In risposta a don Alessandro Minutella

Ho inviato a La Fede Quotidiana una lettera come risposta all’intervista rilasciata da don Alessandro Minutella al giornalista Bruno Volpe.
È stata pubblicata: vedi qui.
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Ho letto l’intervista, apparsa sul sito La Fede Quotidiana (19/01, 21/01, 23/01 del 2019), rilasciata da don Alessandro Minutella al giornalista Bruno Volpe.
Anzitutto, vorrei dire che la libertà di parola e di pensiero, anche nel campo ecclesiale, è un diritto sacrosanto di ogni essere umano.
Inoltre, riconosco in don Minutella la sincerità, la convinzione e il coraggio di pagare personalmente le conseguenze delle sue scelte di dissenso dalla Chiesa di Bergoglio.
Paradossalmente, mi trovo in accordo con lui nel contestare “questa” Chiesa cattolica e “questo” papa, ma le mie motivazioni sono all’opposto di quelle di don Minutella, e vorrei spiegarne le differenze.
Contesto anch’io “questa” Chiesa e “questo” papa, anzitutto per il suo populismo, che mi fa paura. Già la parola “populismo” richiama il momento politico che stiamo subendo sulla nostra pelle.
Un papa che cerca il consenso, oppure, non voluto, ma che ha troppo consenso popolare, mi pone una infinità di dubbi, pensando alla radicalità del Vangelo, che invita a scelte radicali non certo popolari.
Anche il seguito di don Minutella mi fa paura.
Cristo alla fine è rimasto “solo”, sulla croce.
Tempo fa, più volte ho definito “fumoso” questo papa, in quanto illude la gente, senza dare quella sostanza di verità che possa scuotere le coscienze, e non omologarle.
Non entro nel merito, assai complesso, della validità di papa Bergoglio sotto l’aspetto canonico/giuridico. Ciò non mi appassiona. Per me non è questo il vero problema di ”questa” Chiesa e di “questo” papa.
La cosa che vorrei contestare a “questa” Chiesa e a “questo” papa è la medesima che vorrei contestare alla Chiesa che hanno in mente i suoi “oppositori”, compreso don Minutella.
Si è, in ogni caso, su un piano del tutto esteriore a quella “dinamica” interiore dell’essere umano che, nei duemila anni di cristianesimo, non solo non ha appassionato la Chiesa/istituzione o Chiesa/religione, ma è stata da essa anche volutamente repressa.
Parlo della realtà dello Spirito interiore, che ancora oggi viene dimenticata per non dire soffocata da molteplici preoccupazioni di una Chiesa/istituzione, impegnata in un campo non solo sociale, ma anche rituale, sacramentale e dogmatico.  Qui sta il grosso errore anche di don Minutella: credere di salvare il mondo attraverso i riti, i sacramenti, i dogmi, ma visti nel loro aspetto più istituzionale, talmente rigidamente istituzionale da escludere  ogni apertura, anche solo apparente, come è il caso di “questo” papa.
Don Alessandro Minutella accusa la Chiesa di Bergoglio di pensare al “grosso animale” (espressione di Platone), ovvero all’aspetto sociale della società, ma, nello stesso tempo, don Minutella, pur rivendicando una netta contrapposizione alla Chiesa di Bergoglio, rimane sempre nel campo del “grosso animale”, ovvero di un tale esteriorismo, fatto di ritualismo, di sacramentalismo e di dogmatismo, da far paura a quel mondo dello Spirito interiore, di cui abbiamo perso ogni respiro.
Anche Simone Weil era rimasta affascinata e sedotta dai canti gregoriani, ma ha sempre contestato alla Chiesa cattolica il suo dogmatismo, come violazione della libertà di ricerca della verità.
In altre parole, ciò che manca alla Chiesa è la sua anima, da intendere come interiorità di quello Spirito, di cui Cristo ha parlato con la samaritana.
È il mondo interiore dell’essere umano da risvegliare oggi, se vogliamo contrapporci, come credenti, ad un mondo che non solo ha tradito l’autentico cristianesimo, ma soprattutto ha tradito se stesso in quanto esseri umani, alienati e disorientati, in fuga dal proprio io interiore verso una frantumazione dell’Umanità.
Don Minutella può anche avere mille ragioni per contestare “questa” Chiesa e “questo” papa, ma è rimasto anch’egli vittima di una religione, che dimentica o vuole fare meno dello spirito dell’essere umano.
La Chiesa/istituzione o Chiesa/ religione è al servizio dell’Umanità, e non viceversa. Ma l’Umanità non è solo corpo sociale, ma anzitutto è realtà spirituale, che dà vita anche al corpo sociale.
Don Minutella non parla di quello Spirito che si genera nell’essere umano, ed è qui che avviene la nascita perenne di quel Verbo/Logos che si è incarnato, non per dare vita ad una nuova religione, ma ad una Umanità rigenerata nello Spirito.
Nelle numerose pagine dell’intervista ho letto solo o quasi polemiche nei riguardi della legittimità di questo papa (che, già l’ho detto, non mi entusiasmano affatto), ma non ho intravisto una grande Idea di Chiesa.
Certo, l’Idea di Chiesa non è “nostra”. C’è già, ed è nella realtà dello Spirito, che Cristo ci ha donato, mentre moriva sul Calvario.
Sia chiara, infine, una cosa. Non contrappongo la Chiesa mistica alla Chiesa istituzionale, ma vorrei che la Chiesa istituzionale riprendesse l’anima mistica, che da secoli ha perso per strada.
Mi sembra che sia i tradizionalisti che i progressisti, sia i nemici che gli amici di Bergoglio, appartengano tutti al “grosso animale”, ovvero alla “carnalità”, ovvero a ciò che è esteriore alla spiritualità dell’essere umano.
Si lotta e ci si scanna, anche solo a parole, da “alienati”. E in questo non c’è differenza, o poca, tra il mondo politico e il mondo ecclesiale, di oggi.
Don Giorgio De Capitani
prete milanese
La Valletta Brianza (Lecco)

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Intervista esclusiva a don Alessandro Minutella – parte 1

19 gennaio 2019
La Fede Quotidiana ha intervistato in esclusiva don Alessandro Minutella, sacerdote siciliano di recente scomunicato perchè accusato di eresia ed apostasia. Questa intervista, realizzata per garantire pluralità di vedute e libero dibattito, ovviamente non significa adesione alle tesi del sacerdote.
Don Minutella, che cosa secondo Lei ha portato alla sua scomunica, quali i reali motivi?
“Le recenti condanne non mi hanno affatto scoraggiato, anzi. Sto preparando il terzo Raduno di Verona il prossimo 26 gennaio, quello della “resistenza” cattolica. Le due scomuniche sono motivate da eresia e scisma, e firmate lo scorso 15 agosto 2018, rese note il 13 novembre dello stesso anno. Capisco ciò che ha spinto la falsa chiesa, capeggiata da un falso Papa, Bergoglio, a scomunicarmi. In un certo senso, sono coerenti con il loro piano di cambiamento, dal sapore apocalittico, perché io ho apertamente e senza giri di parole denunciato la loro manovra, che è quella di trasformare la Chiesa cattolica in una succursale del pantheon sincretista di tutte le religioni, dove Gesù Cristo è un qualunque profeta (neoarianesimo), dove il Vangelo della croce è svenduto al pensiero del mondo (neomodernismo) e dove Lutero, il più grande eretico (insieme ad Ario) della storia cristiana, viene rivalutato (neoluteranesimo). E’ ovvio ed è coerente con l’esercizio abusivo del potere che viene da Dio che la falsa chiesa bergogliana abbia deciso di scomunicarmi. Oltreché invalide (perché Bergoglio, non solo é eretico, è anche scomunicato, in quanto non è il Papa, e perciò è incorso nella scomunica latae sententiae a norma della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis), queste 2 scomuniche mi confermano sul fatto che bisogna resistere “a viso aperto”, senza inutili strategie sotterranee, di fronte allo svolgimento del terzo segreto di Fatima, che parlava dell’apostasia nella Chiesa, dell’abominio della desolazione (come ha confermato più volte Ratzinger, e cioè di un falso papa che avrebbe reso invalida la messa), e di una “prova finale” per la Chiesa cattolica (come anche si legge nel Catechismo al numero 675)”.
Si sente un prete scismatico o intende formare una ” sua” chiesa con ” suoi” fedeli?
“San Tommaso d’Aquino dice che “excommunicatus non potest excommunicare” (S.Th., Suppl., q.22, a.3). Bergoglio è incorso nella scomunica quando, dopo ripetute pressioni che hanno spinto Benedetto XVI alle dimissioni che, a norma di Diritto, sono pertanto invalide (canone 332, § 2), ha accettato di essere eletto in un Conclave già pilotato, come ha affermato uno degli esponenti più in vista della cosiddetta “mafia di san Gallo”, il cardinale belga Danneels, dopo la cui dichiarazione si sono perdute le tracce. Altri studiosi, nel frattempo, come Antonio Socci, portano prove a sostegno di questa tesi. Così il Papa è Benedetto XVI, mentre il cardinale Bergoglio è un usurpatore, come anche ha affermato più volte, senza aver ricevuto seguito (per la dirompenza delle dichiarazioni), il vescovo emerito di Ferrara, mons. Negri. Si sta così realizzando il terzo segreto di Fatima. Perché oltre che non essere Papa, e pertanto scomunicato per un esercizio abusivo e invalido del primato petrino, il cardinale Bergoglio è anche eretico e apostata. Con la pubblicazione di Amoris Laetitia, egli ha introdotto un taglio traumatico con il patrimonio bimillenario del depositum fidei, esponendo ben 3 sacramenti alla profanazione (Eucaristia, Matrimonio, Confessione). Le sue dichiarazioni non sono improntate, come vorrebbero i suoi poveri sostenitori, a un uso improprio di linguaggio, anche perché il munus petrino consiste, come vuole Gesù stesso (Lc 22,32), nel confermare i fratelli. E’ piuttosto singolare che debbano essere i suoi supporters a dover correggere le sue affermazioni eretiche. Con Bergoglio, in questi sei anni, dove pesa il silenzio dei pastori e dei Cardinali, la confusione e il disordine sono ancor di più, che non nella stagione postconciliare, entrati nella Chiesa. Si direbbe che si è passati dal principio di autorità a quello di anarchia. Nel frattempo, risultano singolari le scelte di Benedetto XVI, con ricadute seriamente impegnative. Egli non ha smesso la talare bianca (con il pretesto di non averne altre pronte!), non si è privato del nome, non è tornato Cardinale, ha poi preso il titolo insolito e mai previsto nella pur ricca esperienza ecclesiale, di “Papa emerito”. Il fulmine che colpisce la Basilica di san Pietro all’annuncio delle dimissioni in quel fatidico 11 febbraio 2013 è molto più che un fatto meteorologico, è un “segno” del cielo, come anche ha affermato il suo segretario personale, mons. Ganswein. Era l’esordio della grande “prova finale” per la Chiesa. Ora, noi sappiamo che nel corso dei secoli, ci sono stati anche tre papi, ma nessuno di loro era così ingenuo da proporre un esercizio allargato del munus petrino, perché Gesù ha consegnato a Pietro, non a più apostoli, il mandato: “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Così ognuno di loro squalificava gli altri, appunto perché consapevoli che Pietro può essere uno solo e che mai si è dato, in duemila anni, un esercizio allargato e condiviso del munus petrino (un’altra cosa è la questione collegiale dell’unum inter pares). Inoltre, i padri della Chiesa dicevano “ubi Petrus ibi Ecclesia”, non “ubi Petri”. L’anomalia di due papi, nonostante l’anestesia mediatica di normalizzazione, è non solo di tipo giuridico (come dimostra nel suo libro recente Antonio Socci), ma anche, direi io, teologico, quindi dogmatico. Neppure i tentativi portati avanti dal di dentro delle mura vaticane di dar credito ad un munus attivo di Bergoglio e a quello contemplativo di Benedetto XVI, sono riusciti a risolvere l’anomalia che è di sapore appunto apocalittico, perché qui ora noi abbiamo un Papa molto anziano, che è quello valido, e dall’altra parte uno che non è il Papa, eletto da un Conclave pilotato e perciò invalido e passibile di scomunica latae sententiae. Alcuni giuristi hanno fatto presente che ci sono anomalie evidenti anche nella stessa procedura del pre Conclave, come nella decisione misteriosa di Benedetto XVI di annunciare le dimissioni, ma di farle decorrere dopo 17 giorni (a partire dal 28 febbraio). Io non ho affrontato la questione dall’angolatura giuridica, ma direi dogmatica e pastorale. E’ preoccupante vedere che, grazie a Dio, ci sono molti preti e vescovi, come tanti laici, consapevoli che Benedetto XVI è ancora il Papa, ma la paura di mettersi in gioco li paralizza. Questo non è atteggiamento evangelico. Noi non possiamo permettere che una questione così decisiva per le sorti della Chiesa si traduca in discussione (doxa), ma che piuttosto rimanga nel contesto della martyria, della testimonianza. In questo senso, le mie scomuniche offrono, diciamo così, una percorrenza che, per quanto dolorosa, può essere decisiva per il bene della Chiesa stessa, che è quella di esporsi senza paura”.
Condivide l’espressione “preti di strada”?
“Sono prete anch’io di periferia, per quanto abbia due Dottorati, e faccio anch’io “odor di pecore”, essendo stato Parroco in periferie difficili e degradate di Palermo, una delle quali era il quartiere nativo di don Pino Puglisi. Non ho nulla di aristocratico, anzi rischio il problema opposto: c’è sempre tanta gente che mi segue. Radio Domina Nostra, pagina Facebook seguitissima, ha ascolti imponenti, appunto perché amo parlare in modo diretto. Eppure amo coltivare bene la mia persona sacerdotale, senza appunto questi appellativi, eredi delle teologie della prassi. Il “prete di strada” è stato ideologicamente contrapposto dalle teologie della liberazione, al “prete di sacrestia”. Non va bene. Anche se questi preti di strada sono sempre quelli più corteggiati dai salotti televisivi, in realtà, nello stile, nella forma, ma, ancor di più nei contenuti, essi non incarnano il modello di prete che la Chiesa propone. Come le dicevo, io sono stato Parroco 4 anni a Boccadifalco e 9 anni a Romagnolo, due quartieri periferici della città. E la mia è stata realmente una “rivoluzione”: le chiese ricostruite e abbellite e, soprattutto, sempre piene di fedeli, anche nei giorni feriali, come tutti possono testimoniare. E ciò non perché io ho fatto il “prete di strada”, ma perché ho condotto i miei fedeli all’amore anzitutto per Dio, per la liturgia, per i sacramenti. Io sono d’accordo con Benedetto XVI e anche con don Bux, quando dicono che la liturgia, il culto, è la prima forma di evangelizzazione. Forse anche la più incisiva. Era allora come lo è oggi, nelle mie parrocchie come adesso che svolgo questo insolito ruolo di guida della resistenza cattolica: preferisco l’altare alla strada, il confessionale allo studio televisivo (anche se non lo disdegno), la stola al microfono. Il Santo Curato d’Ars al giovane cui chiedeva di indicargli la strada per la parrocchia, disse: “tu mi hai indicato la via per Ars, io ti indicherò la via per il cielo”. E, forse, è ancor più emblematica la storia della conversione del popolo russo al cristianesimo. Si narra, infatti, che il re Vladimir il Grande si fece battezzare nel 980, perché coinvolto e convertito dalla bellezza dei riti liturgici dei monaci provenienti dal sud est dell’Europa. E qui andrebbe, d’altra parte, affrontata la questione nodale della riforma liturgica conciliare, affrettata (a mio avviso) e improvvida, e della riforma della riforma, tanto auspicata da Benedetto XVI e clamorosamente stoppata dal governo bergogliano. La liturgia romana, nel post Concilio, ha perduto in bellezza e sacralità, al punto che persino gli Ortodossi guardano a tali operazioni riformiste cattoliche con sospetto. Dunque, il prete di strada, tutto sommato, è la punta dell’iceberg di una svolta antropocentrica, che ha scalzato il primato di Dio e ha desacralizzato la liturgia. Non si tratta, dunque, di boicottare i mezzi moderni di comunicazione e di annuncio (compresa la strada), ma di non snaturare l’identità del prete da ministro di Cristo a sostituto sociale. I documenti ufficiali della Chiesa raccomandano, già nella formazione, di fare in modo che l’impegno sociale non soffochi la natura specifica del ministero presbiterale, che è quella dell’annuncio della Parola e dell’amministrazione dei Sacramenti, come pure del governo. Del resto, noi siamo mandati per la salvezza delle anime anzitutto. La nostra missione è di annunciare la redenzione dal peccato, non precipuamente la liberazione dai mali sociali. Temo che, a causa di Bergoglio, stiamo assistendo, anche in Italia, a un revival del prete marxista, impegnato nel sociale, e del tutto infastidito, a causa di una nevrosi ideologica, dal prete come la Chiesa da sempre lo propone. Il vangelo non è il Capitale di Marx, e la fede non è ideologia classista. San Pio X aveva veduto bene dove avrebbe condotto l’entusiasmo modernista: “quando avrete attuato le vostre riforme, quelli che erano dentro se ne andranno e quelli che sono fuori non entreranno”. La svolta neomodernista del cattolicesimo postconciliare, che ha desacralizzato i riti liturgici, conducendo ad una forma di sperimentalismo selvaggio della messa, ha finito col desertificare le chiese. Le statistiche sono implacabili per i facili entusiasmi del partito bergogliano: piazza san Pietro è sempre più vuota, il Giubileo della Misericordia è stato un fiasco clamoroso, in Europa, compresa l’Italia, la partecipazione a messa la domenica si aggira intorno al 10 per cento (anche meno in paesi come Belgio e Olanda, dove si perviene a un misero 4 o 5 per cento), e così le chiese vengono dismesse, e si giunge a scelte impietose, come quelle annunciate dal cardinale Ravasi di mettere all’asta storici luoghi di culto cattolici, perché ormai privi di fedeli. In alcuni paesi ciò è già avvenuto da anni, chiese divenute discoteche e pub e, forse, la dissacrazione delle basiliche italiane trasformate in allegre osterie, è un presagio doloroso di questo deserto profondo. La desertificazione dovrebbe indurre a riflettere ma, in realtà, l’establishment bergogliano è del tutto accecato, come aveva profetizzato suor Lucia negli anni ’60, quando affermava che la mancata attuazione delle richieste del cielo avrebbe presto condotto all’accecamento della gerarchia, come conseguenza del peccato contro lo Spirito Santo. Bergoglio non è in realtà, come vuol far credere, uno che ascolta e legge i segni dei tempi. È stato protagonista del Documento di Aparecida, quando era cardinale di Buenos Aires, dove si auspicavano quei processi di cambiamento che, una volta giunto a Roma, sta estendendo rovinosamente a tutta la Chiesa. Proprio Bergoglio, con gli altri cardinali latinoamericani, tutti esponenti delle teologie della liberazione, è responsabile di un esodo di fedeli cattolici verso le sette protestanti e pentecostali, senza precedenti. Le stime sono apocalittiche. In tutta l’America Latina si parla di milioni di cattolici che vanno via, lasciando vuote le chiese. Non avrebbe dovuto questo indurre a un ripensamento? Forse, questa questione è del tutto irrilevante per Bergoglio, unicamente concentrato nel portare avanti il proprio rovinoso programma. Anche la più recente questione immigratoria, sta rivelando un’ipocrisia ideologica preoccupante. Non si era mai vista questa levata di scudi da parte di vescovi e preti per le grandi battaglie morali, dall’aborto al divorzio, tantomeno per la difesa della fede cristiana di fronte al relativismo imperante. D’altra parte, la contrapposizione tra una visione, diciamo così, cultuale del sacerdote (all’altare e al confessionale, in talare e stola), e una visione sociale e profetica (il prete di strada) è inesistente, è frutto della manipolazione postconciliare. Entrambe le dimensioni si integrano e si armonizzano, sebbene Cristo non ci ha mandato per risolvere i problemi del mondo ma per salvare le anime dal peccato e dare loro la grazia di Dio”.

Intervista esclusiva a don Alessandro Minutella – parte 2

21 gennaio 2019
Don Nicola Bux parla di Chiesa in confusione dottrinale ed anche pastorale: che cosa ne pensa?
 “Conosco e apprezzo moltissimo la competenza teologica di don Bux, soprattutto a riguardo di un’attuazione equilibrata e non ideologica della riforma liturgica conciliare, anche se, a dire il vero, questa riforma, dopo le dimissioni invalide di Benedetto XVI, come dicevo, è stata del tutto presa in mano dalla falange radical progressista che ha trasformato la messa Novus Ordo in una cena luterana, dove vince chi più crea a proprio gusto e, sovente, ad altrui disgusto. Non ho qui lo spazio per addentrarmi nelle questioni delicate relative alla stagione postconciliare delle riforme. Io mi ancoro alla messa detta tradizionale. E so che anche don Bux la stima. Apprezzo soprattutto il suo contributo a riguardo della custodia e salvaguardia dei Sacramenti, a proposito del suo libro “Con i sacramenti non si scherza”. Ora anche questa denuncia, pacata e serena (non accesa nei toni come nel mio caso, ma ognuno ha il suo carisma), a riguardo del clima di confusione nella Chiesa, accredita don Bux non più soltanto come esperto di liturgia a livello mondiale, ma anche come testimone della sana dottrina cattolica, oggi a repentaglio. Gli auguro ogni bene nel Signore.
La dottrina e la verità perenni della Chiesa possono cambiare?
“La questione è più che mai decisiva, e tiene banco almeno dal tempo del primo scontro tra la Chiesa e la modernità, dopo la lunga stagione cosiddetta “tridentina”. Certo, San Pio X, una volta per tutte, ha dimostrato nella Pascendi Dominici Gregis che un confronto con la modernità non doveva coinvolgere la natura intangibile dei dogmi della fede, come invece il modernismo teologico, biblico, liturgico, dogmatico, stava già facendo. C’è certamente un progresso della fede che procede non per tagli o rotture ma per armonica maturazione. Quel che io ero quando avevo appena 5 anni, sono ancora oggi che ne ho 45. Sono cambiate molte cose, maturate, si sono sviluppate alcune potenzialità, ma a partire sempre dal medesimo soggetto che sono io. Ora, lo sviluppo del dogma – tema che tanto ha impegnato la teologia a cavallo tra la fine dell’età illuminista e gli esordi della cosiddetta teologia liberale – richiede il rispetto dell’organismo stesso dentro cui si sviluppa, in questo caso la comunità credente, che vive di un Credo e di dogmi di fede. La lettura antidogmatista dell’establishment bergogliano, la presa di distanza sospettosa verso i dogmi della fede, in vista di una non ben precisata esperienza della fede, priva di punti di riferimento, è soltanto l’esito del lungo processo dialettico tra fede e ragione, tra dogma e vita, tra il realismo metafisico (di matrice tomista) e l’esistenzialismo ateo del XIX secolo. Per esser chiari, a riguardo per esempio di Amoris Laetitia, siamo in presenza di un documento neomodernista dove il dogma e la Tradizione vengono visti con sospetto, e si guarda ad un loro superamento per andare incontro alle esigenze del mondo contemporaneo. C’è la benedizione di un processo che ha guardato, già all’indomani del Concilio, con grande sospetto, fino al boicottaggio pieno, alle questioni relative all’escatologia, alla sacramentaria, alla dogmatica. La tanto sospirata svolta antropologica, che ha messo Dio in soffitta, finalmente si è attuata in un contromagistero, quello di Bergoglio, che apre un processo pericolosissimo, dal momento che non si è avuta, al di là della richiesta di chiarimento dei Dubia dei 4 Cardinali e di qualche altra timida reazione, una risposta corale e organizzata per frenare questo processo illegittimo di cambiamento della dottrina. Il sospetto verso i dogmi si traduce, nel linguaggio rahneriano di Bergoglio, con nuovi termini, che diventano come pilastri di un edificio non più però cattolico, ma eretico. Questi termini, tanto decantati, come discernimento delle situazioni, accompagnamento pastorale, primato dell’esistenza, in realtà nascondono il proposito di smantellare la dottrina fin qui chiara. Per tutti vale quanto dice Eb 13,8: “Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre”. Il teologo von Balthasar denunciava, in armonia con le preoccupazioni di un giovane Ratzinger, la cosiddetta “smania del mondo” (weltelei) che aveva contaminato, come virus, la Chiesa nel post Concilio Vaticano II. Questo ottimismo verso il mondo si è potuto tradurre con la parola dialogo, dietro cui però era in agguato la visione ideologica del vero protagonista nascosto del Concilio, il gesuita tedesco Karl Rahner, fautore appunto di una nuova visione di Chiesa antidogmatica, non più moralista, aperta alle altre religioni, in dialogo amichevole con il mondo. L’immutabilità dei dogmi è ribadita da un documento importante e trascurato, Dichiarazione circa la Dottrina cattolica sulla Chiesa per difenderla da alcuni errori d’oggi (1973), in piena tempesta postconciliare, in cui si guarda con fiducia allo sviluppo e all’adattamento dei dogmi nella società contemporanea, ma si mette in guardia dal pericolo di mutarne radicalmente la natura. Il numero 5 è il più chiaro di tutti: “le formule dogmatiche del Magistero della Chiesa fin dall’inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, restano per sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente”.
La pastorale può divergere dalla dottrina?
“Credo di aver già individuato la risposta nel contesto precedente. La frattura tra queste due componenti è figlia delle teologie della liberazione, soprattutto quelle di matrice latinoamericane, anche se in Europa ha contribuito non poco l’apporto di teologi come Metz e Moltmann, Karl Rahner e Hans Küng. L’idea che da una parte esista la vita, con tutte le sue sfumature cromatiche, vivaci e imprevedibili, e dall’altra, invece, ci sia una dottrina ammuffita e spenta, uscita dalle catacombe del pensiero preconciliare, che somiglia piuttosto a un monolite ingombrante, e che perciò non serve quindi più a nulla nella vita, è del tutto fuorviante. E vediamo bene quali danni sta producendo. Si perviene ad una morale fai-da-te, dove il criterio oggettivo e normativo, e perciò vincolante per la coscienza, cede il passo al primato della libertà individuale. La famosa espressione, in bocca a colui che dovrebbe essere garante e custode della fede, “chi sono io per giudicare!”, è la sintesi improvvida di questa frattura. Non esiste più una dottrina morale e di fede, ma ciò che la mia libertà individua come tale. L’esaltazione della coscienza personale che Bergoglio porta avanti nei dialoghi con Eugenio Scalfari risponde a questo criterio, così come pure l’idea che non esiste un Dio cattolico. A partire dall’esaltazione della libertà del soggetto, ne proviene l’etichettatura di fondamentalismo per quanti, invece, ragionevolmente, non si piegano a questa dittatura del relativismo, come l’ha definita Benedetto XVI, e che trovano nel regime oggettivo dei valori l’adeguazione migliore alla propria coscienza”.
Pensa che oggi la Chiesa parla a dovere del peccato?
“Il tema del peccato e della grazia è del tutto scomparso. Dal pudore postconciliare si è passati al pieno boicottaggio bergogliano. Il registro dominante, e forse persino ossessivo, è quello dei temi sociali, dell’ambiente, dei poveri, degli immigrati. Nel frattempo anche il tema dell’anima immortale viene soppiantato, come pure dal pudore si è passati anche al sospetto nei confronti dei temi ultimi come la Chiesa li ha sempre insegnati (morte, giudizio, paradiso, inferno). È certamente un colpo di grazia assestato dal governo di Bergoglio, ma ha radici più remote, ed esattamente riguarda la scelta di celebrare un Concilio, l’ultimo, con un registro pastorale, tutto infarcito di ottimismo surreale, dove è sembrato che si fossero per sempre sanati i contrasti e le opposizioni da parte del mondo. Surrealismo colpevole, ingenuità complice. Ho avuto modo di vedere, in questi giorni, una replica del teologo domenicano Cavalcoli alle mie affermazioni, così ampiamente condivise dalla gente. In particolare, egli sostiene che io sbaglio quando sottolineo che il Concilio Vaticano II è stato pastorale non dogmatico, e pertanto non vincolante. Egli dice che ci sono state costituzioni che sono dogmatiche, come Lumen Gentium e Dei Verbum, e questo è vero, ma non si è voluto dare loro (e meno male!) carattere vincolante, come per esempio, è avvenuto a riguardo della consustanzialità del Figlio con il Padre al Concilio di Nicea nel 325, o alla Transustanziazione al Concilio di Trento nel XVI secolo. Qualunque credente neghi queste verità vincolanti, ancora oggi, incorre nella scomunica. Ora, quali vincoli dogmatici ha posto il Vaticano II? Nessuno. Al punto che Ratzinger poteva parlare del tentativo – che pare sia quello adoperato paradossalmente dallo stesso Cavalcoli – di fare del Concilio stesso, data l’assenza di un registro vincolante, un superdogma. In altre parole, i Concili hanno vincolato, sotto pena di scomunica, i credenti a riguardo delle dichiarazioni dottrinali emanate. Tutto questo non è accaduto, per grazia di Dio, con il Concilio Vaticano II. Che sia un Concilio pastorale non è certo don Minutella a inventarselo. Lo hanno dichiarato sia Giovanni XXIII che Paolo VI, come anche interpreti esimi del Concilio, tra cui un sempre più stupito von Balthasar, che lamentava appunto la rinuncia dei padri conciliari al registro vincolante, e un sempre più addolorato Ratzinger, che nella stagione postconciliare, vedendo i danni prodotti da un’interpretazione errata, è sembrato una vox in deserto. Dunque, quelli del Vaticano II restano orientamenti non vincoli di fede. E ciò per tutto quanto attiene alle scelte che hanno potuto spingere Paolo VI, deluso, a parlare di inverno profondo nella Chiesa, laddove si attendeva una primavera dello Spirito. Trovo significativo che il cahier de doléances di un sempre più smarrito Paolo VI (che giunge a parlare persino di fumo di satana) sia pressoché analogo a quello di mons. Lefebvre, che parlava di apostasia della fede e di smarrimento dell’identità cattolica. In tutta la Chiesa, da più di un cinquantennio, stiamo vivendo il senso del terzo segreto di Fatima. Gli orientamenti conciliari sono stati non solo improduttivi ma oggi costituiscono le fortezze da cui i progressisti e i neomodernisti lanciano le loro granate, e questo Cavalcoli lo sa bene. Orientamenti conciliari dominanti, quali il dialogo interreligioso, l’ecumenismo, la riforma liturgica, il dialogo con il mondo, non solo vanno urgentemente rivisitati, ma non vincolano in alcun modo il credente, e ciò semplicemente perché gli stessi padri conciliari hanno voluto così. Singolare che uno come Cavalcoli difenda gli orientamenti conciliari definendoli dogmatici, diventando così d’un colpo, esponente del pensiero rahneriano che, proprio in quei sibillini orientamenti, ha messo la propria firma. E così uno come Cavalcoli che si è speso per mettere in guardia da Rahner, pur di venire addosso a don Minutella, d’un tratto assume le difese di Rahner stesso. Ne ha per anni condannato le tesi, e ora invece le considera addirittura vincolanti. E Cavalcoli sa bene che dico il vero quando affermo che i pronunciamenti conciliari sono in realtà vittorie del partito rahneriano. Se gli orientamenti del Concilio, in particolare l’ingenuo dialogo col mondo (che, come diceva von Balthasar, ha scalzato via per sempre il tema della testimonianza e dell’annuncio della fede, a causa della weltelei, la smania del mondo), se, dunque, questi orientamenti sono vincolanti, allora Cavalcoli per primo deve chiedere scusa per averci imbevuto di critica antirahneriana, e deve ora, se è onesto con sé stesso, fare pubblica attestazione di fedeltà non agli orientamenti, ma ai dogmi vincolanti del Concilio rahneriano. Credo che questo mancato vincolo dogmatico sia stato un intervento di Dio. Affinché presto giunga chi, nella gerarchia, provveda a sanare le ferite prodotte da tali orientamenti. Aveva ragione, dunque, von Balthasar: l’anomalia di un Concilio non dogmatico è risultata, alla fine, provvidenziale”.

Intervista esclusiva a don Alessandro Minutella – parte 3

23 gennaio 2019
Esiste forse un eccesso di misericordia senza giustizia e questo può sussistere?
“Non credo si possa parlare semplicemente di “eccesso” di misericordia che, al limite, con qualche correzione, può sempre essere un orientamento, teologico e pastorale, mosso dal desiderio che tutti gli uomini siano salvi. Nella storia del pensiero teologico si sono avuti movimenti di fede, ai limiti dell’ortodossia, che hanno rimarcato il tema della misericordia di Dio per i peccatori. Più di recente, per esempio, trovo interessante l’accento di Dostoevskij, nella sua straordinaria produzione letteraria, al tema della tensione tra la misericordia di Dio e la risposta del cuore umano. Ma tutto ciò è un’altra cosa. Bisogna invece parlare, nel caso del governo bergogliano, di misericordismo, che è appunto altra cosa rispetto ad un bilanciamento in favore della misericordia. Il misericordismo è, probabilmente, l’eresia più insidiosa che Bergoglio porta avanti, perché risponde a un bisogno di redenzione da parte dell’uomo contemporaneo, preda di una società liquida (come l’ha definita Bauman), che tuttavia scavalca l’impegno, la conversione, il riscatto dalle condizioni di peccato. Questo è un sovvertimento senza precedenti. In una parola, il misericordismo predica il perdono di Dio senza esigere il pentimento del peccatore. La Chiesa ha sempre insegnato – sulla scorta della Rivelazione – che la misericordia e il perdono di Dio esigono pentimento e riscatto. Ora, il misericordismo si ferma, per fare riferimento all’icona dell’adultera, alle parole di Cristo: “nessuno ti ha condannata? E neppure io ti condanno” (Gv 8,10), ma omette colpevolmente ciò che segue: “va’ e d’ora innanzi non peccare più” (Gv 8,11). Nelle mie seguitissime catechesi su Radio Domina ho potuto dimostrare che, nel panorama del misericordismo in Italia, Enzo Bianchi rappresenta il pericolo più insidioso. Insieme al cardinale Kasper è senza dubbio l’alfiere di questa eresia. Non è un caso che, nel primo Angelus, Bergoglio abbia voluto elogiare Kasper, affermando di aver letto il suo libro sulla misericordia di Dio. Nel frattempo, lo stesso cardinale tedesco pubblicava più di un volume per mettere sotto la regia della misericordia il governo di Bergoglio. Così la misericordia, anzi il misericordismo, è divenuto come la colonna sonora, un disco rotto, di questi anni di governo. Si assiste alla perdita di pudore da parte di questo establishment bergogliano: la dottrina è alterata, il governo è, senza alcun dubbio, esito di un golpe senza precedenti, ovunque regna non la carità, che fa della Chiesa la Communio di cui parla sant’Agostino, ma la paura; l’autorità sacra è divenuta regime, ovunque regna la confusione e l’anarchia, sembra (per dirla con Benedetto XVI) che la barca di Pietro stia per affondare. Quando ho preso parte al Convegno organizzato dal Cardinale Burke l’anno scorso a Roma (credo ad aprile), ricordo che proprio il cardinale Burke confidava ai presenti in aula che il compianto cardinale Meisner (uno dei firmatari dei Dubia), uscendo da una delle sessioni del Sinodo sulla famiglia, constatando la piaga misericordista, poi approdata in modo subdolo nel documento finale Amoris Laetitia, diceva sottovoce al suo amico Burke: “di questo passo giungeremo allo scisma”. Non so quali siano i tempi, e la stessa parola scisma riesce a frenare anche gli spiriti più arditi, amanti della Chiesa. Tuttavia, a pensarci bene, la falsa chiesa bergogliana è già ipso facto, scismatica. So che questa è un’affermazione dirompente, ma la verità, prima o poi, si imporrà. Noi stiamo vivendo il terzo segreto di Fatima. Con la pubblicazione di Amoris Laetitia e con l’insieme dei sospetti, sempre più fondati, di un golpe della Chiesa cattolica, di fatto, la chiesa bergogliana ha rotto con il patrimonio dottrinale di sempre e, anche solo sul piano nominale, ha creato le condizioni di uno scisma. Certo, quanti ancora guardiamo all’anziano Benedetto XVI, come legittimo papa, siamo pochi e purtroppo anche non coesi, tuttavia è il piccolo resto cattolico, che sopravvivrà a questa prova finale di cui parla il Catechismo al numero 675. Sarebbe auspicabile una discesa in campo più coraggiosa da parte dei confratelli. Si attua la predizione della Santa Vergine a La Salette: “Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’anticristo”. Si realizza in pieno la visione di papa Leone XIII, che vedeva la sede di Pietro aggredita da satana, stiamo vivendo Fatima, che parla di apostasia della fede e di un falso governo. Forse, su tutti, chi ha potuto vedere meglio quanto stiamo vivendo è mons.Fulton Sheen, di cui esistono in traduzione italiana diversi testi. Egli aveva potuto parlare, già negli anni Cinquanta, alla vigilia del capovolgimento conciliare, di un’agenda del falso profeta, sintetizzata in 12 punti. Riporto per esteso la sua brillante e profetica argomentazione: “1. Verrà travestito da Grande Umanitario; parlerà di pace, prosperità e abbondanza, non come mezzo per condurci a Dio, ma come fini in sè stessi; 2. Scriverà libri sulla nuova idea di Dio per adattarla al modo in cui le persone vivono; 3. Egli indurrà la fede nell’astrologia in modo da non considerare la volontà, ma le stelle come responsabili dei nostri peccati; 4. Spiegherà psicologicamente la colpa con il sesso represso, farà vergognare gli uomini se i loro compagni dicono che non sono di larghe vedute e liberali; 5. Identificherà la tolleranza con l’indifferenza verso il bene e il male; 6. Promuoverà più divorzi sotto il travestimento che un altro partner è “vitale”; 7. Aumenterà l’amore per l’amore e diminuirà l’amore per le persone; 8. Invocherà la religione per distruggere la religione; 9. Parlerà perfino di Cristo e dirà che è stato il più grande uomo che sia mai vissuto; 10. La sua missione, dirà, sarà quella di liberare gli uomini dalle servitù della superstizione e del fascismo, che non definirà mai; 11. Nel mezzo di tutto il suo apparente amore per l’umanità e il suo discorso di libertà e uguaglianza, avrà un grande segreto che non dirà a nessuno: non crederà in Dio. E poiché la sua religione sarà fratellanza senza la paternità di Dio, ingannerà anche gli eletti; 12. Istituirà una contro-Chiesa, che sarà la scimmia della Chiesa perché, lui, il diavolo, è la scimmia di Dio. Sarà il corpo mistico dell’anticristo che in tutti gli aspetti esteriori assomiglierà alla Chiesa del corpo mistico di Cristo. In un disperato bisogno di Dio, indurrà l’uomo moderno, nella sua solitudine e frustrazione, alla fame per l’appartenenza alla sua comunità che darà all’uomo un allargamento di intenti, senza alcun bisogno di emendamento personale e senza ammissione di colpa personale. Sono giorni in cui al diavolo è stata data una corda particolarmente lunga”.
Cos’altro aggiungere in chiusura di questa intervista?
A noi tocca vivere quella hypomoné di cui parla la Scrittura, in particolare l’Apocalisse, e che si traduce con resistenza. Sì, dobbiamo resistere, certi che, alla fine, il Cuore immacolato di Maria trionferà e la Chiesa uscirà da questa prova finale come Cristo, di cui è sposa, dalla tomba a Pasqua, piena di luce. L’ultima parola è Alleluja, è Amen”.
Bruno Volpe

5 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    Ho l’impressione che l’argomento sarebbe molto più ampio di quanto possa apparire.
    Personalmente ritengo che l’atteggiamento di don Minutella possa essere definito inverosimile e provocatorio. Del resto, se papa Ratzinger che è notoriamente un insigne teologo ha reputato opportuno e legittimo dare le dimissioni, non può essere certo un Minutella qualsiasi a metterle in discussione, perciò definire Bergoglio un usurpatore mi sembra del tutto fuori luogo. Se fosse vissuto nel XV secolo durante lo scisma di Avignone, chisà cosa avrebbe pensato…
    Per quanto riguarda la spiritualità, a mio avviso, salvo rare eccezioni, ogni traccia se n’è persa nel momento in cui il papa è diventato a tutti gli effetti il capo di uno stato sovrano ed un soggetto politico come un altro, per di più dei peggiori, essendo addirittura un monarca assoluto. Inevitabilmente, da allora, la “Chiesa Istituzione”, pur continuando formalmente a tramandare il messaggio evangelico, ha finito per dare più importanza all’aspetto esteriore e mondano.
    Ci sono due passi nel vangelo su cui bisognerebbe riflettere. Uno riguarda il confronto tra Gesù e Pilato, in cui afferma chiaramente che: «.. il mio regno non è di questo mondo…» e l’altro durante l’incontro con la Samaritana , in cui altrettanto chiaramente proclama che: «… viene l’ora, ed è questa, in cui i veri credenti adoreranno Dio in spirito e verità…»

  2. pol ha detto:

    Interessante.
    Riassumendo, se non ho mal capito:
    la chiesa starebbe vivendo una specie di scisma di fatto, tra modernisti, antimodernisti, altri ancora.
    Ma allora, non sarebbe preferibile dar vita anche a chiese formalmente diverse, così che anche i fedeli possano capire meglio? E scegliere liberamente in cosa credere?
    Neppure sulla elezione del papa pare di capire che vi sia concordia.
    Sono andato a vedere le analisi di Socci, davvero complessa anche solo la questione giuridica.
    Ma in effetti, andando a leggere le norme delle costituzioni e del codice di diritto canonico, sembrerebbe aver ragione…..
    Mi domando: è questa una sorta di realizzazione del terzo segreto, di un papa non realmente papa?
    Questioni complesse che si intersecano.
    Se ne parla anche all’estero (vedasi i nomi di cardinali stranieri fatti da Minutella).
    Ma a questo punto sembra quasi una scomunica di tutti verso tutti, ed anche per tale motivo mi domando se non sarebbe preferibile consentire al fedele la scelta tra chiese anche formalmente diverse.
    Non solo cattolici e protestanti, ma anche diverse concezioni pur tra chi protestante non è.

  3. luigi ha detto:

    Se devo essere sincero, sono un deluso di papa Bergoglio e non solo di lui. Non mi piacevano nè Wojtyla, nè Ratzinger. L’unico è stato Martini che papa non è diventato. Don Giorgio è giusto non contrapporre la Chiesa istituzionale a quella mistica, ma non può negare che ci sia una differenza tra le due: quella mistica è una Chiesa disinteressata, quella istituzionale no.

    • luigi ha detto:

      Sono d’accordo con chi, come Simone Veil, contesta alla Chiesa e a tutte le chiese religiose o laiche i loro dogmatismi come violazione della libertà di ricerca della verità. Ad un fedele al dogma ma falso prediligo un infedele al dogma ma autentico. L’esempio è Dietrich Bonhoeffer. Infedele al dogma della chiesa protestante ma autentico quando collaborò ad organizzare l’attentato a Hitler pagando con la vita.

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