Casi strani di pedofilia in una Diocesi che finge di non sapere

duopedo
di don Giorgio De Capitani
Sembrava strano che nella più grossa diocesi del mondo, o quasi, si fossero finora verificati solo casi sporadici di preti pedofili, per di più tra gli ordini o congregazioni ecclesiali (in primis, i salesiani), anche se – non va dimenticato – tra religiosi operanti nel campo pastorale.
Guardando al passato, anche tra i preti diocesani la pedofilia, soprattutto nelle sue forme più morbose, magari senza arrivare all’estremo della violenza fisica, non era un fenomeno così raro. Anzi. Anzitutto, qualche ricordo personale. 
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Da chierici, fin dalle medie (anni ‘50/’60 e oltre), eravamo quasi ossessionati da certe Regole di San Carlo, che vedevano il male dappertutto, anche nel lavarsi al mattino (senza scoprirsi troppo i gomiti) o nel cambiarsi la biancheria intima la sera, sotto le coperte, al buio. Non ci si poteva toccare con le mani, quando si giocava: si usava il fazzoletto, che veniva annodato in cima per colpire ad effetto l’”avversario”, anche in modo violento. Il fazzoletto svolazzante, infatti, poteva creare discussioni a non finire, perché si trovava sempre una buona scusa per dire: “Non mi hai preso!”. Era proibito assolutamente tenere le mani in tasca (forse per evitare di toccarsi il pisellino) o di accavallarsi le gambe (per lo stesso motivo) e soprattutto di stringere amicizie a due per evitare che diventassero “particolari” (ovvero “morbose”). Quando si andava in gita, ci si scambiava ogni volta il compagno di viaggio. I giochi all’aria aperta erano per regola tutti comunitari: nessuno poteva assentarsi in disparte a giocare solo con alcuni amici. Se capitava che non ci si sentisse bene, allora si aveva l’autorizzazione dal “prefetto” (colui che aveva l’incarico di mantenere la disciplina di una classe) di recarsi in “camerata” (l’attuale aula scolastica). A proposito, vorrei ricordare un fatto personale. Un pomeriggio capitò anche a me di avere un po’ di febbre, perciò col dovuto permesso mi ritirai nella mia camerata. Il caso volle che ci fosse un altro compagno con gli stessi problemi di salute. Costui, chissà per quale motivo, chiuse la porta dal di dentro. Appena il vice-prefetto venne a controllare (eravamo sempre sotto stretta osservanza), trovando chiusa la porta, pensò subito male: ci impose di aprirla, e urlò: “Fate subito le valigie e… a casa!”. Ce ne volle perché dimostrassimo la nostra “innocenza”! In liceo, a Venegono (Varese), ogni settimana “spariva” qualche nostro compagno, con identico metodo. Ogni giovedì pomeriggio, tempo permettendo, si andava in gita a piedi per i paesi vicini. Quando si tornava, un giovedì sì un giovedì no trovavamo il letto “disfatto” (materasso arrotolato) di qualche nostro compagno. Era stato spedito a casa sua! I motivi? Nessuno ce li diceva. Probabilmente aveva trasgredito qualche regola “moralistica” di San Carlo.
Da giovane prete, venni subito a conoscenza di ciò che era capitato nel passato a proposito di preti, “beccati” con le mani fuori posto (soprattutto durante le confessioni private) e giravano certe storie, come quando, al tempo in cui i comunisti non perdonavano nessuna debolezza del loro prete, appena uscivano voci “strane”, affiggevano manifesti in tutto il paese. Un giorno rimasi scioccato quando mi dissero: “Non scandalizzarti, il 60 per cento dei preti ha certe debolezze!”. E così preti “presi” sul fatto venivano immediatamente spostati in un’altra parrocchia, evitando lo scandalo. Quando i ragazzini si confidavano con i genitori, questi, costretti dal parroco a coprire ogni cosa, lasciavano perdere, anche perché venivano indottrinati con il criterio: “Anche i preti possono sbagliare: bisogna capirli! E poi… se la gente del paese lo sapesse! E poi… il bambino sarebbe sulla bocca di tutti!”. Ecc. ecc.  
Poi i tempi cambiarono. Il Conciliò Ecumenico Vaticano II mise in discussione anche l’educazione nei Seminari, che sorvolò sulle Regole più rigide di San Carlo. La donna non veniva più vista come il demonio, nessuno più si scandalizzava se il prete frequentava indifferentemente ragazzi e ragazze, gli oratori iniziarono ad essere misti (questo intorno agli anni ’70). Certo, si verificarono sempre più crisi di preti che, appena usciti dai Seminari, si innamoravano di una donna, e lasciavano il ministero. Ma questa è un’altra storia. Più nessuno parlava di pedofilia, come se il fatto di essere più aperti con le donne, il fenomeno fosse automaticamente sparito.
Quando, qualche anno fa, il fenomeno della pedofilia del clero scoppiò in ogni parte del mondo, nel senso che si tolse finalmente il coperchio dell’omertà, la Chiesa dei fedeli rimase sconvolta, mentre la Gerarchia cercò ancora di arginare lo scandalo, appellandosi al fatto che “anche il prete ha una sua dignità da proteggere”. Certo, oggi i preti pedofili generalmente non vengono più spostati in altre parrocchie, ma fatti spariti in qualche comunità religiosa. Se la faccenda passa nelle mani della giustizia, allora il vescovo, prima che la notizia appaia sui giornali, interviene togliendo al prete ogni incarico pastorale. È quanto successo ultimamente con don Alberto Paolo Lesmo, parroco a Milano S. Marcellina e decano di Milano – Baggio.
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Vorrei fare alcune domande. Anzitutto, se un vescovo venisse a conoscere, per via privata, che un suo prete è pedofilo, come si comporterebbe? Lo denuncerebbe personalmente all’autorità giudiziaria, oppure metterebbe tutto a tacere, evitando il più possibile lo scandalo? Più precisamente, se Angelo Scola avesse saputo, anni fa, dallo stesso don Lesmo ciò che era successo,  come si sarebbe comportato? Avrebbe, come ha fatto nei giorni scorsi, ormai costretto dai fatti, pubblicato ufficialmente la notizia sul sito della Diocesi, anticipando così i quotidiani, togliendo immediatamente ogni incarico al prete inquisito?
In ogni caso, c’è una cosa che non mi convince affatto, ed è la dichiarazione della Curia milanese di essere stata lasciata all’oscuro di tutto per tanti anni. La Curia è come la Cia: sa tutto di tutti i suoi preti, in bene e in male, attraverso i pettegolezzi e i malumori della gente che anche per una sciocchezza scrive in Curia. Come mai, in tanti anni (dal 2009 circa ad oggi) nessuno si sia mai accorto di nulla e nessuno abbia avvertito i superiori? Strano, veramente strano! 
Ma c’è di più. A parte la stupidaggine o l’incoscienza di don Lesmo per non aver parlato con i superiori al momento opportuno, almeno quando nel 2013 era stato raggiunto in parrocchia da una perquisizione ordinata dagli inquirenti, evitando così lo scandalo di oggi (ma è proprio così? don Lesmo non si è mai confessato con nessun prete? in tal caso, il confessore che ha taciuto non è anch’egli responsabile? non mi si tiri fuori il segreto confessionale, quando tutti i confessori sanno che hanno il dovere di consigliare al meglio il penitente pedofilo, invitandolo a parlare con i superiori), anche tra gli addetti ai lavori, ovvero tra gli inquirenti, non c’è stato nessuno che ha pensato di avvertire subito, fin dal 2013, la Curia milanese, onde evitare che don Lesmo potesse reiterare i suoi crimini sui minorenni? Come? La legge, prima lascia fare, e poi punisce? Anche questo è strano, veramente strano!
Dico di più. I parenti del minorenne, appena sono venuti a conoscenza dei fatti, perché non hanno scritto alla Curia? Anche questo è strano, veramente strano!
Da ultimo, ammettiamo pure che la Curia non sia stata avvertita da nessuno (cosa del tutto strana!), perché, quando ha ricevuto la notizia dell’indagine a carico di don Lesmo, precisamente il 2 marzo 2016 (con documento datato 19 febbraio), ha aspettato fino al 25 marzo a comunicare alla gente di aver rimosso don Lesmo da ogni incarico? Vorrei far notare che il 25 marzo era il Venerdì Santo!!!
Triste ricordo per me il Venerdì Santo! Nel 2011, proprio il Venerdì Santo, ricevetti una raccomandata in cui la Curia mi minacciava di sospensione. Altre faccende! Altre storie!
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Non posso chiudere questo articolo, senza porre un’altra domanda, ancor più imbarazzante. Quanti altri casi ci sono nella Diocesi milanese, che sono simili alla triste vicenda di don Lesmo? Se qualcuno sa, perché tace? Gli stessi confessori, perché coprono il loro dovere di convincere i penitenti pedofili a parlare coi Superiori? Perché i Superiori, a loro volta, non prendono subito provvedimenti radicali?    
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Adesso la dico grossa. I puri di cuore e le verginelle non leggano. Potrebbero star male. Ecco la mia proposta. Visto che non è ancora permesso (e lo sarà, senz’altro, fra cent’anni)  il matrimonio per i preti (tra eterosessuali e anche tra omo) e visto che non basta la preghiera a tenere a bada gli istinti sessuali più incontrollati, perché non istituire nei seminari un Corso per un uso corretto della masturbazione? Secondo me, potrebbe essere una soluzione o una valvola di sfogo per evitare che i preti cadano nel crimine della pedofilia.

 

10 Commenti

  1. Antonio ha detto:

    Grazie Don Giorgio: come sempre diretto, sincero e onesto, anche quando si tratta di dare qualche pugno sullo stomaco per veicolare certi concetti. Io ho vissuto, sia direttamente che indirettamente, il clima dei seminari e, purtroppo, dai dieci ai vent’anni ne ho respirato l’aria. Non sono riusciti nell’intento, sono rimasto “libero” ma i danni psicologici che ho ricevuto dal “trattamento” sono tuttora rilevanti… cari benpensanti, che Vi esprimete per slogan. Non voglio scendere nei dettagli, anche se ne avrei una messe, per spiegare il senso della mie affermazioni. Vi basti sapere che ora di ipocrisia, di doppiezza, di mancanza di sincerità ne ho davvero piene le tasche e, serenamente, lascio chi vuole restarvi ai miasmi mortiferi: io me ne vo da questi riprovevoli personaggi: nell’al di là vedrò chi ha avuto ragione.

  2. lina ha detto:

    Un sacerdote pedofilo penso non abbia certo remore a praticare autoerotismo e non ha bisogno di insegnamenti in tal senso. E comunque se un sacerdote proprio deve commettere peccati di sesso, perchè non pecca con adulti? A questo punto li capirei di più, proprio perchè essendo fatti di carne, siamo più fragili e vulnerabili. Ma chi invece compie atti di pedofilia, è solamente vizioso e vigliacco. Tanto più che ritengo che soprattutto un sacerdote legato a dei principi morali più elevati, qualora si accorga di queste pulsioni innaturali, anzichè soggiacervi, farebbe bene a rivolgersi ad uno piscologo per essere aiutato.

  3. Giuseppe ha detto:

    Alcuni giorni fa abbiamo già affrontato l’argomento dei seminari. In quella occasione facevo presente che di solito l’età in cui si frequenta il seminario corrisponde al periodo più fertile dell’adolescenza, quando cioè si comincia a vedere il prossimo sotto una luce diversa, si sente la necessità di socializzare e cercare di condividere esperienze e “avventure” e, finalmente, ci si accorge dell’esistenza dell’altro sesso, scoperta che provoca diversi turbamenti e si accompagna a quella inattesa della sessualità. Aggiungevo inoltre che l’isolamento forzato di quegli anni, una volta lasciati gli istiuti di formazione, sarebbe potuto sfociare in una sorta di confusione e di ribellione dalle conseguenze imprevedibili. Tant’è vero che in certe occasioni, la rinuncia al sacerdozio e l’abbandono dell’abito talare non sarebbero determinati da crisi di fede, ma dal desiderio, o addirittura dal bisogno, di poter vivere altre esperienze o operare scelte di vita diverse e, fino a quel momento precluse. Per questo mi sembra giusto e più che appropriato che dopo la scuola dell’infanzia, nell’insegnamento di ogni indirizzo, ivi compresi i seminari, venga dato spazio allo studio e alla comprensione della sessualità, ovviamente nella maniera più corretta possibile, cercando in particolar modo di liberare l’argomento da ogni sorta di moralismo e pregiudizio, che potrebbero darne un’idea distorta, affinché nei ragazzi cresca la consapevolezza di ciò che accade nel loro organismo Non dico che questo tipo di approccio sia una sorta di panacea di tutti i mali, ma senza dubbio, aiuterebbe i giovani a conoscersi meglio ed accettarsi, e potrebbe, se non altro, limitare comportamenti sbagliati. Mi rendo conto che l’argomento è scottante e presta al fianco a diverse osservazioni e critiche, ma sono del parere che se non si prende qualche provvedimento serio e basato sul buon senso, sarà sempre più difficile riuscire ad arginare certi fenomeni dolorosi e le situazioni devianti. Oltretutto i vertici dell’apparato ecclesiastico non potrebbero più giustificare comportamenti omertosi o forme ipocrite di complicità.

  4. zorro ha detto:

    Ma e’ possibile che a fronte di una regola monastica e non un dettato di DIO i preti devono essere assessuati? E’ allucinante.I preti se lo desiderano dovrebbero avere la possibilita di sposarsi.Oppure vivere la propria sessualita’ come meglio credono.D’altronde l’uomo e’ carne e spirito.

  5. Mario ha detto:

    Cooosa? Ti rammento caro don Giorgio, a proposito della masturbazione quello che dice il catechismo della Chiesa cattolica:2352 Per masturbazione si deve intendere l’eccitazione volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un piacere venereo. « Sia il Magistero della Chiesa – nella linea di una tradizione costante – sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato ». « Qualunque ne sia il motivo, l’uso deliberato della facoltà sessuale al di fuori dei rapporti coniugali normali contraddice essenzialmente la sua finalità ». Il godimento sessuale vi è ricercato al di fuori della « relazione sessuale richiesta dall’ordine morale, quella che realizza, in un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana ». (236) Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l’azione pastorale, si terrà conto dell’immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d’angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare, se non addirittura ridurre al minimo, la colpevolezza morale….. E comunque io pure da giovane sono stato seminarista per 5 anni e i preti mi dicevano che la masturbazione fa diventare ciechi. E alla sera passava il prefetto accanto ai letti per verificare che non si stesse con le mani sotto le coperte, ma bisognava tenerle sul petto per dormire.

  6. Alberto ha detto:

    Don Giorgio
    Non c’è dubbio che la pedofilia all’interno delle chiesa sia una questione importantissima
    Ma pubblicare questo suo intervento tra le “ultimissime” e non dire nulla da parte sua sul recente massacro di cristiani innocenti tra cui molti bambini in Pakistan …
    Proprio non la capisco

  7. GIANNI ha detto:

    L’articolo, su un tema scottante e purtroppo tuttora attuale, di cui abbiamo già dibattuto altre volte, è interessante sopratutto per le domande che pone.
    Cerchiamo di approfondire.
    Preliminarmente, vorrei chiarire che il mio commento non si basa su considerazioni de jure condendo, ma de jure condito, cioè non si tratta di concentrarsi tanto su quale dovrebbe essere la miglior normativa per affrontare il fenomeno, quanto di cercare di dare una risposta concreta ai quesiti sollevati, in base alle normi vigenti.
    Le risposte si trovano infatti nel diritto canonico, nel diritto ecclesiastico (spiegherò di seguito la differenza tra diritto canonico ed ecclesiastico) ed in particolare in alcuni documenti giuridici.
    Preliminarmente, chiariamo che mentre il diritto canonico è il diritto interno alla chiesa, il diritto ecclesiastico disciplina invece i rapporti tra stato e chiesa, con accordi che vengono ratificati poi dalle norme interne all’ordinamento canonico da un lato, e dello stato dall’altro lato.
    Sotto questo secondo profilo, va ricordato che i cosiddetti patti lateranensi, come riformati durante il governo Craxi, espressamente prevedono che nessun ecclesiastico può considerarsi destinatario dell’obbligo di dichiarare qualcosa innanzi alla magistratura italiana, per fatti conosciuti in occasione delle proprie funzioni.
    Non poteva essere diversamente, visto che vi sono norme che espressamente impongono una sorta di segreto canonico agli ecclesiastici, del tutto paragonabile al nostro segreto istruttorio.
    E’ quindi chiaro che se le norme italiane imponessero invece di dire la verità e di rispondere ai
    magistrati, ovviamente avremmo un conflitto di norme tra ordinamento italiano e canonico.
    Nel senso che il destinatario della norma sarebbe sempre lo stesso soggetto, che per un verso sarebbe sanzionato e commetterebbe un illecito nel caso parlasse, e per altro verso, invece, proprio facendo l’opposto, cioè non parlando.
    Ovviamente il conflitto è evitato proprio dalle norme di diritto ecclesiastico che, non dimentichiamolo, fa parte del diritto internazionale, in quanto disciplina i rapporti tra due stati, quello italiano ed il vaticano.
    Le norme che impongono il segreto canonico sono quelle del De delictis gravioribus, che definisce peraltro la competenza giurisdizionale della congregazione per la dottrina della fede, e le sanzioni possono arrivare alla scomunica.
    Detto questo, vedo di rispondere agli specifici quesiti.
    Il vescovo come dovrebbe comportarsi?
    Ancora una volta ce lo dicono le norme, secondo quanto detto sopra, cioè esiste un vincolo di segretezza.
    Erroneamente alcuni magistrati italiani, hanno invece interpretato la figura vescovile come quella di un pubblico ufficiale, ed hanno ritenuto che vi fosse obbligo di rispondere su fatti di loro conoscenza.
    Ovviamente non è condivisibile tale impostazione, sia perché il pubblico ufficiale non è una figura dell’ordinamento canonico (e solo l’ordinamento canonico definisce chi sia o no vescovo…), sia perché in generale i patti lateranensi riformati definiscono proprio l’esenzione dalle domande della magistratura italiana, in modo chiaro ed esplicito.
    E del resto chi violasse il segreto canonico sarebbe esposto alle sanzioni di cui sopra.
    Esiste un obbligo di denuncia, quindi, ma non verso l’autorità giurisdizionale italiana, bensì verso quella pontificia, che è la congregazione per la dottrina della fede.
    Ed il segreto al limite può venir meno quando già la notizia sia pubblica.
    In realtà, se si scopre un caso, la denuncia va quindi fatta, ma non pubblicamente, ed è per questo che nell’ordinamento canonico la denuncia non va di pari passo con il rendere pubblica una notizia.
    Del resto, la stessa cosa avviene nell’ordinamento penale italiano, che, anzi, ha ulteriormente esteso la segretezza nella fase delle indagini preliminari, ben oltre quanto previsto dal diritto canonico, ed in generale, non solo per determinate fattispecie.
    Infatti, mentre con la precedente normativa chi fosse stato accusato aveva diritto a ricevere la comunicazione giudiziaria, ora questo non si verifica automaticamente, ma solo se un atto istruttorio richiede la presenza dell’indagato.
    Se, quindi, si procede ad un’indagine e non si compiono atti che comportano la presenza dell’indagato, se si arriva poi ad un’archiviazione, ben può capitare che neppure l’indagato sappia che c’è stato un procedimento a suo carico, pertanto un segreto addirittura superiore a quello canonico.
    Quanto all’essersi confessato da parte di chi colpevole, non è detto che lo si faccia, ed ammesso che lo si faccia, il confessore avrà anche consigliato di denunciare la cosa ai superiori, ma chi garantisce che si faccia quanto indicato dal confessore?
    Pertanto, non collegherei automaticamente confessione e successivo comportamento virtuoso.
    Anzi, penso che spesso capiti il contrario.
    Da parte del confessore, ovviamente, esiste un duplice obbligo di riserbo, quello dianzi esaminato, nonché quello generale derivante dalla confessione.
    Se gli ecclesiastici hanno il loro segreto canonico da rispettare, un preciso segreto istruttorio riguarda invece gli inquirenti italiani, a maggior ragione nei confronti di ambienti, quelli ecclesiastici, che avrebbero potuto implicare anche complicità con l’indagato.
    Se venuti a conoscenza di taluni fatti, anche i parenti della vittima non erano, forse, interessati a denunciare la cosa in ambito canonico, anche a fronte delle possibili conseguenze per chi eventualmente condannato.
    Magari a molti non interessa che chi condannato sia poi anche scomunicato, magari si preferisce agire direttamente con una denuncia alla magistratura italiana, anche perché l’ordinamento italiano prevede sanzioni spesso considerate più pesanti.
    Quanto ai ritardi nella comunicazione di provvedimenti a carico di ecclesiastici implicti in certi casi, ovviamente non esiste un obbligo, ed anzi, se il diretto interessato è accusato di uno dei casi per cui si prevede il segreto, dianzi spiegato, è evidente che si studierà prima se possibile dirlo ed in quali modalità, inmodo quanto meno di celare taluni aspetti.
    Proprio anche per non contravvenire al medesimo segreto.
    Se qualcuno sa, tace, probabilmente perché destinatario di quegli obblighi giuridici, che si diceva.
    Sulla proposta relativa all’esercizio della sessualità, va ricordato che il cattolicesimo, come qualsiasi confessione, è un insieme di principi in materia di fede e di morale, ed ovviamente non si assumeranno provvedimenti contrari a questi.
    A prescindere da cosa ne pensi il cattolicesimo, va comunque ricordato che molti casi di pedofilia sono riconducibili a persone libere canonicamente, e financo sposate, quindi in gran parte non pare che il fenomeno pedofilia riconduca a restrizioni di tipo canonico.
    Fermo restando, ovviamente, che chi compie atti di violenza, pensiamo forse che si astenga da altro, compresi atti di autoerotismo?

  8. elisa ha detto:

    che venrdì santo!!!

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