Generazione maranza a Milano, tra le bande di ragazzini che «scavallano»: la vendetta contro i «ricchi sfigati»

dal Corriere della Sera
20 aprile 2025

Generazione maranza a Milano, 

tra le bande di ragazzini che «scavallano»: 

la vendetta contro i «ricchi sfigati»

di Andrea Galli
Terza puntata. Prosegue il viaggio del Corriere fra gli adolescenti di Milano e provincia. Il rito delinquenziale dello scavallo e il grande tema della forte ondata migratoria dall’Egitto
La strada è a senso unico, stretta, di là, lontano, viale Monza, di qui, ormai prossima, via Padova bassa, quella cioè non ancora invasa dalla speculazione immobiliare; alla stessa finestra una bandiera dell’Inter e del Milan, sui piccoli balconi piccoli stendini e sugli stendini gatti che dormono, sotto una finestra la cassa esterna di un condizionatore posizionata un po’ come viene, rischia di cadere di sotto. All’ingresso, attraverso il cancelletto arrugginito, passano un’anziana che rientra a mezzogiorno e mezzo coi giornali sottobraccio, due riviste di gossip più le parole enigmistiche più anche il volantino del supermercato col pollo in offerta per Pasqua, la signora venne dal Veneto, era sposata con un ferroviere morto di tumore ai polmoni, in Veneto si riposa giugno, luglio e agosto così almeno, dice, respira; due muratori, in jeans, maglietta, borsello e scarpe antinfortunistica, cileni, sono stati in pausa pranzo dal kebabbaro e hanno mangiato una doppia dose profittando delle offerte al risparmio, dall’indirizzo, fanno una recensione gigantesca; una ragazzina torna da scuola, ha le stringhe slacciate su entrambe le scarpe e cerotti per i brufoli a forma di stellina sulla fronte, canta sentendo la musica nelle cuffie, di quelle che avvolgono le orecchie e insieme mezza faccia.
Tutti quanti, pur abitando nel condominio, non hanno proprio idea.
Cinquanta famiglie, forse dieci in più contando chi ospita parenti o subaffitta. Magari anche settanta, via. C’è la custode, ma part-time, ogni settimana turna su tre stabili così i residenti tagliano le spese condominiali che già pagano in ritardo anche di un anno, un anno e mezzo; nel gabbiotto della portinaia è rimasto un giornalino parrocchiano sul bancone che sembra il banco di una scuola o una scrivania. Comunque sia, della famiglia del ragazzino che ci interessa, nessuna notizia, nessuno sa nulla, nessuno ipotizza, in onestà a nessuno sembra interessare.

Bomber e tuta

Siamo arrivati col seguente identikit, non specifico, anzi un classico ritratto da maranza: «… Capelli di colore nero rasati ai lati, bomber di colore nero, pantaloni della tuta bianchi, scarpe da ginnastica bianche, occhiali da sole sul capo e auricolari bluetooth». Bisogna camminare piano per piano, bussare, prima o poi salterà fuori, l’indirizzo pare giusto.
Il ragazzino sta in carcere al Beccaria perché «scavallava» e l’hanno beccato.
Come ogni volta, quindi inclusa questa terza puntata del viaggio del Corriere fra gli adolescenti, conviene premettere il significato, per la Treccani, di maranza: «Giovane che fa parte di comitive o gruppi di strada chiassosi, caratterizzati da atteggiamenti sguaiati e con la tendenza ad attaccar briga, riconoscibili dal modo di vestire appariscente e dal linguaggio volgare».
D’accordo; e se è vero, come è vero, che la maggioranza fa coincidere i maranza con i nordafricani in generale, se domandate a un adolescente, senza distinzione di nazionalità, vi dirà che i maranza sono quelli fastidiosi, che spesso degenerano nella violenza; non vi parleranno di certo di patrie o continenti specifici.

I figli di papà

Ciò chiarito, la psicoterapeuta Virginia Suigo è referente per l’équipe degli psicologi della Fondazione Minotauro che collaborano con i servizi della giustizia minorile della Lombardia; la Fondazione ha appena mandato in libreria «Non solo baby gang» per l’editore FrancoAngeli, che abbiamo potuto leggere in anteprima.
Ebbene scrive la dottoressa Suigo che «scavallo» è un termine che in italiano indica «correre senza redini», nell’italiano arcaico rimanda a «disarcionare», «togliere da cavallo», e nel gergo giovanile è diventato sinonimo di rubare o rapinare. «Le vittime sono coetanei, che vengono derubati, anche se spesso il ricavato è di poco conto: da un punto di vista meramente strumentale possiamo ben immaginare che sarebbe più proficuo rapinare un negozio o scippare un adulto. La dinamica centrale, a livello psicologico, racconta di un desiderio di rivalsa, di umiliazione, di prevaricazione, di dominare lo “sfigato”, il “figlio di papà”, disprezzato apertamente e invidiato inconsciamente, perché “sta a cavallo”».

Tra i continenti

Sui citofoni non c’era nessun nome o cognome scritto in arabo, nemmeno sulle targhette delle porte, in cinese sì, in romeno pure, in spagnolo, in una delle lingue slave, però alla lunga ci arriviamo.
O meglio, la mamma del ragazzino, eccola finalmente, sillaba due parole, dice che non è cattivo, non ci fa entrare nell’appartamento, che dovrebbe essere un bilocale, non dà il numero dell’avvocato perché ancora non l’ha pagato e ha paura che poi quello se ne ricordi se lo chiamiamo.
Insieme alle bengalesi, come spiegano gli studiosi di flussi migratori, le donne egiziane sono le uniche che partono per congiungersi al marito senza che vi sia il tema del lavoro di mezzo. Non raggiungono un’altra nazione in quanto le attende un mestiere, qualunque esso sia, e in quella nazione, per un’infinità di elementi dati da religione, maschilismo imperante e concezione della famiglia, non hanno come meta – oppure non la hanno i loro compagni – un’occupazione.

Metrò

In questa parte di Milano, per andare a Milano sul serio come ripetono i ragazzini, ci si dà appuntamento a piazzale Loreto anzi sotto, nel metrò, la Loreto cantata anche da Mahmood, figlio d’un papà egiziano, ma che nelle raccolte dei brani musicali sulla piattaforma digitale Spotify è meno presente, molto meno presente, rispetto ai trapper che esaltano droga, armi, sessismo, gente emergente dalla provincia padana.
Ci racconta un vecchio maresciallo, che ha vaghi ricordi tanti ne vede e tanti ne ferma, che il nostro ragazzino non è stato in batterie specifiche, non si porta dietro disturbi della condotta da bambino che potessero annunciare una progressione delinquenziale, che il quadro famigliare tutto sommato regge al netto di certe sparizioni del padre e d’un bilancio economico basso, di obbligato risparmio, ormai impossibile in questa città, via Padova alta, bassa o di centro che sia. E quindi? «Quindi ha sempre scelto di starsene con altri egiziani, nati qui oppure arrivati dopo, magari nell’età dell’inizio delle elementari».
Allora dobbiamo risalire agli anni Novanta.
E allo stesso tempo a una località a un’ora di macchina da Milano, nelle terre di uno famoso. Anche troppo.
(3. continua)

 

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