28 marzo 2021: DOMENICA DELLE PALME
Is 52,13-53,12; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
Una domenica dai due volti
La domenica che introduce la cosiddetta Settimana santa, chiamata anche “autentica” (perché modello di tutte le altre settimane), nei testi liturgici assume due volti apparentemente contradditori: il volto drammatico della passione di Cristo e il volto gioioso di Gesù che entra nella Città santa da vittorioso, osannato dalla folla.
I due volti sembrerebbero esprimere due aspetti distinti. In realtà, l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme anticipa la conclusione finale: dopo la passione e la morte ci sarà la risurrezione.
La domenica, detta delle Palme, sarebbe dunque da rileggere come l’anticipo del trionfo di Cristo sulla morte. Forse ci saremmo aspettati dalla Liturgia un rilievo maggiore di questo aspetto simbolico, senza dare invece priorità all’aspetto drammatico della passione di Cristo. Ci sono due schemi di celebrazioni eucaristiche, con brani diversi, ma la Messa dell’entrata di Gesù in Gerusalemme è celebrata una sola volta, in tarda mattinata. Anche qui ha pensato il popolo a rimettere le cose a posto. Ma in che modo? Prendendo solo un aspetto secondario del rito della Messa: il ramoscello d’ulivo, come emblema di una pace tanto aleatoria da essere il desiderio sia dei pacifisti che dei belligeranti.
E non parliamo poi del ramoscello d’ulivo visto come un talismano contro ogni malanno.
E così siamo riusciti a fare di un Mistero, quello pasquale, che è unitamente passione, morte e risurrezione, un rito solo laico, buono per ogni sentimentalismo umano.
Pensate: tutto è ridotto a un ramoscello, da distribuire nelle case, con tutti i problemi di una emergenza che, proprio perché pone dei limiti, dovrebbe essere anche in questo caso un’occasione provvidenziale per purificare un rito caduto nella magia.
E invece no, si è trovato il modo (io chiamo l’inventiva della imbecillità!) per peggiorare le cose. I sindaci, credenti e non credenti, hanno inventato di mettere un ramoscello di ulivo sulle tombe nei cimiteri, chiusi per pandemia. Mi sono chiesto: che significa mettere un ramoscello di ulivo sulla tomba di un morto? Non sono forse i vivi a dover essere scossi nella loro indifferenza o addirittura nell’odio razziale?
I morti sono morti, oramai nella pace del Signore. E che dovrebbero dirci: che dobbiamo vivere in pace con tutti? Forse che il ramoscello posto sulla tomba è un invito perché il defunto interceda la pace da Dio per questa umanità che, più che di milioni e milioni di ramoscelli di ulivo, avrebbe bisogno prima di una purificazione e poi di una rinascita planetaria? Il problema è che questi sindaci, credenti o non credenti, hanno voluto compiere un gesto solo formalistico o scaramantico.
Ma c’è di più. La Chiesa ambrosiana, l’anno scorso, per supplire alla mancanza del rito dell’ulivo la domenica delle palme, ha inventato la Domenica dell’ulivo, il 4 ottobre, Festa di San Francesco d’Assisi, il santo della pace, tirato a destra e a sinistra, con una strumentalizzazione che sembra infinita come l’imbecillità.
Siamo al solito punto. È la carnalità che predomina in tutto e su tutto. Ma la cosa grave è che, facendo così, si fa perdere al Mistero divino la sua unità, disperdendolo in riti o in gesti secondari che non aiutano certo i credenti a crescere nella loro fede.
Ma torniamo all’essenziale, ovvero al cuore della Pasqua, che è passione, morte e risurrezione di Cristo. Qui i riti devono lasciare il posto alla realtà o, meglio, i riti servono nella misura in cui esprimono efficacemente la realtà. E allora il nostro impegno di credenti sta nel cogliere, al di là dei riti e dei gesti fisici, la loro simbologia, e nella simbologia cogliere l’essenziale. Non è facile, soprattutto se i riti sono dispersivi, catturanti i nostri sensi, e magari ricchi di troppe simbologie. La complessità non aiuta a cogliere l’essenziale. Il Mistero divino è essenzialità assoluta, dunque semplicità. La fede mistica è proprio semplicità, essenzialità, che coglie nel profondo il Mistero divino.
E allora: come vivere nella semplicità, ovvero nella sua essenzialità, il Mistero pasquale? In altre parole: come armonizzare il dolore, la morte e la risurrezione? Noi sappiamo per esperienza personale che esiste il dolore, e constatiamo ogni giorno la realtà della morte, ma che cosa ne sappiamo della risurrezione? Se il dolore e la morte colpiscono soprattutto il corpo, la risurrezione è una realtà che ci sfugge, proprio perché non è carnale, ma spirituale. Ed è rientrando in noi, nel nostro essere, che possiamo renderci conto della realtà della risurrezione. Noi siamo immortali per il nostro spirito, e viviamo la risurrezione in quanto spirito. Fuori del nostro essere interiore, la carne è preda del tempo che la consuma anno dopo anno, così le malattie che non rispettano le scadenze del tempo. Arrivano quando arrivano, senza nemmeno avvertirci prima. Magari improvvisamente. E non parliamo poi della emergenza sanitaria, come quella causata dal Coronavirus, che ci sta mettendo tutti in crisi. In questa crisi globale noi constatiamo ogni giorno due aspetti del Mistero pasquale: la sofferenza e la morte. Ma la risurrezione dov’è? Eppure la risurrezione implica la passione e la morte, ma la passione e la morte non possono non portare alla risurrezione.
Vorrei solo accennare al Mistero del Risorto come Luce. Non è detto esplicitamente nel Vangelo che il Risorto fosse uno splendore. Tuttavia pensiamo alla liturgia del Triduo pasquale, dove la luce assume una grande importanza: pensiamo al Cero pasquale.
Io credo che, come del resto ha espresso molto bene Giovanni nel suo Vangelo, tutto è un contrasto tra luci e tenebre: le tenebre della carnalità e le luci dello Spirito, che è Intelletto, dunque Fonte di Luce.
Torniamo al solito punto: dentro di noi c’è quella scintilla divina che basta a illuminare tutto il nostro mondo interiore. Qualche esegeta pensa alla Risurrezione di Cristo come a un lampo, un lampo che avrebbe impresso nel lenzuolo la sua immagine (la sindone).
Dentro di noi c’è una scintilla divina, e questa imprime nel nostro essere l’immagine divina. Ma forse c’è di più. Noi non siamo solo l’immagine divina, ma Dio stesso. Qui, nel nostro essere Dio, c’è la Risurrezione, ovvero quella nascita e ri-nascita in noi di Dio stesso.
Qualcuno dirà che sono concetti troppo elevati per un comune cristiano, ma voi pensate che Dio vuole fare delle preferenze, distinguendo i credenti tra comuni e eccezionali? Se la massa dei credenti è quella che è, a cui basta un minimo di fede per conquistarsi il paradiso, forse la colpa non è tutta della massa, ma di chi, avendo il dovere di educare la gente elevandola al di sopra di una normalità di massa, ha preferito tenere a bada la massa lasciandola a brucare erba nel deserto.
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