L’attrice Golshifteh Farahani: «La vita di ogni donna in Iran è una guerra senza tregua»

dal Corriere della Sera

L’attrice Golshifteh Farahani:

«La vita di ogni donna in Iran

è una guerra senza tregua»

di Stefano Montefiori
La diva, esule a Parigi, fa da megafono alle proteste : «È stata una scelta carnale. Credo che non si sia mai visto nella storia dell’umanità: donne che fanno la rivoluzione, e uomini che si schierano dalla loro parte. È straordinario»
Quando Golshifteh Farahani è venuta al mondo, nel 1983, la rivoluzione islamica aveva trasformato l’Iran già da quattro anni, «e come tutte le donne nate in quella dittatura fascista che è il regime dei mullah ho avuto la sensazione di passare dal ventre di mia madre al campo di battaglia. Essere una donna in Iran è il combattimento di ogni giorno, non c’è tregua».
Rifugiata a Parigi dal 2008, quando un giudice le concesse 24 ore per mettersi in salvo dai servizi segreti, Farahani è diventata una grande attrice dal successo internazionale. La morte di Mahsa Amini, il 16 settembre, l’ha trasformata in una delle voci più seguite in sostegno alla rivolta, dall’account Instagram con 15 milioni di follower all’apparizione sul palco dei Coldplay a Buenos Aires, il 28 ottobre, per cantare Barave, l’inno dei manifestanti.
Il suo Instagram negli ultimi tre mesi si è riempito di notizie e immagini dall’Iran, i post hanno quasi 300 milioni di visualizzazioni, lei sta diventando un media fondamentale per seguire la rivolta. Ne è consapevole?
«Le sue parole mi commuovono perché ogni volta prima di postare qualcosa mi chiedo se abbia un senso… Ognuno ha le sue crisi esistenziali. Ma forse faccio bene. Negli ultimi anni ero rimasta piuttosto riservata riguardo all’Iran».
E perché stavolta invece ha deciso di rompere questo riserbo?
«Non è stata neanche una decisione ragionata, ma una scelta carnale. Non sono stata io a decidere, è il corpo che è andato avanti e ha cominciato a scrivere e a denunciare gli orrori della dittatura. Troppo dolore, troppo male. Si comincia a subire e a soffrire subito, dalla nascita, è un’accumulazione continua. A un certo punto non è più possibile sopportare l’ingiustizia. Le ragazze che manifestano a Teheran e nelle altre città sanno che rischiano la vita ma non possono fermarsi, non ci riescono. Sono guerriere, senza saperlo, perché lottano da sempre. L’Iran è come uno strumento al quale sia stata messa una grossa sordina, la voce è rimasta soffocata per decenni e adesso vuole farsi sentire. Siamo diventati tutti attivisti, anche io che sono un’attrice. Non abbiamo scelta, è più forte di noi».
Che cosa pensa del fatto che tanti uomini si siano uniti alla rivolta cominciata dalle donne?
«Credo che non si sia mai visto nella storia dell’umanità. Donne che fanno la rivoluzione, e uomini che si schierano dalla loro parte. Non abbiamo mai avuto così tanto sostegno, è straordinario. Quando il regime ha instaurato l’obbligo del velo, un anno dopo avere preso il potere, nessun uomo si è ribellato. Mio padre all’epoca non è sceso in strada, e tutti gli altri hanno fatto come lui. Oggi è completamente diverso, gli uomini difendono le loro sorelle, madri, figlie. Senza il riconoscimento dei diritti delle donne non ci saranno diritti per nessuno».
Perché il velo islamico è così importante?
«È il simbolo della tirannia. Il regime è costruito sulla sottomissione delle donne: l’obbligo di portare il velo evoca anche il fatto che un uomo possa sposare una bambina tredicenne, ottenere sempre la custodia dei figli in caso di divorzio, negare alla moglie il diritto di entrare o uscire dal Paese. Il velo è solo la punta della piramide, toglierselo significa lottare per la libertà di tutti, anche degli uomini».
Grazie alla rivolta l’Occidente comincia a conoscere meglio la società iraniana, meno schiava della propaganda anti-occidentale e anti-americana di quanto si potesse immaginare.
«Credo che questo processo di apertura e di conoscenza dell’Iran sia cominciato con i film di Abbas Kiarostami, e certo adesso è più facile con Internet e i social media. Forse il mondo può rendersi conto del come mai il regime sia ancora al potere, nonostante sia odiato dal 90 per cento della popolazione».
Qualche giorno fa il «Corriere» ha pubblicato un reportage sconvolgente sulle prigioni iraniane.
«Le torture e le violenze alle quali è sottoposto il mio popolo sono inimmaginabili. La repressione è priva di scrupoli, il potere è in mano ai mostri. Ora il Consiglio dei diritti umani dell’Onu ha aperto un’inchiesta sulla repressione in Iran, ma cosa c’è ancora da sapere? Quali altre violenze vanno accertate?».
Che cosa prevede per i prossimi mesi?
«Sappiamo che una rivoluzione è una maratona, non possiamo rovesciare un regime in pochi mesi. Non importa. È una questione di perseveranza. Non ci fermeremo».
La repressione è feroce all’interno del Paese, ma gli agenti di Teheran sono attivi anche all’esterno. Lei non ha paura?
«Le guardie del corpo mi seguono sul set quando recito, sono in contatto con le autorità francesi per avvisare dei miei spostamenti. Tutti abbiamo un po’ paura. Io e anche i miei famigliari, certo. Cerchiamo di fare attenzione, e andiamo avanti».
***
ASCOLTA
Iran, adesso è una rivoluzione. E il regime ha paura

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Che senso ha una teocrazia? Non solo adesso nel terzo millennio, ma anche nel passato.
    Questi governi tradizionalisti, dediti all’occultismo, non hanno alcun interesse a garantire un po’ di serenità e benessere alla cittadinanza e sono rimasti ancorati a sistemi e costumi che la storia dei popoli ha superato da parecchio tempo.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*