L’incredibile parabola del ‘Celeste’ Formigoni tra arroganza, lussi e regali milionari

da it.businessinder.com

L’incredibile parabola del ‘Celeste’ Formigoni

tra arroganza, lussi e regali milionari

Andrea Sparaciari
24/6/2018

Dall’iperuranio alle stalle. È la traiettoria di Roberto Formigoni, l’ex signore e padrone della Regione Lombardia, per il quale sembrano ormai squillare le trombe dell’apocalisse. La mazzata, l’ennesima, è arrivata giovedì 21 giugno, quando la procura della Corte di Conti della Lombardia ha disposto nei suoi confronti, per il caso della clinica Maugeri, il sequestro per 5 milioni di euro di “beni immobili, crediti anche a titolo di vitalizio, conti correnti”. Un sequestro a parziale ristoro del supposto danno erariale causato al Pirellone, quantificato in circa 60 milioni complessivi.

Formigoni, per i magistrati contabili, “si è adoperato per deviare la funzione pubblica a fini privati, avvalendosi dei ‘mediatori/agevolatori’ Pierangelo Daccò e Antonio Simone, con interventi e pressioni sugli uffici regionali, mirati alla precisa finalità di drenare illecitamente una ingentissima quantità di risorse pubbliche, assegnate a copertura dei fondi destinati alle cosiddette funzioni non tariffabili”.

Un chiaro accoglimento della tesi sostenuta dai pm Laura Pedio e Antonio Pastore che in primo grado hanno ottenuto la condanna del Celeste a sei anni per corruzione. Secondo i magistrati, il 5 febbraio 2010 il Pirellone – per volontà di Formigoni – vara la norma “sulle maggiorazioni tariffarie”, che permette a ospedali e a istituti di ricerca di ottenere rimborsi più alti dalla Regione. In questo modo, la clinica Maugeri di Pavia vede esplodere i propri finanziamenti pubblici del 920%. A rendere possibile tutto ciò, dice la sentenza di primo grado, le tangenti ottenute da Formigoni per opera di due intermediari, il faccendiere Daccò e l’ex assessore regionale alla Salute, Simone.
Spese nel mirino
Utilità conteggiate minuziosamente dai magistrati:
• 4.064.578 euro: spese per imbarcazioni;
• 50.461 euro: versamenti in contanti sul conto Banca Popolare di Sondrio intestato a Mauro Villa (un nome che ritroveremo spesso nella storia del Celeste);
• 600.000 euro: finanziamento per le elezioni regionali del 2010;
• 16.144: biglietti aerei avuti da Formigoni;
• 359.754 euro: vacanze di capodanno;
• 15.073 euro: operazioni extraconto – che non lasciano traccia contabile – fatte da Formigoni sul suo conto alla Banca Popolare di Sondrio;
• 18.950 euro: operazioni extraconto effettuate da Mauro Villa sul conto sempre della Popolare di Sondrio.
Totale 5.124.960 euro. Ai quali va poi aggiunto il milione e mezzo di euro di sconto praticato da Daccò nel 2011 nella vendita della villa ad Arzachena al Celeste e al suo storico sodale Andrea Perego (un altro nome ricorrente nella parabola formigoniana).
Il sequestro
A far scattare il blocco da 5 milioni, anche l’evidenza che Formigoni ancora non ha versato i tre milioni che avrebbe dovuto dare a titolo di provvisionale dopo la condanna in primo grado.
Una scelta, quella di non versare quanto stabilito dai magistrati, non nuova per Formigoni: nel settembre del 2017, per esempio, la Cassazione stabilisce in via definitiva che aveva diffamato i Radicali, per averli insultati pubblicamente dopo la loro denuncia per le “firme false” raccolte dallo stesso Formigoni per una tornata elettorale. La Cassazione sancisce che debba dare 20 mila euro ciascuno a Marco Cappato e Luca Lipparini, più 35 mila alla lista Marco Pannella. Ma Formigoni non ci pensa per niente, tanto che i radicali chiedono il pignoramento dello stipendio.
Peccato che lo stipendio di un parlamentare – allora Formigoni era ancora senatore Ncd – sia impignorabile. Gli altri beni, invece, erano già stati aggrediti dalla magistratura. Quindi niente soldi. E non che Formigoni fosse nullatenente, visto che secondo il Senato, il Celeste allora godeva di una discreta busta paga mensile: 10.385,31 euro di indennità; 3.500 euro di diaria ; 1.650 euro  di rimborso forfettario; da 2.090 a 4.180 euro a titolo di rimborso delle spese per l’esercizio del mandato; 2.222,86 euro aggiuntivi perché Formigoni era presidente della commissione Agricoltura. Totale: circa 20.000 euro mensili. Il medesimo iter, con pignoramento incluso, era avvenuto anche per un’altra condanna per diffamazione ricevuta sempre dal Celeste, sempre per alcune dichiarazioni contro i Radicali. Lì venne punito con l’obbligo di pagare 45 mila euro.
L’intervento della magistratura contabile
Giovedì però i magistrati della Corte dei Conti hanno messo tutto nel calderone: le quote di proprietà su 15 immobili tra Lecco e Sanremo, i conti correnti in tre istituti di credito, i vari vitalizi: l’assegno da ex deputato ed ex senatore, il “trattamento pensionistico” per l’incarico di parlamentare europeo; il vitalizio e l’indennità di fine mandato da ex Governatore. Una lista che ricorda la spoliazione subita dal contadino nella canzone di Jannacci “Ho visto un re”… Ma, a differenza “del vilàn”, il Celeste non ha riso, affatto.
I cinque milioni sono “una fake news”, ha tuonato, “la Corte dei conti non mi ha sequestrato nulla perché nulla posseggo. E tutto quanto possedevo (poco in verità) mi è stato già sequestrato da anni, per ordine della magistratura“. E ancora: “La Corte dei conti ha stabilito il sequestro dei miei vitalizi e del trattamento pensionistico. Se capisco bene, vuol dire che da ora in poi non percepirò più quanto mensilmente ricevo come trattamento pensionistico (ai vitalizi ho rinunciato da tempo). E dunque, poiché vivo di sola pensione (tutt’altro che d’oro), se anche questa mi venisse tolta… vivrò d’aria. Ne guadagnerà certamente la mia linea”.
Una delle tante frasi a effetto che l’aneddotica ricorda del Celeste, come quando agli albori dell’inchiesta Maugeri, in una affollata conferenza stampa, profetizzò: “Volete sapere come andrà a finire tutto ciò, ammesso che riescano a rinviarmi a giudizio? Vincerò 12 a zero. Sono già andato a processo 11 volte e ho sempre vinto. Se mi sfidano ancora, segnerò il dodicesimo gol”.
Non è andata proprio così, come testimoniano i sei anni di condanna ricevuti in primo grado e la richiesta di innalzare la pena a sette nel processo d’appello fissato per il 26 giugno. Processo nel quale Formigoni ha prima stigmatizzato la richiesta (esaudita) di Daccò e Simone di patteggiare, ammettendo la verità delle accuse; poi ha professato la sua innocenza (“Io vado avanti con il processo. Sono tranquillo riguardo alla mia assoluta innocenza”). Infine, tramite i suoi avvocati, ha tentato di contrattare come all’asta delle vacche, il patteggiamento, proponendo per sé stesso una pena a due anni. E quando la Procura ha rifiutato sdegnata tale proposta, i suoi legali hanno rilanciato con tre anni. Proposta altrettanto respinta al mittente.
Altra frase a effetto fu quella pubblicata sulla rivista ciellina “Tempi” e contenuta nella lettera di risposta alla moglie di Simone, la quale dal “Corriere della Sera” lo accusò di aver vissuto – lui ciellino doc – nel lusso e nello sfarzo, grazie alle carte di credito di Daccò. “Le spese delle carte di credito di Daccò sono elevate perché si riferiscono a conti collettivi – scrisse -. E se ci sono biglietti aerei e una settimana di vacanza alle Antille con cifre importanti, scusate tanto, non sono Brad Pitt, ma me le posso pagare, me le sono pagate col mio stipendio. Le ricevute dei rimborsi delle spese anticipate da Daccò? Non le ho tenute, le ho buttate; scusate, è un reato?”.
Quelle ricevute infatti, nonostante le promesse non verranno mai fuori. Anzi, scriverà la polizia giudiziaria nell’informativa del 18 settembre 2012: “I conti di Formigoni non presentano una normale operatività (…) L’esame dei conti comunica in maniera eloquente come, a fronte dell’elevato tenore di vita di Formigoni sia assolutamente assente qualsivoglia forma di adeguata uscita e/o addebito dei conti esaminati”. Conti “muti anche dal punto di vista della quotidiana operatività, nel senso che non sono conciliabili neppure con le necessità quotidiane di una persona comune”. Insomma, una vita a sbafo.
Lette oggi, quelle parole, descrivono un mondo ormai finito. Appaiono lontani anni luce i tempi nei quali il Celeste aveva sempre un tavolo prenotato nei migliori ristoranti di Milano e casse di champagne a portata di mano. Come quelle che la notte del 3 settembre 2012 gli fa recapitare Gianluca Guarischi all’aeroporto privato di Milano dal suo autista. È il giorno in cui Formigoni è costretto a lasciare la sua crociera in Croazia per presenziare a Milano ai funerali dell’arcivescovo Carlo Maria Martini. Prende un jet privato, pagato non si sa da chi, atterra in città, va ai funerali e si reimbarca sull’aereo per tornate a veleggiare lo stesso giorno. Non prima di aver imposto a Guarischi di far tenere aperto l’aeroporto di Zara.
Ma chi è questo munifico Gaurischi? È un ex consigliere regionale forzista che prima di essere arrestato dalla Dia e condannato più volte per appalti manipolati, aveva preso il posto di Daccò come “facilitatore” di affari sanitari. È quello che da un certo punto in poi, inizia a organizzare – e per i pm, a pagare – le costose trasferte ricreative di Formigoni. Guarischi rappresentava, secondo l’accusa, la famiglia Lo Presti, proprietari della Hermex Italia, società che produceva apparecchiature medicali. E proprio per garantire un “trattamento preferenziale” alla Hermex che l’ex enfant prodige della politica lombarda finisce nei guai. I Lo Presti, padre e figlio, patteggiando hanno ammesso di aver dato rilevanti quantità di contanti al giovane affarista. Il quale poi li avrebbe consegnati a qualcun altro. A chi, è materia di giudizio in questi mesi. Di sicuro c’è che Guarischi al Pirellone è entrato ben 25 volte di seguito (quando non era consigliere), spesso per vedere il Celeste in modo privato.
Altrettanto sicuro è che Guarischi per quella vicenda si è preso 5 anni di carcere; che la procura contesta a Formigoni di aver ottenuto 447 mila euro di utilità per “spingere” le forniture della Helmex; che la società dei Lo Presti ha venduto un “acceleratore lineare Vero” all’ospedale di Cremona, un’apparecchiatura per la lotta ai tumori mai utilizzata; che l’ex dg dell’ospedale di Cremona avrebbe ricevuto dai Lo Presti un orologio Bulgari da 1.770 euro e un braccialetto di diamanti da 4.000 euro.
Risalendo indietro nel tempo, ci sarebbe poi da ricordare la vicenda “Oil for Food”, un’inchiesta del pm Alfredo Robledo che sfiorò Formigoni per una brutta storia di tangenti in cambio del petrolio di Saddam Hussein. Una spy story internazionale degna di un romanzo: con conti segreti in Svizzera (il Paiolo, riconducibile a Perego); una fondazione basata a Vaduz (la Memalfa, sempre riconducibile a Perego); una società sui conti della quale transitano 800 mila euro (la Candonly, sempre di Perego); una società del gruppo Finmeccanica, la Alenia Marconi Systems, che versa quegli 800 mila euro; e un’altra, la Cogep, che stacca un assegno da 700 mila sempre per la Candonly.
Tutti soldi finiti nel conto Paiolo e utilizzati per comprare la Obelix, uno yacht a disposizione di Formigoni. Per quell’indagine, finita con la prescrizione, furono condannanti Marco Giulio Mazarino De Petro, il braccio destro di Formigoni, ciellino di ferro, Perego e Villa. Gli ultimi due mentirono ai giudici, ma Formigoni se li è tenuti sempre accanto, fino a oggi. De Petro, invece, sparirà dai radar, accontentandosi di una serie di consulenze da Fnm che in 4 anni frutteranno oltre 450 mila euro.

 

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