da www.corriere.it
Ma non è solo fatalità.
I tanti allarmi inascoltati
di Gian Antonio Stella
Mai come in questo caso, una lunga storia di errori dimostrava come l’isola fosse da sempre esposta a rischi di ogni tipo. Le responsabilità sia locali sia nazionali
Non ne possiamo più, di piangere per Ischia. Le nuove ed ennesime vittime travolte dall’ennesima frana venuta giù dal Monte Epomeo (guai a chiamarlo vulcano: porta iella…) vanno piante, onorate e affidate alla terra col cordoglio di tutti gli italiani. Non meno doveroso, però, sarà rispettare lo strazio delle famiglie nel modo più serio e severo, con un’inchiesta che dia il giusto peso alla gravità dell’evento atmosferico ma spazzi via i tentativi di dare tutta la colpa alla fatalità. Si sapeva, che poteva succedere ancora. Si sapeva.
Forse mai come in questo caso, infatti, una lunga storia di errori dimostrava come l’isola fosse da sempre esposta a tutti i rischi: quelli sismici, quelli idrogeologici e più ancora quelli dovuti all’insipienza dell’uomo. Basti rileggere, prima ancora che Francesco Guicciardini il quale già mezzo millennio fa ricordava come siano «gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine della città», le accuse furenti e sconsolate, del giudice Aldo de Chiara, per anni e anni acerrimo avversario dell’abusivismo sull’isola: «Hanno costruito in prossimità di scarpate, di zone sismiche, di zone franose. C’è sempre stata una coalizione di destra e di sinistra contro tutte le demolizioni». Con un risultato sotto gli occhi di tutti: all’entrata in vigore del condono del 2003 voluto dal governo Berlusconi il numero delle demolizioni eseguite sull’isola a partire dal 1988 risultavano essere state, in totale, solo 22. Ventidue su 2.922 ordinate dalla magistratura con sentenza esecutiva. Lo 0,75%. Briciole.
E non si trattava di sentenze emesse per cocciutaggine da giudici ambientalisti decisi ad applicare nella maniera più pignola regole cavillose per punire tanti poveracci colpevoli «soltanto» di piccoli «abusi di necessità» dovuti alla pigrizia di una burocrazia elefantiaca. Si trattava, quasi sempre, di salvare la pelle a chi aveva tirato su case e case senza rispettare le regole del buon senso. Come si è visto in decine e decine di casi di interi quartieri travolti dalle acque in piena da una parte all’altra dell’Italia. Uno per tutti, la tragedia di Sarno e Quindici nel maggio 1998. Preceduta da segnali nettissimi sui pericoli di aver costruito case su case lungo il percorso di un corso d’acqua destinato un giorno o l’altro a precipitare a valle. Restano nella memoria le parole amarissime di Fabio Rossi, docente all’Università di Salerno ed esperto di idrogeologia, con gli occhi fissi a guardar su verso la montagna mentre troppi corpi erano ancora sepolti dalla melma che li aveva inghiottiti: «La colpa è loro, ma questo non si può dire ai morti». Una frase simile a quella pronunciata da Jean-Jacques Rousseau a proposito dello spaventoso terremoto di Lisbona del 1755: «Dopotutto non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case…».
«Come noto, in Italia frane e inondazioni sono frequenti e causano danni a strutture e infrastrutture nonché vittime, feriti e sfollati ogni anno. Negli ultimi 15 (dal 2007 al 2021) le persone che hanno perso la vita a causa di tali eventi sono complessivamente 336, di cui 188 per le inondazioni e 148 per le frane», accusa il dossier Polaris del Cnr. E non passa anno senza che l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dimentichi d’aggiornare il censimento delle frane italiane, oltre 620.000 pari a due terzi di quelle rilevate in tutta Europa.
Tutte cose note. Denunciate. Ma troppo spesso accolte come prediche moleste di fastidiosi grilli parlanti, come un geologo cacciato da un convegno proprio a Ischia sul tema del rispetto di un territorio così fragile, con l’accusa d’esser un menagramo. Pochi dati di Legambiente dopo il sisma del 21 agosto 2017 nell’isola, che oggi ha 62.630 abitanti, dicono tutto: «Sono 28 mila le pratiche di richiesta di condono “ufficiali” nell’isola di Ischia. Nei soli Comuni di Casamicciola Terme e Lacco Ameno, che contano circa 13 mila abitanti, le pratiche di condono presentate sono oltre 6 mila, una su due abitanti». Ancora: «Ricordiamo quanto siano stati spropositati i danni rispetto all’intensità del sisma di magnitudo 4.0, anche per via dei materiali scadenti usati negli edifici». Testuale.
Eppure troppi ischitani, convinti di essere vittime di soprusi dei Comuni, della Regione e dello Stato, hanno avuto verso queste grida d’allarme reazioni scomposte. Come un manifesto di qualche anno fa affisso sui muri con queste frasi: «La politica dominante è morta! Dopo sessant’anni di coma vegetativo, ne danno il triste annuncio i cittadini “abusivi ” tutti. Le esequie si terranno in forma privata presso i seggi elettorali nei giorni…». Titolo: «Sulla scheda elettorale scrivi: “voto abusivo! ”».
Ma cosa ha fatto la politica ischitana, in questi anni, per convincere i cittadini a reagire in maniera diversa e a prendere coscienza dei rischi che loro stessi, per primi, correvano? Diciamolo: poco. Anzi, troppo spesso i padroni delle tessere, pronti volta per volta a saltare su cavalli diversi, hanno lisciato il pelo a quanti sbuffavano all’idea di promuovere finalmente una sana manutenzione, un «rammendo» antisismico, un risanamento complessivo di un panorama edilizio ad altissimo rischio. Ricordate, ad esempio, la sortita del governo giallo-verde che cercò di infilare una sanatoria per Ischia nel decreto per Genova dell’autunno 2018? Nella scia della promessa di Luigi Di Maio ai cittadini dell’isola che il loro sarebbe stato «un governo amico», spuntò fuori un decreto contro il quale saltarono su indignati Legambiente, Libera e la Cgil: «Questa proposta di condono è incomprensibile e pericolosissima (…) perché viene premiata l’illegalità, ancora una volta, condonando edifici che sono da decenni abusivi». In pratica, spiegò Sergio Rizzo, il provvedimento che concedeva agli abusivi un «ravvedimento operoso» includeva all’articolo 25 un passaggio di furbetta ambiguità: «per la definizione delle istanze trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47». E perché il riferimento era solo al condono craxiano del 1985 e non anche a quelli successivi berlusconiani del 1994 e del 2003? Perché quello più vecchio concedeva molto di più anche agli edifici costruiti su terreni inedificabili. Un messaggio non proprio «educativo »… Ischia merita di meglio. Una svolta vera. Che riscatti finalmente un’isola ferita e straordinaria.
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da www.corriere.it/
La mia Ischia bellissima e sotto assedio:
tra cemento e alberi tagliati
non può fermare le frane
di Roberto Saviano
Bisognerebbe demolire gli abusi o condonarli e con il ricavo mettere in sicurezza il territorio. Ma come al solito non si decide, si resta nel mezzo. E proprio nel mezzo ci sono le frane e le tragedie
Ischia, Procida, Capri: chi non c’è stato non potrà comprendere mai il motivo che innesca il desiderio, quando si è lì, di pensarsi creature inventate dagli Dei. Roccia e mare, vicolo e giardino, arrampicata e strapiombo. Stiamo parlando di terre in mezzo al mare, come mi hanno insegnato a definirle. Chiunque, una volta messo piede su queste isole, ha provato almeno per un istante ciò che dice Alphonse de Lamartine di Ischia «È l’isola del mio cuore, è l’oasi della mia gioventù, è il riposo della mia vecchiaia».
Ecco, si badi, non un luogo che vuoi visitare, a cui vuoi tornare per ristorarti, nulla di tutto questo. Bensì un luogo dove scegli di vivere. Su quest’isole ci arrivi e immagini come d’instino la tua esistenza per sempre piantata lì.
Ischia rispetto alla sua rivale turistica Capri è sempre stata isola più accessibile, adatta a un turismo d’ogni estrazione dal lusso al popolare, isola più metropolitana e meno elitaria, meraviglioso luogo assai più vicino culturalmente a Napoli rispetto anche a Procida, più piccola e con i suoi abitanti tutti o quasi imbarcati sulle navi commerciali e da crociera. Ischia è l’isola più napoletana del golfo e questo l’ha resa frequentatissima, densa, assediata.
La tragedia di queste ore è accaduta a Casamicciola nella zona settentrionale di Ischia. Casamicciola è luogo di leggenda che racconta dove Ulisse riprese le sue forze nel Gurgitello, il ruscello di acqua calda che l’ha resa meta termale amatissima da Ibsen, de Lamartine, sino alla cancelliera Merkel. Eppure un luogo così d’incanto è sempre stato spazio di tragedia e di instabilità, di insicurezza estrema e di assedio cementizio.
Per comprendere quanto è endemico il disastro in quel territorio basta ascoltare una vecchia espressione del dialetto napoletano: «È ’na Casamicciola»; oppure «è successa ’na Casamicciola»; o ancora «faccio succedere ’na Casamicciola», metafora per dire «gran disastro, gran confusione, gran disordine, distruzione». Tutto questo discende dalle continue frane che da secoli avvengono a Casamicciola e che tutto travolgono, ma soprattutto dalla tragedia del terremoto del 1883. La vittima più illustre del disastro di Casamicciola fu Benedetto Croce. Uno degli scrittori veristi più talentuosi dell’epoca, Carlo Del Balzo, nel 1883 pubblicò a Napoli (per Tipografia Carluccio, De Blasio & C.) il libro «Cronaca del tremuoto di Casamicciola» dove scrisse: «Era anche a villa Verde tutta la famiglia Croce di Foggia. Erano nella loro camera la signora Croce e la figliuoletta, il sig. Croce e il primogenito, seduti presso un tavolino, scrivevano, in una stanza attigua; la porta di comunicazione era aperta. La signora Croce e la fanciullina cadono travolte nel pavimento, che crolla tutto: non un grido, non un lamento, muoiono istantaneamente. Al contrario, il sig. Croce, sebbene del tutto sepolto, parla di sotto le pietre. Il suo figliuolo gli è daccanto, coperto fino al collo dalle pietre e dai calcinacci. E il povero padre gli dice: offri centomila lire a chi ti salva; e parla col figlio, che non può fare nulla per sé, nulla pel babbo, tutta la notte!». Dalla tragedia che sterminò la famiglia Croce lasciandolo unico superstite ad oggi c’è stato una cementificazione continua, una impossibilità reale di gestire mettendo in sicurezza l’isola.
Disboscare, costruire, speculare, l’unico imperativo è sempre stato solo guadagnare e sopravvivere. Null’altro. Così non possono non accadere frane, si tende solo ad aspettare e sperare di non trovarsi in casa o in strada quando succederà. Fatalismo, da sempre la regola delle mie terre. Lo stesso che fa vivere alle pendici del Vesuvio nonostante si sappia che difficile sarebbe salvarsi in caso di eruzione nonostante il monitoraggio dell’attività del vulcano.
La bellezza di questi posti, il loro incanto copre l’orrore della gestione, l’assurdità contorta della burocrazia, del familismo che la governa, della mancanza endemica dei fondi pubblici.
Non è accaduto nulla nel 2006, quando a Ischia Luigi Buono, 53 anni, che lavorava come cuoco al porto, fu travolto da una frana identica a quella di queste ore e morì insieme alle sue tre figlie: Anna di 18 anni, Maria di 16 e Giulia di 15. Non è accaduto davvero nulla dopo la morte di Anna De Felice nel 2009 (15 anni) travolta anche lei insieme alla madre.
Sento arrivare già il commento: ma è l’abusivismo. Se davvero fosse così (e non bisogna associare abusivismo a lusso turistico perché non è quasi mai così) le soluzioni sono due: o condonare in cambio di una messa in sicurezza totale o abbattere immediatamente. Ma se abbatti perdi voti, perdi consenso su tutta l’isola. E poi non ci sono nemmeno i soldi per farlo. Come al solito il nostro paese non decide: si è sempre nel mezzo. E proprio nel mezzo ci sono le frane, che tutta l’immensa bellezza di Ischia non può impedire e nemmeno trattenere.
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da La Repubblica
Povera Rai, serva dei partiti
di Michele Serra
L’amaca
di domenica 27 novembre 2022
Nel Tg2 delle 13 di sabato 26 novembre, ovviamente, l’apertura era la tragedia di Ischia. Dopo il servizio (ottimo) dell’inviato è andata in onda una impressionante sfilza di dichiarazioni e tweet di quasi tutti i ministri del governo Meloni. Quelli interessati all’accaduto (ovvero, quelli le cui parole avevano rilievo giornalistico) sono, se non erro, due: Interni e Ambiente. Oltre alla presidente del Consiglio. Tutti gli altri, che accidenti c’entravano? Con quale diritto, e quale titolo, dichiaravano?
Terminata l’assurda sfilza delle parolette governative, ministro per ministro, il Tg2, incredibile ma vero, ha pensato di dare un poco di spazio anche alle reazioni politiche: nuova sfilza di dichiarazioni dei capigruppo dei partiti, compresi, in coda, quelli di opposizione.
Lascio immaginare al lettore il palpitante interesse delle frasi di circostanza spese da ministri e onorevoli. Si andava dal commosso cordoglio all’urgenza dei soccorsi. Un portalettere, una cantante lirica, un geometra avrebbero potuto commentare l’accaduto con identica genericità.
Ci si domanda: posto che un tigì è un giornale, che rapporto, anche vago, hanno questi rosari di parole di circostanza con il giornalismo? Ve lo dico io: nessun rapporto. E a proposito di ministri, se avesse ragione Valditara quando elogia l’umiliazione come esperienza formativa, la Rai ne uscirebbe super formata, perché super umiliata da decenni di asservimento alla politica.
Uno dei pochi veri segni di cambiamento di questo Paese sarà il giorno che alla Rai diranno ai tirapiedi dei ministeri e dei partiti: guardi, richiami domani che qui stiamo lavorando, e il nostro lavoro non è uguale al vostro.
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