
Trottola impazzita, quando ti fermerai?
Anche fisicamente, io non ce la farei, e tanto meno, per una mia scelta pastorale, vorrei essere una trottola impazzita.
Forse capisco. Ogni vescovo di Milano dà una propria impronta, anche tenendo conto del proprio carattere o del suo senso diciamo pastorale o sensibilità spirituale. Ma non solo per una questione fisica ogni buon pastore fa delle scelte ben ponderate per una presenza sì capillare, ma con discrezione. Quando c’è una forte motivazione ogni peso è leggero. Pensate alle fatiche che imponeva ogni visita pastorale di tutte le parrocchie di una diocesi la più grande del mondo, ai tempi in cui non c’erano mezzi di trasporto come quelli di oggi, e le canoniche erano disperse nei posti più impervi.
Quando il cardinale Dionigi Tettamanti (me l’ha confidato lui stesso quando era residente nella Villa S. Cuore di Triuggio), subito dopo la sua nomina ad Arcivescovo di Milano ha chiesto al cardinale C.M. Martini il suo parere sulla opportunità o meno di visitare tutte le parrocchie della Diocesi, ricevette questa risposta: “Te lo sconsiglio, comporterebbe troppo tempo, e poi sono passati i tempi in cui…». Tettamanzi l’ho ascoltò, e scelse di visitare le parrocchie quando capitava opportune occasioni, anche con qualche inconveniente: di andare più volte in una stessa parrocchia, trascurando qualche altra. Così fece anche Angelo Scola.
Arriva Delpini, e non ascolta nessuno. Non solo ha ripreso la Visita pastorale di una volta (diciamo così!), ma è sempre in giro nelle parrocchie, quando lo chiamano.
Un dono ce l’ha, quello della ubiquità o onnipresenza, come Padre Pio. Ma a che pro?
Serve o non serve ai fini pastorali? Chiedetelo a lui, e vi risponderà di sì. Ma se lo chiedete allo Spirito santo, forse vi risponderebbe diversamente.
E voi pensate che Delpini ascolti lo Spirito santo? Neanche per sogno. Lui segue i propri istinti, che sono di una natura talmente enigmatica da non essere ancora stati approfonditi dalla psicologia o psichiatria.
Meglio così, lui si sente più libero e non condizionato da qualche rompiballe che ogni giorno gli dice o suggerisce di fare scelte più oculate.
Ma c’è sempre quel voler a tutti i costi dare una propria impronta alla diocesi: immaginate Delpini chiuso in casa, già nullo a fare il nullo. Almeno la gente dice: “Che bravo, è sempre a contatto con la gente!”. Ma come può essere a contatto con la gente quando ogni visita è come “un mordi e fuggi”? Almeno mordesse in qualcosa! No, è solo un noioso ripetitivo “tocca e fuggi”. E che cosa tocca? Forse nemmeno lo Spirito lo sa.
E va anche in missione, e ci va per trapiantare laggiù la chiesa milanese, tanto… qui da noi tutto funziona a meraviglia, e dare qualche prete milanese agli africani o ai sudamericani è una maniera per dare una impronta al suo essere pastorale di una diocesi che non ha più nulla da perdere, nemmeno spedendo tutti i preti milanesi, oramai disoccupati, là nelle periferie più lontane, come direbbe il Papa. Certo che spedire laggiù preti complessati o falliti, non è il massimo: poveri africani e sudamericani!
Forse il vero problema è lui il vescovo Mario, populisticamente parlando, che non ha ancora trovato il proprio equilibrio interiore, o, diciamo pure, quell’equilibrio pastorale che è richiesto dal fatto di essere pastore di una chiesa diocesana con cui non si può giocare tenendo il piede in due scarpe, tanto più che i piedi camminano seguendo le scarpe che si muovono con il cervello spento.
Certo che non capire che la diocesi possa avere bisogno di una presenza costante, ma secondo la discrezionalità dello Spirito, è la cosa più allucinante tanto più che i tempi che corrono esigono scelte coraggiose, ma sul posto di lavoro, e il posto di lavoro per un vescovo è anche quella Cattedra del Duomo da dove Carlo Maria Martini annunciava spiegando la Parola di Dio davanti a migliaia e migliaia di giovani che correvano per ascoltarlo.
Deprimente vedere un Duomo vuoto o senza calore, senza riti decenti, dove la parola del vescovo è senza mordente, vuota, che dice nulla, e ancor peggio del nulla.
Capisco: quando non si hanno più buone sensazioni di ritorno, o si evade correndo di qua e di là come una trottola impazzita, o si fugge in Africa o in Sudamerica: là almeno c’è sempre qualche bambino che agita le mani, come al tempo di Mussolini, gridando dietro comando: Viva vescovo Mario!
E qui, in Diocesi, ci sono preti distrutti, arrabbiati, irritati, o adagiati passivamente, perché i bambini non ci sono più, i giovani sono sulle strade a combinare guai, e gli adulti, se hanno ancora sete di una Parola di Dio che tocca il cuore, sono alla ricerca di qualche chiesa dove non ci sia un parroco noioso e senza fede, o il missionario che faccia il giocoliere.
Ne sono convinto: la gente si è allontanata per colpa di una chiesa in crisi di identità, e potremo riportare la gente in chiesa, solo quando ci decideremo a fare scelte radicali credendo nella pastorale locale, e ridando nobiltà ai sacramenti, puntando su una formazione speciale per i giovani.
Anche qui, i preti novelli sono preoccupati magari di pensare ai giovani sulle strade, ma che cosa fanno per ridar loro quella spiritualità che è una esigenza di ogni essere umano?
Urge una formazione che chiamerei anche qui radicalmente evangelica, per non dire mistica.
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