L’amara verità dietro i sorrisi

da La Stampa

L’amara verità dietro i sorrisi

28/04/2018
BILL EMMOTT
È stato molto mediatico, anche per il luogo dov’è avvenuto, ieri l’incontro tra i leader del Nord e del Sud Corea, nella zona smilitarizzata al confine tra i due Paesi, molto militarizzata, abbastanza spettrale e davvero minacciosa. In un posto del genere tutti i discorsi di pace di Kim Jong-un non possono essere che benvenuti.

Se poi abbiano un significato è tutt’altro discorso.

Al di là dei sorrisi e del cameratismo nuovo di zecca, bisogna tener presente alcuni punti. Uno è che solo nel 2017, il Nord Corea ha effettuato 18 test di missili balistici, l’ultimo il 28 novembre, e un test nucleare, il 3 settembre dell’anno scorso. Un altro punto è che l’anno scorso gli agenti nordcoreani hanno assassinato con il gas nervino Kim Jong-nam, fratellastro di Kim Jong-un, in uno spazio pubblico molto affollato, l’aeroporto di Kuala Lumpur, in Malesia. E nel novembre scorso un soldato nordcoreano che aveva cercato di disertare attraversando la zona smilitarizzata è stato ucciso dai commilitoni.

Il regime nordcoreano può anche mostrarsi bravo a sorridere in favore di telecamera e a parlare di pace ma è ben lontano dall’essere gentile o pacifico. Intanto la vera controparte della trattativa per Kim è il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, con cui è previsto per la fine di maggio o per giugno un incontro, che si annuncia ancora più storico. Il presidente Trump ha parlato di scatenare una tempesta di fuoco sul Nord Corea, e da poco ha nominato Consigliere per la sicurezza nazionale un duro come John Bolton.

Non viene data risposta alla questione fondamentale: gli attori principali della penisola coreana cosa sono disposti a offrire in cambio della pace? Quando finì la guerra di Corea tra il Nord, il Sud, la Cina e gli Stati Uniti nel 1953, non fu firmato alcun trattato di pace. Da allora vige solo un difficile cessate il fuoco saltuariamente interrotto da omicidi da ambo le parti.

Tutti proclamano che l’obiettivo è la denuclearizzazione. I presidenti del Nord e del Sud Corea, Kim Jong-un e Moon Jae-in, durante il vertice hanno concordato di mettersi al lavoro per ripulire la penisola dagli ordigni nucleari e di provare a firmare un trattato di pace entro la fine dell’anno. Questo soddisfa il desiderio della Cina di stabilizzare la penisola (e quindi il suo confine orientale), e premia la ferma fiducia del presidente Moon nella diplomazia rispetto a ogni opzione militare.

Ne consegue che questo vertice in Asia è accolto con favore. Ma suscita ancora scetticismo, anche tra le grandi potenze della regione, Cina e Giappone.

Non è credibile che il Nord Corea accetti a buon mercato di rinunciare ai suoi armamenti nucleari. Dopotutto ha passato gli ultimi cinquant’anni a metterli a punto e lo scorso dicembre è riuscito a dimostrare la sua capacità di colpire gli Stati Uniti con una testata atomica. È soggetto a sanzioni economiche internazionali ma non c’è evidenza che questo stia provocando un inedito livello di sofferenza per il regime nordcoreano o per la popolazione.

Le vere richieste di Kim Jong-un emergeranno solo al momento dell’incontro con Donald Trump. Probabilmente includeranno un programma di denuclearizzazione di entrambi i Paesi e un piano per il ritiro delle truppe statunitensi. L’America ha sempre mantenuto una studiata ambiguità sulla presenza o meno di armi nucleari in dotazione alle sue forze di stanza in Sud Corea o Giappone. E la pregressa esperienza di colloqui con i predecessori di Kim negli Anni 90 e 2000 ha insegnato a valutare con molto scetticismo le promesse nordcoreane riguardo a una moratoria sui test o alla sospensione nella produzione di materiali fissili.

La situazione è perfetta perché il presidente Trump chieda un processo di verifica della denuclearizzazione che difficilmente Kim accetterà, e Kim faccia a Trump la richiesta irricevibile del ritiro degli Usa dal Sud Corea.

Questo non significa necessariamente che il summit tra i due leader coreani o quello tra Kim e Trump si rivelino uno spreco di tempo. Potrebbero portare a un accordo quadro per i colloqui futuri e a un allentamento delle tensioni che potrebbe aiutare a stabilizzare la situazione.

Questi processi, però, equivarrebbero al riconoscimento da parte americana che il Nord Corea ha raggiunto lo status di potenza nucleare e quindi a lungo termine l’unica possibile risposta sarà un’azione di deterrenza e contenimento proprio come tra Usa e Urss al tempo della Guerra fredda. Questa eventualità sarebbe gradita alla Cina perché gli Stati Uniti sarebbero costretti ad accettare la realtà e a smettere di minacciare di scatenare una guerra in cui la Cina finirebbe inevitabilmente coinvolta.

Per questo motivo è importante riconoscere che c’è un altro possibile e più pericoloso esito. Se il presidente Trump e i suoi consiglieri arrivano alla conclusione che Kim Jong-un si sta semplicemente mostrando intransigente o, peggio, sta fingendo di volere la pace, gli Stati Uniti potrebbero decidere un attacco preventivo ai depositi nucleari nordcoreani per spingere Kim a un vero negoziato .

Se andasse così potrebbero esserci conseguenze imprevedibili. Quindi il resto del mondo e tutti i vicini delle due Coree devono sperare e pregare che ciò non accada.

Traduzione di Carla Reschia 

 

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Forse sarò un po’ ingenuo, ma per una volta, almeno una, perché non provare a fidarsi? Certo i protagonisti di questo storico abbraccio non sono proprio degli stinchi di santo (come gran parte dei politici e dei governanti, del resto) ma l’essere umano è una creatura estremamente complessa e sorprendente tanto da riuscire a smentire qualsiasi previsione, anche la più pessimistica. Trump può pensare quello che gli pare ed essere più che mai convinto, visto il suo ruolo di poter comandare a bacchetta le relazioni politiche internazionali ma, purtroppo resta sempre… Trump! E con ciò ho detto tutto…

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