Caro don Giorgio

Caro don Giorgio

Mi ricordo di te, anche se non nei particolari, quando eri in quarta teologia al seminario di Venegono. Io facevo la prima. Sono un prete sposato, ma la mia fede in Gesù e la ricerca della verità non sono mai venute meno.

So che in questi momenti sei preso dalle vicende della tua rimozione dalla parrocchia. Ti chiedo tuttavia di dedicarmi un po’ di tempo.  In rete leggo commenti pro e contro questa decisione dei superiori. Dico anch’io la mia.

Chi afferma che è naturale che un sacerdote, giunto ad una certa età, debba lasciare il pieno esercizio del ministero ad altri, è un asino intelligente. Intelligente perché fa riferimento ad una prassi comune che dovrebbe riguardare anche vescovi e papi; ma è un asino perché non sa riconoscere i carismi dello Spirito che prescindono dal tempo: non è vero che non bisogna attaccarsi alla persona del proprio sacerdote perché si deve seguire Cristo e non il prete. Se il sacerdote è segno profetico della verità e vero maestro di vita, non solo va seguito ma va amato sempre e possibilmente da vicino. Le nostre parrocchie non sono dei pollai in cui il prete di turno butta un becchime neutro per nutrire le anime. A volte le anime vengono confuse più che alimentate, cioè orientate verso cose insignificanti ai fini della crescita della fede. Il pastore si ama personalmente e si vuole ascoltare la sua voce; a volte chi lo sostituisce può essere un mercenario. Lo dico anche come esperienza personale di chi ha vissuto molti anni al di qua e molti al di là dell’altare. Non si tratta di culto della persona, ma del riconoscimento dell’opera di Dio.

Ti si rimprovera un linguaggio a volte troppo duro e poco caritatevole. Ma un buon padre sa quando è opportuno dare un ceffone a suo figlio.  La carità ha due sorelle minori: la speranza e lo sdegno. Oggi è tempo di sdegno. Troppi preti tacciono, vivacchiano, si rivolgono a chi li accontenta o dormono. Tu non lo fai e fai bene.      

Poiché in parte mi sento responsabile della diminuzione delle vocazioni sacerdotali, vorrei toccare questo argomento con delle semplici osservazioni di cui ti chiedo un parere.

CRISI DI VOCAZIONI O CRISI DI INTELLIGENZA?
Per intelligenza qui intendo la capacità di interpretare correttamente la realtà.  I candidati al sacerdozio fino a qualche decennio fa erano molti.  Dai superiori  del seminario probabilmente giudicati anche troppi, se è vero, come è vero, che gli studenti venivano allontanati anche per futili motivi tipo l’aver trasgredito a delle assurde regole che non avevano nulla a che vedere con spiritualità o fratellanza. Ora nella nostra diocesi i nuovi sacerdoti si sono ridotti ad un paio di decine all’anno. Si individua come causa lo spirito mondano ed edonistico imperante per cui i giovani sarebbero attratti solo dai comodi e dal piacere. In parte può essere vero. Ma va fatta una analisi onesta e più corretta.

Le molte parrocchie rimaste senza sacerdote hanno indotto a formare unità pastorali con più incarichi affidati ad un solo sacerdote. Si tratta di un palliativo. Attendere allora tempi migliori? Pregare che il Signore mandi tanti operai alla sua messe? Certamente. Tuttavia un minimo di autocritica che miri alla riscoperta della vera fisionomia del sacerdote, va fatta.

Che cosa ha fatto ieri e che cosa fa oggi il sacerdote? Celebra messe, amministra i sacramenti, predica, ma molto del suo tempo e delle sue energie le dedica ad attività estranee alla sua vera funzione. Se è parroco si occupa della parrocchia in tutti i suoi aspetti: organizzativo, direttivo, economico. E di tutto è, nonostante i consigli pastorali, giudice inappellabile. Se è coadiutore ha l’oratorio con feste, giochi, tornei, cinema a cui pensare. Il tutto per lo più tenacemente racchiuso e raggruppato in canonica ed ambienti oratoriali.

Linee nuove sono state indicate dal Vaticano II da sviluppare e su cui riflettere. Esistono i laici che non debbono essere usati come tappabuchi o semplici consiglieri.

Il prete deve uscire dalla sua canonica ed incontrare le migliaia di persone, anche straniere e di altre confessioni, che non frequentano la sua chiesa. Non con l’intento di far proseliti, ma di condividere valori di umanità (perché mai i valori umani sono da alcuni preti visti in contrasto con quelli cristiani?). Il discorso dei poche ma buoni non tiene, perché se non si orientano verso gli altri, i pochi e buoni si ridurranno a più pochi e meno buoni.

Il prete deve impiegare anni a formare dei laici responsabili cui affidare, in toto e con i rischi della democrazia, compiti riguardanti gli aspetti organizzativi ed economici della parrocchia. Vedendo sacerdoti dediti alla sola formazione delle coscienze, i giovani potrebbero essere spinti a seguire la loro missione.

Ma non basta. I laici non debbono essere solo buoni ragionieri o tecnici capaci di risolvere i problemi parrocchiali. Essi sono dei battezzati e quindi tutti partecipano del carisma regale, profetico e sacerdotale di Gesù.

Da qualche tempo durante le celebrazioni eucaristiche si è notato un timido accostamento del laico, anche donna, ad una partecipazione più attiva. Presenza di diaconi anche sposati, ministri dell’Eucaristia, lettori e lettrici, qualche chierichetta (solo piccole per carità!). E’ un inizio. Se il laico è profeta deve parlare a nome di Dio. Una predica fatta durante la messa da un laico saggio e preparato val più di un sermone generico o pieno di riferimenti personali di qualche sacerdote superficiale o astioso. I catechisti debbono formare bambini, ragazzi e giovani con lezioni sgorgate da un serio studio teologico e biblico e riferite all’attualità, non semplicemente riprese da manuali già pronti.

Se il laico è re deve poter esprimere la propria autorità e responsabilità nell’ambito della chiesa. Il suo non è un parere qualunque e il sacerdote ne deve tener conto come se ricevesse un dono perché maturato in ambiti che  a lui sono a volte lontani od estranei, come l’ambiente lavorativo e familiare con le sue problematiche anche sessuali di cui il prete può conoscere solo per sentito dire, ma su cui spesso purtroppo pontifica e giudica.

Se il laico è sacerdote, come non pensare che alcuni riti o aspetti della vita religiosa non gli siano propri?  Nella tradizione ebraica e veterocristiana il padre di famiglia impartiva la benedizione. Ora solo il prete benedice. Riflettiamo su quale ruolo sacerdotale potrebbe avere il laico nell’ambito dell’amministrazione del battesimo o della conferma di un matrimonio. Un giovane accettato in questi ruoli potrebbe chiedere più facilmente di accedere al sacerdozio.

Non metto al primo posto, riguardo alla crisi delle vocazioni, il problema del celibato sacerdotale o del sacerdozio femminile. E’ auspicabile che il celibato diventi in un prossimo futuro una scelta e non più un obbligo. Coscienti che questo necessiterebbe di una strutturazione della parrocchia diversa e più complessa dovuta alla presenza di una moglie e di figli e che questo intaccherebbe la stabilità del potere, non dobbiamo tuttavia mettere limiti alla libertà dello spirito e delle coscienze.

Mi pare che se tutto questo si realizzasse, anche senza un rilevante aumento delle vocazioni, l’attività pastorale ne avrebbe un certo giovamento.

Spesso il prete non è ascoltato. Alcuni lo vedono superato od estraneo, altri ostile alle proprie idee e tanti lo giudicano poco credibile. Una delle opinioni più diffuse oggi è che tutto viene gestito e mosso dal denaro. Non si fa niente per niente. Se vuol essere credibile, il sacerdote  deve prescindere nella propria persona e nella propria azione pastorale dalla richiesta di denaro. Ogni benedizione, ogni sacramento amministrato, nell’idea della gente deve essere pagato. Una volta c’erano le tariffe. Poi si è ripiegato sull’offerta. E’ sbagliato. Il prete deve rifiutare il denaro in ogni occasione di celebrazione religiosa: messe, funerali, battesimi, matrimoni. Bravo! E come viviamo? Con che cosa paghiamo le spese della chiesa? Una prassi del genere non sarà controproducente perché lascerà alla maturità delle persone l’iniziativa. E se per caso non ci saranno offerte, tu vivrai da povero e tieni presente che la chiesa materiale e l’oratorio non sono tuoi ma del popolo che ne è il responsabile. Vedendo il prete staccato dai beni materiali un giovane potrebbe essere maggiormente spinto ad imitarlo.

Ma che tipo di prete è il nostro clero? Quale la sua spiritualità? Il sacerdote nasce in seminario. Il suo dna dovrebbe essere quindi tipico. Oserei dire pregnante di quei valori su cui ha studiato, pregato e riflettuto per anni. Ritengo incomprensibile di conseguenza l’adesione da parte di alcuni sacerdoti a movimenti particolari, quasi  volessero incontrare una perfezione maggiore o godessero di una appartenenza a qualche cosa di più specifico che li distinguesse per una maggiore identità. Sarà ma io noto una grande chiusura.

Caro don Giorgio, è possibile avere un tuo parere? Prima di morire vorrei inviare queste osservazioni a tutti i numerosi miei compagni di messa rimasti in vita, senza presumere di insegnare loro nulla. Due di loro sono vescovi ed uno cardinale, Avrei comunque la coscienza più tranquilla.

Grazie e mille auguri a te per quanto ti preme.

 Attucci Marco       

(m.attucci @alice.it)

 

2 Commenti

  1. pierluigi ha detto:

    Avvincente e convincente. Lo spirito mondano ed edonistico della persona può essere la causa delle poche vocazioni, in modo particolare quando poi il giovane vede che il medesimo spirito mondano ed edonistico appare molto nelle gerarchie, nella struttura; è giusto con Sua Santità Francesco che questo tipo di orpello è additato a inutile e disastrosa usanza.

  2. Giuseppe ha detto:

    Complimenti per la bella testimonianza.

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