27 ottobre 2024: PRIMA DOPO LA DEDICAZIONE
At 8,26-39; 1Tm 2,1-5; Mc 16,14b-20
Soffermiamoci anzitutto sul primo brano, tolto dagli “Atti degli apostoli, un libro assai prezioso ma che ben pochi, anche tra i cristiani, conoscono se non per alcuni episodi.
Vediamo il contesto. I discepoli di Gesù si erano dispersi nei territori della Palestina. Filippo, uno dei sette “ordinati” dagli apostoli per il servizio delle mense, perciò chiamati “diaconi”, si era stabilito in Samaria e sviluppava, fondamentalmente, un’azione di evangelizzazione che aveva, tra l’altro, molto seguito.
Subito qualche chiarimento. La parola “diacono” deriva dal greco, “diàconos”, che corrisponde al latino “minister”, che significa “farsi meno”, ovvero piccolo, ovvero mettersi al servizio dei più deboli.
Era successo che, come scrive l’autore degli “Atti degli apostoli”, crescendo notevolmente il numero dei credenti, si era posto un problema di carattere organizzativo: gli Apostoli (erano Dodici) non potevano dividersi in mille, e perciò decisero di affidare l’incarico del servizio delle mense dei poveri a sette persone, scelte dalla stessa comunità, che fossero di buona reputazione, lasciando così i Dodici più liberi di dedicarsi alla preghiera e al ministero della parola. Tuttavia, chiariamo, anche i diaconi potevano predicare, perciò il loro compito, pur prezioso, non era puramente assistenziale.
Una riflessione anche attuale. Non ammetto che si assistano i bisognosi, donando loro solo qualcosa di materiale, pane, lavoro, casa, assistenza medica, e altro. Assistere sì anche materialmente i bisognosi, ma nello stesso tempo educarli ad essere dignitosi e liberi, e lo diventeranno solo se si insegnerà loro che oltre a un pane, una casa, un lavoro, c’è ben altro. Al di là di casi eccezionali, resi tali dalla nostra indifferenza o dal nostro pragmatismo assistenziale, che ci è anche comodo per sentirci noi buoni e generosi e interiormente soddisfatti, c’è una massa di poveri che, aiutati solo materialmente a uscire dalla loro indigenza, diventeranno a loro volta menefreghisti e indifferenti davanti alla povertà altrui. La Chiesa si è sempre distinta, anche oggi, per una assistenza del tipo materiale, ma mi chiedo se ciò basti, e non mi pare che la Chiesa istituzionale si distingua altrettanto per liberare i poveri dalla loro schiavitù del tipo spirituale. La Chiesa istituzionale ha sempre represso gli spiriti per il loro pensiero libero, l’unico capace di liberare gli esseri umani da una schiavitù interiore.
Il primo brano si sofferma su Filippo, uno dei sette diaconi. Anche qui mettiamo l’episodio nel contesto. Filippo si rifugia in Samaria, una regione che non rientrava nella giurisdizione del sinedrio giudaico, per evitare di essere perseguitato dagli ebrei. Prima che dai romani, i primi cristiani erano minacciati di morte dagli ebrei. Non dimentichiamolo, tanto più che i primi cristiani provenivano dal mondo ebraico. Filippo, ordinato diacono, è descritto alla maniera dei Vangeli (in seguito verrà chiamato “evangelista”). Affascinava le folle con la parola di Cristo e compiva miracoli. Successe che un tizio, di nome Simone detto il Mago, rimasto anch’egli affasciato si converte al cristianesimo, ma con l’intento di impossessarsi della potenza dello Spirito, anche a prezzo di una somma di denaro, da consegnare agli Apostoli, la cui reazione non si fa attendere: Pietro respinge con sdegno la proposta del Mago e pronuncia una maledizione contro di lui e il suo peccato (la parola “simonia”, che è compravendita di beni sacri spirituali e anche il peccato commesso da chi fa tale commercio, deriva proprio da Simone il Mago), ma Pietro lo invita alla conversione.
Ho detto questo per far capire che ovunque i primi cristiani andassero trovavano difficoltà, perché la parola che annunciavano creava divisioni. Cristo stesso l’aveva detto: la verità divide, in questo senso vanno intese le sue parole: “Non sono venuto a portare la pace, ma spada”. San Paolo dirà la stessa cosa: “La parola di Dio è spada a doppio taglio, penetra al punto di divisione dell’anima e dello spirito e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore”. A doppio taglio perché la verità è scelta tra convenzione e convinzione.
L’episodio del primo brano della Messa vede Filippo che riceve un particolare incarico, convertire un eunuco etiope, sovrintendente del tesoro della regina, che aveva appena compiuto un pellegrinaggio a Gerusalemme. Luca non dice esplicitamente che era un “proselito”, ovvero un pagano che si era convertito all’ebraismo, oppure semplicemente un simpatizzante. E pensare che, essendo un eunuco, ovvero un evirato, preposto all’harem, come tale era di per sé escluso dalla partecipazione alle assemblee della comunità d’Israele secondo le prescrizioni presenti già nel libro del Deuteronomio.
Nel momento in cui Filippo s’imbatte nel cocchio dell’etiope, costui sta leggendo ad alta voce – conformemente all’uso antico – il celebre capitolo 53 di Isaia, che gli studiosi chiamano il quarto canto del Servo, dove i cristiani da sempre leggono l’annuncio della passione e glorificazione di Gesù con il suo valore salvifico universale. Filippo, che sente, prima provoca la richiesta: “Capisci ciò che stai leggendo?”, e poi risponde all’invito dell’eunuco: “E come lo potrei se nessuno mi istruisce?”. Filippo, salito sul cocchio accanto all’eunuco, gli spiega il passo di Isaia, chiarendo che il “servo sofferente” era il Messia Gesù che si era abbassato e umiliato fino alla morte ed era risorto. Proseguendo il cammino, giungono a un luogo dove c’è acqua e l’eunuco dice: “Ecco, qui c’è acqua: che cosa mi impedisce di essere battezzato?”. Scesi dal carro, Filippo lo battezza.
Qualche riflessione. Questo episodio, anche strano per tanti aspetti, come quando lo Spirito del Signore rapisce Filippo e come in un volo lo porta ad Azoto, per annunciare il Vangelo. Può anche indicare che non bisogna perdere tempo, perché il regno di Dio non ammette pause. Ma nell’episodio c’è un aspetto che mi sembra importante da evidenziare.
Ogni occasione è buona per annunciare il Vangelo, ma suscitando domande anche provocatorie per dare risposte intelligenti. E per intelligente, nel caso della Parola di Dio, intendo cogliere il senso profondo delle profezie. Sembra quasi che sia più facile annunciare profezie che capirne poi il senso profondo, o pieno. I profeti dell’Antico Testamento non capivano il senso pieno di ciò che dicevano in riferimento al futuro, spetterà a Gesù Cristo cogliere il senso profondo. Per senso profondo intendo ciò che è il Volere di Dio o il Piano di Dio nella storia. Un volere divino che si chiarisce, man mano il tempo passa e, nel mentre, si colgono le occasioni per togliere qualche velo a ciò che si trova scritto nell’Antico Testamento. Ho detto “qualche velo”: la Parola di Dio si rivela man mano nella storia, e questo sarà fino alla fine del mondo. Ma a noi credenti spetta cogliere sempre le buone occasioni per aiutare le persone a convertirsi interiormente, perché solo dall’interno la conversione può avere inizio o progredire: non ci si converte una volta per tutte, la conversione è un cammino, e il cammino procede sempre dall’interno. Più siamo liberi dentro, più progrediamo nella Grazia.
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