Salvò cento ebrei dai campi di concentramento e fu internato a Dachau. Il don spretato finito nell’oblio

Don Giovanni Battista -1978), nel tondo, il 29 aprile 1945, giorno della liberazione dal lager nazista
dal Corriere della Sera

Salvò cento ebrei dai campi di concentramento

e fu internato a Dachau.

Il don spretato finito nell’oblio

di Barbara Gerosa
Don Tavasci salvò un centinaio di ebrei aiutandoli a fuggire in Svizzera. Arrestato, fu internato a Dachau. A fine guerra tornò in Valchiavenna, ma abbandonò il sacerdozio e si sposò. Con la moglie emigrò in Francia e sulla sua figura cadde l’oblio. Fino a oggi, quando il Comune di Piuro lo ricorderà con una cerimonia e una targa
«Ero disposto alla morte e pregavo per la vita». Le sue parole affiorano dai ricordi dei familiari, memorie scritte e conservate gelosamente per decenni da chi gli è stato vicino. Una storia rimasta a lungo sconosciuta e riscoperta grazie al minuzioso lavoro di ricerca del nipote Giuseppe Succetti e dell’amministrazione comunale di Piuro, che oggi ricorderà don Giovanni Battista Tavasci con una targa affissa nel piccolo cimitero della frazione di Borgonuovo. Nella Giornata della Memoria la figura di questo sacerdote riaffiora dal passato come un esempio da seguire, ma anche ferita da sanare nel borgo adagiato ai piedi delle cascate di Acquafraggia, in Valchiavenna, lungo la strada che porta in Svizzera. Perché il religioso, che ha salvato un centinaio di ebrei e prigionieri, dopo essere stato deportato nei campi di concentramento, decise di abbandonare il sacerdozio sposando una giovane del paese. Maria, 98 anni: ci sarà anche lei oggi a deporre un fiore sulla targa del marito.
«Il matrimonio, che tanto scalpore fece all’epoca — spiega il sindaco di Piuro, Omar Iacomella — è solo l’ultimo tassello di una vita spesa per gli altri. Don Tavasci, a lungo finito nell’oblio forse proprio per quella scelta di togliere la tonaca, è stato un eroe di quei tempi terribili, e come tale deve essere ricordato». La storia dunque, con l’ordinazione nella chiesa di Gordona il 28 luglio del 1935 e poi la nomina cinque anni dopo a parroco di Sant’Abbondio di Piuro. Nel 1941 viene inviato ad Amburgo per assistere gli operai italiani emigrati in Germania. «Rientrerà in Valchiavenna l’anno successivo — racconta Giuseppe Succetti —. E da quel momento nella sua parrocchia iniziò ad ospitare e a procurare i documenti necessari per la fuga nella vicina Svizzera a decine di ebrei perseguitati, in molti casi accompagnandoli lungo i sentieri per varcare il confine. Così, con i soldati che dopo l’8 settembre non aderirono alla Repubblica di Salò. Per alcuni mesi fu costretto anche lui a rifugiarsi in Svizzera, ma poi rientrò a Piuro per aiutare una famiglia ebrea e la domenica delle Palme del 1944 venne catturato. Nemmeno l’allora cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, riuscì a impedire la sua deportazione, prima a Mauthausen e dopo sei mesi a Dachau dove rimase fino al giorno dell’arrivo della fanteria americana, il 29 aprile del 1945». Destinato alla baracca 26, riservata ai preti. «Un anno di angherie morali e fisiche — le sue parole affidate a brevi memorie scritte —. Ci si trova come semplificati di fronte alla vita e alla morte. Si apprezzano le cose sostanziali: il pane, la vita, l’essere pronti alla morte nella grazia di Dio».
Nei campi di concentramento conosce Père Michel Riquet, predicatore della chiesa di Notre Dame di Parigi. È lui, insieme ad altri sacerdoti che lo salva, evitandogli il trasferimento in un campo di sterminio. È sempre lui che gli troverà un lavoro come operaio, quando tolta la tonaca, andrà a vivere con la moglie proprio in Francia. Non prima di essere rientrato a Gordona a giugno del 1945, dopo un viaggio disperato di oltre un mese e aver ripreso possesso della sua parrocchia di Sant’Abbondio. «La sofferenza per le crudeltà, le vessazioni e il terrore subiti durante la prigionia, insieme al mancato sostegno del suo vescovo, lo spinsero ad abbandonare il sacerdozio», conclude il nipote. La morte nel 1978, da laico.
«Ho scritto alla comunità ebraica di Milano perché il suo nome venga inserito tra quelli dei Giusti tra le nazioni. Un gesto doveroso dopo 45 anni di oblio», la proposta del sindaco Iacomella. Le uniche parole che mancano a questo racconto sono quelle di Maria. Non servono, spiega, la sola voce che desidera sia ricordata è quella di don Giovanni Battista Tavasci.

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