Omele 2022 di don Giorgio: TERZA DI AVVENTO

27 novembre 2022: TERZA DI AVVENTO
Is 35,1-10; Rm 11,25-36; Mt 11,2-15
Tutti gli anni, quando commento i brani d’Avvento e arrivo alla terza domenica, sono tentato di ripetere: “Come il tempo passa veloce, già la terza domenica, ovvero quasi a metà Avvento”. Ma forse il tempo passa così veloce perché l’Attesa di una Rinascita interiore, di cui sentiamo fortemente il bisogno, è così intensa da far consumare quasi il tempo perché lasci al Mistero di farsi presente in tutta la sua realtà mistica.
E sembra che ogni anno l’esigenza si faccia ancora più grande, perché più grande è il dramma di una società che vorrebbe immergerci a capofitto in una alienazione spaventosa, che non solo dirada, non solo attenua, ma vorrebbe sgretolare ogni attesa di quel Mistero che è l’Eterno presente. Per cui, anche quest’anno l’Avvento si fa ancor più intensa attesa di quel Mistero che è rinascita interiore, tanto più che lo spirito del nostro essere geme per i dolori di un parto continuamente rimandato.
Quanto dovremmo gustare le parole del profeta Isaia, che ricorre ad alcune vivaci immagini tratte dal mondo naturale e vegetale, che troviamo nel brano della prima lettura.
La situazione di partenza è l’aridità, ed ecco le immagini del “deserto”, della “steppa” e della “terra arida”, che viene trasformata da Dio in qualcosa di fiorente. Il “narciso” (ma alcuni preferiscono tradurre “giglio”) è immagine di splendore e bellezza (pensiamo al passo del Cantico dei Cantici: “Io sono un narciso della pianura di Saron”). “La “gloria del Libano” corrisponde agli alberi di quella terra, da cui si ricavava un legname prezioso. Nel libro di Isaia, infatti, troviamo questo passo: “La gloria del Libano verrà a te, con cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi” (60,13). In modo simile “splendore del Carmelo” richiama la folta vegetazione di questo gruppo montuoso.
Certo, le immagini sono immagini, ma se poi sono immagini di una Natura che sta sempre per partorire (la stessa parola “natura” lo dice), allora richiamano sempre quella ri-generazione divina del Logos eterno che avviene nel nostro essere più profondo.
Ma la mia domanda è provocatoria: oggi la Natura richiama ancora il Mistero divino che si ri-genera nel nostro essere? Con quali occhi noi vediamo la Natura? Come possiamo vederla con lo spirito se i nostri occhi si sono spenti in una carnalità esasperante?
Non è questo che dovremmo chiedere ad ogni Avvento, che ci prepara al Mistero della Rinascita interiore? Ma forse non è così, occupati da un consumismo che ci ha tolto il Mistero natalizio, e dunque la possibilità della nostra Rinascita.
Anche quest’anno torna la visione del profeta: il deserto si trasforma in un meraviglioso fiorente giardino. Certo, è una visione, ma abbiamo anche bisogno di visioni per continuare a sperare nelle promesse divine. E la visione del profeta viene ripresa nel brano del Vangelo, applicate alla venuta del Messia, che però realizzerà la profezia nel senso pieno, come si dice, ovvero nella pienezza dello Spirito.
Ecco i ciechi vedranno, i sordi ascolteranno, i muti parleranno, gli zoppi salteranno, e tutti nella gioia dello Spirito che aprirà l’unica via che porterà alla Sorgente eterna.
Il profeta parla di “via sacra”. Che cos’era? Una strada particolare, sacra ovvero riservata alle processioni religiose, era presente in diverse città antiche. Nel linguaggio di Isaia l’espressione “via sacra” non si riferisce soltanto al pellegrinaggio verso Gerusalemme, ma si riallaccia al cammino percorso da Israele uscendo dall’Egitto. Ma il senso pieno da dare alla via sacra è da cogliere nelle parole di Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita”.
Ancora oggi sono famose certe vie che portano verso santuari famosi. Da qui ben noti cammini o pellegrinaggi verso mète geograficamente determinate, diciamo carnali. Non vorrei distruggere il valore anche pedagogico di un cammino, e tanto meno il valore religioso di certi pellegrinaggi, che un tempo segnavano la conversione di tante persone. Ma mi chiedo in quanti sappiano andare oltre l’aspetto fisico. Il vero cammino è in noi, in quel progresso di riscoperta di un mondo che è meraviglioso, proprio perché interiore.
Certo, Cristo ha anche compiuto dei miracoli, poi gli esegeti si dividono nel dirci il significato di questi miracoli, forse dimenticando che già l’autore del quarto vangelo parla di “segni”: ogni fatto esterno indica qualcosa di profondo, ed è questo qualcosa di profondo che bisognerebbe cogliere in ogni gesto esteriore. I miracoli in sé contano poco, o nulla. Contano in quanto segni rivelatori del Mistero divino.
Del resto, tutta la Natura o il Creato è un miracolo di vita che nasce o sta per partorire. Ma quanti sanno cogliere il segno divino di questo miracolo? La gente inizialmente correva dietro al Messia perché compiva miracoli, poi, quando ha capito che Gesù chiedeva di più, allora gli stessi discepoli si sono allontanati.
Lo stesso racconto del cieco nato nel quarto Vangelo assume un significato del tutto particolare: dalla vista fisica si passa alla vista della fede.
Gesù non si limita a citare alcuni passi sparsi del libro di Isaia, sempre in ogni caso da leggere in senso evangelico, ma di suo aggiunge: “ai poveri è annunciato il vangelo”. Richiederebbe troppo tempo, ma credo di averne anche parlato altrove, spiegare il senso da dare alla parola “povero” e alla parola “vangelo”.
Almeno qualcosa vorrei ancora dire. Già nelle Beatitudini, pagina introduttiva al famoso Discorso della Montagna presente nel Vangelo secondo Matteo, Gesù specifica chiaramente chi è “beato”: è anzitutto il povero nello spirito, ovvero il povero che si è spogliato liberamente di ogni eccesso di avere, dando così piena libertà di spazio allo spirito interiore. E allora annunciare il Vangelo ai poveri non è sfamarli solo fisicamente, dar loro qualcosa di materiale, ma è comunicare loro la Bella o Buona Notizia che sta in quella conversione interiore, per cui in ogni essere umano, anche in chi è povero materialmente, è presente un segreto sempre da scoprire.
Non impressiona il fatto che, una volta, quando la gente era povera, aveva sì il necessario per vivere ma non quel di più di oggi: aveva una tale saggezza di vita da rimpiangerla da parte di noi moderni che tra crisi e non crisi non sembra che viviamo di stenti, anzi siamo immersi in una società che ci stimola, ci spinge, ci sommerge in un mondo di superfluo. Sarei tentato di dire che una volta la gente era intelligente, diciamo saggia, e che oggi questa società è imbecille, e che perciò avrebbe bisogno di essere evangelizzata nel vero senso della parola.

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