Omelie 2024 di don Giorgio: S. FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE

28 GENNAIO 2024: S. FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE
Is 45,14-17; Eb 2,11-17; Lc 2,41-52
Nel rito ambrosiano si celebra l’ultima domenica di gennaio la festa della Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, che nel rito romano si celebra la domenica entro l’ottava di Natale. Si condensa così in una celebrazione festiva la memoria dei silenziosi trent’anni di Nazaret, il mistero dell’immersione del Signore in una famiglia che vive nascosta tra le altre nel borgo sperduto di una terra marginale.
Dopo i racconti dell’infanzia, solo un evento conosciamo: l’episodio di Gesù dodicenne condotto dai genitori in pellegrinaggio a Gerusalemme, insediato tra i dottori del Tempio, un avvenimento che sconvolge la vita della piccola famiglia, che scorreva evidentemente su ritmi normali. Nient’altro. Tutto il resto è silenzio.
Sarei tentato di soffermarmi sui trent’anni di Gesù vissuti nel silenzio. Un silenzio che avvolge trent’anni di vita ha un suo fascino. Ci sono stati santi che hanno costruito la loro spiritualità sul silenzio dei trent’anni di Gesù a Nazaret, e la cosa assurda è aver tentato, già all’inizio del Cristianesimo, di soffermarsi su qualche particolare della vita diciamo privata di Gesù, naturalmente inventandolo, con notevole fantasia, anche divertente. I Vangeli cosiddetti apocrifi che vorrebbero rompere l’incanto del silenzio dei trent’anni di vita di Gesù a Nazaret che cosa di bello o di buono potrebbero dirmi? Nulla.
Soffermiamoci invece sull’unico episodio degno di fede, riportato dall’evangelista Luca, che riguarda Gesù dodicenne, che proprio perché è l’unico dovrebbe stimolarci a riflettere seriamente sul significato. Ma vorrei prima allargare il discorso, con alcune riflessioni, a partire dal primo brano della Messa. Il profeta anonimo, chiamato dagli studiosi Secondo Isaia, vissuto negli anni successivi al 538 a.C., quando il re persiano Ciro il Grande, sconfitti i Babilonesi, aveva permesso agli Ebrei esuli di tornare nella terra dei Padri, abbandonata nel 586 a.C., al momento della distruzione di Gerusalemme, riceve da Dio la missione di consolare un popolo distrutto da anni e anni di schiavitù a Babilonia.
I profeti avevano anche il compito di rimproverare il popolo eletto quando tradiva la fedeltà al Dio dell’Alleanza, ma nello stesso tempo avevano la missione di sostenere lo stesso popolo quando si pentiva. Duplice compito: rimproverare e sostenere. Dovrebbe essere l’intento di ogni opera educativa. E se Dio talora castigava il suo popolo riducendolo in schiavitù di popolazioni straniere, talora affidava il compito di consolarlo proprio a re o a imperatori pagani: pensate al re persiano Ciro il Grande, chiamato dal profeta “unto del Signore”, incaricato di permettere agli Ebrei di tornare a casa loro, dopo anni e anni di schiavitù babilonese.
Un’altra e ultima riflessione sul primo brano, là dove il profeta dice: “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore”. Se finora Dio era riconosciuto presente direttamente nella storia del popolo, ora emerge la consapevolezza che il Signore, pur presente dietro i propri avvenimenti, diventa sempre più indecifrabile nei suoi comportamenti. Israele è coinvolto nella storia, ma non sono più sufficienti i criteri interpretativi del giusto e dell’ingiusto per cogliere l’intervento di Dio.
La storia di Israele è inserita in una dinamica dove Dio continua ad essere presente e Salvatore, non è certo assente, tuttavia è nascosto e spesso incomprensibile.
Torna allora la polemica contro coloro che cercano un’altra divinità affidandosi alla miseria degli idoli, più tangibili, sfruttabili, manovrabili a piacere di ognuno. Ciò che spaventa è il Mistero di Dio, sempre sorprendente, proprio perché imprevedibile, fuori dai nostri giochi egoistici di potere. I profeti dell’Antico Testamento erano espliciti nel dire che soltanto il Signore, anche se silenzioso e misterioso, è il vero artefice del creato, colui che offre la sua parola, sorgente di giustizia e di verità.
Alcuni sono convinti che parlare oggi di idoli sarebbe come tornare inutilmente indietro, ai tempi in cui c’erano i popoli politeisti, adoratori di più divinità raffigurate con immagini più o meno rozze. Si pensa: oggi siamo evoluti, e chi adora pezzi di legno? Saremmo ridicoli! E invece lo siamo, ovvero ridicoli, perché la cultura di oggi è fortemente idolatrica, comprese le religioni, anche quella cattolica, che impongono un loro dio, o idolo.
Passando adesso al brano del Vangelo, vorrei soffermarmi su due aspetti, o meglio su due espressioni di Luca. Anzitutto, la risposta di Gesù dodicenne ai genitori che lo avevano rimproverato per la sua assenza non giustificata: «”Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”». Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
Una traduzione più aderente al testo originale greco potrebbe essere questa: “Non sapete che devo essere presso il Padre mio?”. Innanzitutto, c’è quel “devo”, dunque un dovere imprescindibile. La scelta da parte di Gesù dodicenne di restare nel tempio coi dottori è una rivendicazione dei diritti del Padre, che per il Figlio diventano un dovere. Una rivendicazione che non ha età. Anche i piccoli hanno i loro doveri fondati sui diritti di Dio. E quali sono i diritti di Dio? Risiedono nell’essere: “Io devo essere presso il Padre mio”. Possiamo anche tradurre: devo essere nell’essere divino. Se devo parlare di diritti, questi diritti sono dell’essere, che perciò diventano i nostri doveri. Una società che parla solo di diritti, e di diritti fondati sulla carne o sulla psiche, non capirà mai di tradire se stessa, nei suoi sacrosanti doveri fondati sui diritti dell’essere.
L’altra espressione è la parte finale del brano: tornato a Nazaret, “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”. Talora sento l’esigenza di andare a scoprire le parole originali che sono greche: Luca scrive queste tre parole in greco: σοφίᾳ, ovvero sapienza, ἡλικίᾳ, ovvero età, χάριτι (da karis), ovvero grazia. A parte l’età come crònos, tempo che passa, dire sapienza e dire grazia sono la stessa cosa. Sofìa richiama la Sapienza personificata, la stessa Divinità nella sua realtà diciamo femminile, in quanto Gratuità. Pensate: Sofia tra l’altro è un nome di donna, ancora in voga, è l’essenza stessa della donna, in quanto grazia, gratuità. Immaginate un mondo così? Bellezza divina in quanto Gratuità.
E la parola “sapienza” richiama il termine “logos”. L’evangelista Giovanni nel Prologo scrive: “In principio (ovvero dall’eternità, prima del tempo) il Logos era”, per poi dare la grande Notizia: “E il Logos si fece carne e venne ad abitare in noi”.
Dunque, a Nazaret, Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia”: l’età come crònos cresceva, il corpo cresceva, anche la psiche, ma lo spirito era già tutto sapienza e grazia”.
Succede anche in noi, ma dobbiamo fare spazio in noi alla presenza della sapienza e della grazia, che dunque crescono non in sé, già pienezza, ma per il vuoto che in noi creiamo con il distacco da ogni cosa inutile.

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