28 luglio 2024: X^ DOPO PENTECOSTE
1Re 7,51-8,14; 2Cor 6,14-7,1; Mt 21,12-16
Ciò che accomuna i tre brani della Messa è la parola “tempio”.
Nel primo brano si parla della solenne cerimonia, avvenuta al termine dei lavori del Tempio di Salomone, per collocarvi definitivamente l’arca dell’alleanza.
Un po’ di storia. In realtà, il primo tempio per il popolo ebraico, uscito dall’Egitto in cammino verso la Terra promessa che di mano in mano spostava l’accampamento di tende, era anch’esso una dimora mobile, appunta una Tenda, riservata alla presenza misteriosa di Dio. Il primo Tempio in muratura sarà costruito dal re Salomone nel X secolo a.C, raso poi al suolo nel 586 a.C. dal re babilonese Nabucodonosor. Il secondo Tempio verrà ricostruito ex novo, dopo l’esilio babilonese, da Zorobabele, e inaugurato nel 525 a.C. Quello che noi diciamo il Tempio di Erode, in realtà non era un terzo Tempio, ma sempre il Tempio di Zorobabele, fatto ampliare da Erode il Grande: i lavori inizieranno verso il 19 a.C., e termineranno nel 64 d.C. Pensate: sei anni dopo, nel 70 d.C., sarà distrutto definitivamente dall’esercito romano agli ordini dell’imperatore Tito.
Non dimentichiamo ciò che Gesù ha detto alla donna di Samaria: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte (si riferiva al monte Garizim dove c’era il tempio dei samaritani, che verrà anch’esso distrutto) né a Gerusalemme adorerete il Padre… Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità».
Una riflessione. Già le parole di Salomone dovrebbero far pensare tutti quanti, credenti e non credenti: «Il Signore ha deciso di abitare nella nube oscura…».
Nel Medioevo migliore (smettiamola di giudicarlo in senso negativo, tanto più che è durato mille anni), a parte l’autentico pensiero di Cristo, Logos eterno fattosi carne, c’è stato un esaltante risveglio dell’antico pensiero greco in quella riscoperta del mondo interiore, ad opera soprattutto di Meister Echkart, e di altri che hanno evidenziato anche in modo paradossale il Mistero di Dio come nube tenebrosa/luce splendente. Si tratta di un ossimoro, figura retorica che consiste nell’accostare due parole che si contraddicono, contrarie tra di loro o che comunque prese nel loro insieme esprimono un contrasto: esempi sono tanti, come dire: silenzio assordante o silenzio eloquente, brivido caldo, attimo infinito, dolce dolore, assenza ingombrante, morto vivente, false verità, dolcezza amara.
Dunque, tra Dio Luce e il Mistero oscuro c’è un rapporto profondo. Dio si fa luce nell’oscurità. Più si cerca di s-velarlo più lo si rende un manufatto. Sì, occorre scendere nel profondo del Pozzo, là dove sembra che la luce del sole non arrivi, per avere l’unione mistica con Dio.
Passiamo al secondo brano. San Paolo parla di giogo: «Non lasciatevi legare al giogo estraneo dei non credenti». Il giogo è una trave di legno che serve a legare insieme due animali o due persone per il tiro del carro o dell’aratro. Esprime una sottomissione a precetti che mettono l’altro in soggezione di schiavitù. È anche segno di sottomissione a potenze straniere, o a leggi troppo pesanti da sopportare. Ne parla anche san Pietro ricordando che il giogo ebraico era insopportabile. Ma il giogo può richiamare anche il dominio di Dio giusto e gradevole. Gesù ha garantito che “il mio giogo è gradevole e il mio carico è leggero” (Mt 11,30). E con il suo lavoro Gesù deve averne fatti tanti di gioghi, e conosceva i gioghi agevoli e quelli che, difettosi, ferivano gli animali. Spezzare il giogo significa liberarsi dalla soggezione. Spesso si dice, però, che Israele spezza il giogo della legge di Dio per accettarne uno più pesante che viene dagli idoli e che lo rende sempre più schiavo.
Passiamo al terzo brano. Mi limito a commentare il gesto di Gesù che rovescia i tavoli dei cambiamonete. Ho trovato un commento interessante per gli spunti che potrebbe offrire.
«Mi piace pensare che, con questo rovesciare i tavoli e le sedie, Gesù ci inviti a rovesciare il nostro modo di pensare a Dio, ci chiede di rovesciare il nostro modo di rapportarci a Dio… Più che legittimare le nostre arrabbiature, tale atto di Gesù può essere letto come un invito a rovesciare l’immagine di un volto di Dio che si allontana da quello raccontato dal Maestro.
La presenza di questi cambiamonete nella casa di Dio può essere riletta come il segno di un rapporto con Dio di tipo commerciale (“io do una cosa a te e tu dai una cosa a me”): ti do del tempo per la preghiera, per gli altri, io faccio delle cose per te, tu devi fare qualcosa per me. I cambiamonete simboleggiano un rapporto con Dio di tipo commerciale, basato sul dare e avere. Gesù, nel rovesciare i tavoli e le sedie, sembra invitarci a ribaltare questa modalità di vivere il nostro rapporto con Dio. Magari, noi adesso stiamo pensando che noi non siamo dei cambiamonete, non viviamo con Dio un rapporto di tipo commerciale. Vorrei tentare di andare a trovare alcune parole tipiche del mondo commerciale, che possono entrare nel nostro rapporto con Dio, per rovesciarle e trovarne altre più aderenti al Vangelo.
Una prima parola mi sembra possa essere la parola “sconti”, “ribassi”, “saldi”. Quante volte anche noi, nel nostro rapporto con Dio, ci facciamo degli sconti! «Signore, ti ho già dato tanto… basta così!», e scontiamo tempi di preghiera, gesti di misericordia e generosità solo per il fatto che “abbiamo già fatto tanto per il Signore”. Quindi, nel nostro rapportarci con Dio, non siamo poi così lontani da una logica commerciale. La parola “sconti”, tipica del mondo commerciale andrebbe rovesciata con quella parola evangelica che troviamo in Gv 13, dove Gesù nell’amarci non si fa sconti, ma va fino alla fine. Gesù non ha dato tanto all’uomo: ha dato tutto. La parola “sconti” va rovesciata e trasformata con la parola “li amò sino alla fine”. Un’altra parola tipica del commercio è la parola “convenienza”. Un affare conviene o non conviene. «Non conviene dire quelle cose, anche se sono evangeliche! Poi rischio di perdere la faccia, rischio di perdere alcune comodità!». Quando pensiamo in questo modo, il criterio della convenienza è la ricerca della comodità, la ricerca di un benessere personale. La parola “convenienza”, tipica del mondo commerciale, andrebbe rovesciata con quella parola evangelica che, pur appartenendo al mondo del commercio, riteniamo comunemente sia meglio evitarla. È la parola pronunciata da Giuda a Betania, nei confronti della donna che rompe il vasetto di nardo: spreco. Quello che, agli occhi di Giuda, è considerato uno spreco, per Gesù è un’opera buona e bella, che ha il sapore dell’eternità.
Vi sono delle scelte, che profumano di Vangelo, che, agli occhi del mondo, sono uno spreco. La preghiera stessa, agli occhi del mondo, rischia di essere vista come uno spreco di tempo; non a caso, Gesù, mentre rovescia tavoli e sedie cita la scrittura: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni, voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Così alcune scelte evangeliche agli occhi del mondo appaiono uno spreco ma agli occhi di Gesù sono opere buone. La parola convenienza va rovesciata e trasformata con la parola “spreco.” Di fronte a questo Gesù che rovescia tavoli e sedie, lasciamo che rovesci anche il nostro modo di rapportarci con Dio, fatto di sconti e convenienza, in un rapporto che ama fino alla fine e sappia “sprecarsi” per amore di Gesù».
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