Sostituire la tecnocrazia con l’arte

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Sostituire la tecnocrazia con l’arte

Continuiamo nel presentare i “sutra” (“insegnamenti sapienziali”) che esemplificano il progetto meta-politico di Raimon Panikkar.
Dopo di aver presentato la “demonetizzazzione della cultura”, “il superamento della democrazia con una nuova cosmologia” e la “demolizione della Torre di Babele”, vediamo con questo articolo il quarto e il quinto “sutra”:
Così cerca di spiegare lo stesso Panikkar, in un dialogo immaginario con un giovane studente (vedere libro “Raimon Panikkar: profeta del dopodomani”, di Raffaele Luise).
4. Ricondurre la scienza entro i propri limiti.
«La scienza ha sconfinato ben oltre i propri limiti, che sono allo stesso tempo epistemologici e ontologici, oltre che oggettivi e soggettivi, e ha profondamente modificato il modo di pensare e di vivere dell’uomo contemporaneo anche in ambiti assai lontani dalle discipline scientifiche. Abbiamo visto che, nonostante l’appellativo di scienza, essa non si identifica né con “gnosis”, né con “jnana”, né con “sapientia”, perché non ha un intrinseco potere salvifico. Cioè non conduce l’uomo alla sua pienezza. Dobbiamo allora togliere alla scienza il potere assoluto che ha acquisito e ricondurla all’interno di una visione più ampia della realtà, giacché non tutto è oggetto di scienza, né lo è la persona dello scienziato».
5. Sostituire la tecnocrazia con l’arte
«Le vecchie teocrazie, monarchie, oligarchie, aristocrazie e persino anarchie, hanno ceduto il posto alla tecnocrazia. Ma, al pari della scienza, anche la tecnologia contemporanea non è sinonimo della tecnica tradizionale, della “technè”, dietro la quale vi era lo spirito. Dietro alla tecnologia moderna c’è, invece, soltanto informazione».
Chiede lo studente:
«E questo ridisegna, maestro, la geografia del potere».
«E tanto. Perché il potere non è più in mano al politici, che sono sottomessi al mega-meccanismo tecnocratico, ma nemmeno in mano agli esperti, che hanno bisogno di capitali e di avalli politici, e che possono semplicemente azionare il sistema, impotenti persino a volgerlo in direzioni diverse da quelle consentite dalle regole interne dell’ordine tecnocratico. Ma la cosa più grave è che la tecnocrazia si oppone frontalmente alla democrazia. Essa, infatti, rende impossibile ai popoli di tornare padroni del proprio destino, perché sarebbe necessaria una competenza altamente specializzata che la gente non può acquisire. E così la tecnocrazia trasforma gli adulti in bambini, rendendoli incapaci di conoscere ciò che è bene per loro e di decidere della propria vita».
Il giovane aveva seguito con attenzione e da ultimo con allarme la denuncia del filosofo.
«È una impasse drammatica» esclama a questo punto ad alta voce. «Come possiamo uscirne?».
«Occorre ridare alla parola arte il suo significato, che finora abbiamo banalizzato come puro passatempo, folklore, attività marginale. L’arte è, invece, ciò che articola ed unifica la vita della persona. Bisognerebbe fare di ogni uomo un’opera d’arte. Ma per questo abbiamo bisogno della collaborazione dell’intero universo, del divino, della materia e degli uomini. Sai che in molte tradizioni umane la bellezza è il primo attributo di Dio. Per il sufismo, ad esempio, la bellezza è il primo dei novantanove nomi di Allah».
(3/continua)
28 settembre 2019
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