» tra le partenze in presenza o in assenza di attività in mare di ong. Contano semmai i push factor (fattori di spinta: condizioni economiche, politiche, ambientali) e, all’atto di mettersi in mare, le condizioni meteo.
Dai salvataggi alla deterrenza Lo studio analizza tre periodi, tra il 2011 e il 2020. Il primo è quello «segnato dall’inizio di Mare Nostrum, la più grande operazione di ricerca e salvataggio guidata da uno Stato (l’Italia) nella storia europea, che si è svolta tra il 18 ottobre 2013 e il 31 ottobre 2014». Il secondo parte dall’agosto 2014, data della prima significativa operazione di ricerca e salvataggio gestita da privati. Il terzo periodo, dal gennaio 2017, corrisponde alla progressiva applicazione degli accordi tra le autorità libiche e l’Unione europea (col governo italiano guidato da Paolo Gentiloni in prima linea). Questo periodo, si legge nello studio, «riflette uno spostamento dell’attenzione politica dal salvataggio dei migranti in difficoltà in mare alla priorità dell’applicazione della legge legata alla deterrenza della migrazione irregolare, compresa la crescente esternalizzazione del controllo e della gestione della migrazione a territori esterni ai confini europei, fino alla criminalizzazione delle Ong, collegata discorsivamente alla tesi del “fattore di attrazione” e al fallimento dei meccanismi di solidarietà all’interno dell’Ue».
I fattori esogeni (push factor) La conclusione degli autori della ricerca è che «l’affermazione del “fattore di attrazione” in relazione alle operazioni di ricerca e salvataggio manca di supporto empirico». Piuttosto, «le variazioni nel numero di tentativi di attraversamento attraverso la rotta del Mediterraneo centrale possono essere ben spiegate da fattori plausibilmente esogeni». E cioè quelli identificati come push factor, fattori che spingono i migranti a partire, come «l’intensità dei conflitti, i prezzi delle materie prime, gli indicatori meteorologici, i cambi di valuta, alcune catastrofi naturali e i flussi di traffico aereo tra i Paesi e l’Ue».
Cosa davvero ha fermato gli sbarchi Lo studio registra «una riduzione del numero di tentativi di attraversamento a seguito dei respingimenti coordinati e dell’estensione della zona di ricerca e salvataggio libica», con il lavoro sporco della guardia costiera e delle autorità libiche nel trattenimento dei migranti. Se si decide di prescindere dalle considerazioni morali — «Notiamo che ciò è avvenuto a spese di un significativo deterioramento della situazione dei diritti umani dei migranti in Libia», scrivono i ricercatori — è netto il riconoscimento che «fermare le partenze», almeno in una certa fase e a certi costi, è stato possibile. Ma questo conferma che le operazioni delle ong sono un effetto e non una causa degli attraversamenti in mare.
Lo studio di Villa e Cusumano L’altro grande studio sul presunto pull factor è stato realizzato nel 2020 da Matteo Villa dell’Ispi e da Eugenio Cusumano dell’Università di Leiden, in Olanda. I due ricercatori erano giunti alle stesse conclusioni di Scientific Report: analizzando le partenze dei migranti dalla Libia tra il gennaio 2014 e il gennaio 2020 (sulla base di dati della Guardia costiera italiana, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni e dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati), hanno dimostrato che a determinare le partenze sono le condizioni meteo e l’instabilità politica, non l’attività di salvataggio e soccorso. E anche questo studio rileva la diminuzione delle partenze dalla Libia dopo l’accordo raggiunto nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, del Pd.
Ma perché il governo insiste sulle ong? In parte perché la polemica sui «taxi del mare» è un cavallo di battaglia di Lega, Fratelli d’Italia e 5 Stelle dai tempi del governo Conte 1. In parte perché un anno fa si parlò a lungo di un rapporto di Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) in cui si accennava al presunto pull factor esercitato dalle ong nei primi 5 mesi del 2021: ma anche questo dato è stato smentito da Matteo Villa: «Un rapporto Frontex sostiene che le Ong siano state “pull factor” dal 1° gennaio al 18 maggio 2021. Così sono andato a controllare. Partenze di migranti con Ong in area SAR: 125 al giorno. Con nessuna Ong: 135 al giorno». Quel rapporto è rimasto un mistero, non essendo mai stato reso pubblico. Di certo, come ha spiegato il Post, «Frontex ha smesso di riferirsi alle ong come un “pull factor” per i migranti». Eppure «il governo Meloni continua ad appoggiarsi a quei vecchi rapporti e documenti, ignorando il fatto che nel frattempo l’agenzia abbia cambiato posizione, pubblicamente e anche nei documenti che condivide col Management Board (quindi anche col rappresentante del governo italiano dentro Frontex)».
E la tesi degli accordi tra ong e scafisti? Un’altra bufala storica propalata da pochi magistrati e a turno da Lega, Fratelli d’Italia e 5 Stelle: «A oggi non ci sono sentenze definitive che hanno condannato organizzazioni umanitarie per aver incentivato con le loro navi l’immigrazione irregolare», ricorda Pagella Politica. Gli unici processi ancora aperti — tra le decine di intentati — sono quelli contro le ong Iuventa, Msf e Save the Children, che si trascinano da anni e sono contestati da organizzazioni umanitarie come Amnesty International. Ma parlare di accordi sistematici tra ong e trafficanti è affermare il contrario della verità.
Le oscillazioni sulle ong Ci sono pure quelle: da una parte il governo le demonizza. Dall’altra le chiama quando la situazione si fa pericolosa. La «naturale convergenza tra ong e scafisti» di cui ha parlato spesso Meloni c’è invece, per fortuna, tra le ong e il suo governo, sotto forma di autorità preposte al controllo dei mari. Non è un paradosso ma quello che è successo — per esempio, ma non solo — all’inizio di luglio, quando, come ha raccontato il Foglio, la Guardia costiera italiana «ha chiesto espressamente all’ong Open Arms di effettuare non una, ma ben sei operazioni di salvataggio. Mostrando un livello di coordinamento che non si vedeva almeno dal 2018, il Comando generale delle capitanerie di porto di Roma e le navi delle umanitarie si sono ritrovati insieme a salvare persone. “Una situazione di normalità”, la definisce Veronica Alfonsi, portavoce dell’ong spagnola». Ma l’operazione «non ha riguardato solo Open Arms. Nel giro di poche ore sono stati 700 in tutto i migranti recuperati anche da altre navi umanitarie: quattro i soccorsi compiuti da Geo Barents di Medici senza frontiere, cinque dalla tedesca Humanity». Segnarsi questo nome: SOS Humanity è una delle organizzazioni cui il governo tedesco un anno fa ha deciso di dare 400 mila euro: facendo imbestialire, un anno dopo, il governo italiano. L’altra è la Comunità di Sant’Egidio, che anche questo governo indica a modello per i corridoi umanitari.
Ma il governo non ha altri argomenti? Certo che ne ha, e anche solidi. Anziché rimproverare alla Germania i finanziamenti alle ong, potrebbe rammentarle che quello che l’Italia vorrebbe fare con la Tunisia — pagarla perché trattenga i migranti e, possibilmente, se ne riprenda parecchi — non è molto diverso da quello che Berlino ha chiesto e ottenuto si facesse con la Turchia per le rotte mediorentali, e a costi molto più alti. E alla sinistra italiana, che gli rimprovera i costi umanitari della scelta di appoggiarsi alla Tunisia, potrebbe rammentare che questa prassi l’ha inaugurata lei, la sinistra, con la Libia. Ma quanto sarebbe utile se tutti, a cominciare dalla presidente del Consiglio, la smettessero di parlare dell’inesistente pull factor delle ong. Che i migranti non li attirano: li tirano (a galla). Salvandoli da molti fattori, tra cui l’incapacità dei governi europei di darsi politiche realistiche e umane.

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