Maurizio Landini: “Quando dico rivolta sociale, intendo proprio rivolta sociale”

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27 Novembre 2024

Maurizio Landini:

“Quando dico rivolta sociale,

intendo proprio rivolta sociale”

di Alessandro De Angelis
Intervista col segretario della Cgil alla vigilia dello sciopero generale: “Se le persone non si rivoltano, ovvero non smettono di girarsi dall’altra parte, non ci sarà lotta alle diseguaglianze e nulla cambierà. Certo in forma non violenta, ma lo devo precisare? Dal governo è in atto un attacco a rappresentanza sindacale e democrazia”
Maurizio Landini (segretario della Cgil), Matteo Salvini ha annunciato la precettazione. Dice: “Sarà l’ennesimo venerdì di caos, c’è il diritto di sciopero ma anche quello alla mobilità e alla salute”.
Il ministro dovrebbe pensarci 365 giorni all’anno ai problemi della mobilità e della salute, non solo quando c’è uno sciopero generale. La precettazione è un atto che mette in discussione la possibilità delle singole persone di esercitare un diritto. Evidentemente Salvini vede rosso quando vede Cgil e Uil, perché sono pochi gli scioperi che normalmente precetta. Peraltro è una scelta senza senso, nel merito delle motivazioni addotte.
Perché?
Noi abbiamo proclamato lo sciopero per il 29, perché prima di noi altre organizzazioni minori lo hanno fissato nella stessa data. Abbiamo pensato che avesse un senso concentrarlo in un’unica giornata. La ragione invece per cui la commissione, su diktat di Salvini, dice che bisogna precettare è che si sono concentrate troppe sigle in un solo giorno. Capisce che è un controsenso? Se uno segue quella logica lì, invece del 29, avremmo dovuto farlo un altro giorno.
Non pensa però in questo modo di suscitare, causa disagi, una non solidarietà nel paese? I trasporti senza fasce garantite, la gente si arrabbia.
A parte che lo sciopero generale lo fai nei momenti in cui c’è la necessità di un messaggio di cambiamento, chiedo: negli altri giorni le cose sulla mobilità funzionano?
C’è una cosa che il governo ha recepito tra le vostre istanze?
Si sono appropriati di un risultato che abbiamo ottenuto noi e lo stanno rivendendo come loro. Il cuneo non nasce dal governo Meloni, ma è una rivendicazione che abbiamo fatto durante il governo Draghi. Allora, se ricorda, c’erano le una tantum. Noi chiedemmo una riduzione strutturale del costo del lavoro e dell’aumento dei salari. E l’ottenemmo, anche lì, grazie a uno sciopero generale.
È l’unica cosa buona che ha fatto Giorgia Meloni?
Beh, non poteva fare altrimenti. Avrebbe fatto fatica ad andare verso la riduzione dei salari. Oggi il governo ha fatto un’altra operazione: la riduzione del cuneo era precisa e diretta in busta paga. Anziché pagare il 9 per cento dei contributi-pensione, pagavi il 3 o il 4. Dall’inizio del prossimo anno si torna a pagare il 9 per cento. E nell’operazione fiscale che hanno fatto c’è la distorsione del nostro sistema fiscale che penalizza in modo particolare il lavoro dipendente e i pensionati. Non ci sarà un lavoratore che fino a 35mila euro prenderà gli stessi soldi di prima perché tutti ne prenderanno meno.
La vostra proposta quale è?
Noi abbiamo presentato una piattaforma per discutere di una vera riforma fiscale, proprio perché questa misura così non dà, ma toglie ai lavoratori. Aggiungo: riconfermare quell’impostazione e tagliare i salari nel settore pubblico come sta accadendo vuol dire programmare una riduzione del potere di acquisto. Questo, proprio nel momento in cui abbiamo una questione salariale nel nostro paese grande come una casa.
Lei lamenta assenza di dialogo, ascolto. Le chiedo: reinviterebbe Giorgia Meloni al congresso della Cgil?
Assolutamente sì. Noi abbiamo sempre invitato i presidenti del Consiglio. Il mio mica è uno sciopero contro le persone. È uno sciopero sul merito. La diversità di questo rispetto ad altri governi sta nella scelta pericolosa di non considerare le organizzazioni sindacali dei soggetti che possono contrattare e fare accordi col governo.
Però, diciamocelo, non è il primo. La concertazione è finita da tanto tempo.
Non sto parlando di concertazione, ma di accordi. Prima del rinnovo del contratto dei settori pubblici, abbiamo fatto un accordo con Draghi e con l’allora ministro Brunetta sul sistema con cui si rinnovavano i contratti: discussione, trattativa, accordo. Così come sul cuneo contributivo. Così come, ai tempi del Covid, sulla sicurezza. Perché dall’altro lato avevamo dei governi che riconoscevano il ruolo delle parti sociali.
Quindi mai così ignorati.
C’è un obiettivo. Quando al tavolo della trattativa io mi trovo quindici organizzazioni sindacali, a prescindere dalla loro rappresentanza, e ognuno conta uno, c’è qualcosa che non funziona. Perché a quel punto è il governo che decide con chi confrontarsi, non i lavoratori che decidono quale sindacato e quali accordi hanno una loro validità. Quindi siamo di fronte a un vero e proprio attacco alla rappresentanza e alla democrazia.
A tal proposito, non si sta sottovalutando il tema di una legge sulla rappresentanza? Il proliferare di sigle sta producendo una giunga di contratti pirata che porta a un vostro indebolimento negoziale anche con le associazioni datoriali.
Noi la chiediamo da tempo. È dal 2016 che abbiamo depositato in Parlamento una proposta di legge che non è mai stata veramente discussa. Lo stiamo proponendo anche alle organizzazioni imprenditoriali con cui abbiamo fatto degli accordi interconfederali che aprono alla misurazione della rappresentanza. Vuol dire, per me: garantire il diritto di tutti i lavoratori di eleggere delegati in tutti i luoghi di lavoro e misurare la rappresentanza sulla base degli iscritti. Deve diventare un sistema che riguarda tutte le lavoratrici e i lavoratori del paese.
E la sinistra in Parlamento l’ha vissuta come una priorità?
Finora no, e infatti non c’è la legge. Per questo ci siamo rivolti a tutti. Lo dico perché questo non è un problema di appartenenza politica. È un modo per riconoscere, applicando i principi della nostra Costituzione, cosa è, in una democrazia, la rappresentanza. L’ho detto anche al presidente del Consiglio: ma scusi, non funziona che chi non raggiunge il tre per cento non entra in Parlamento?
Questo incrocia anche la questione salariale sui contratti pirata.
Le do un dato. In Italia siamo passati dagli anni Novanta, in cui c’erano 153 contratti nazionali di lavoro, al fatto che oggi, dati del Cnel, siamo attorno a mille. Quelli firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative sono circa duecento. E sono già tanti, se pensiamo che il cambiamento del sistema produttivo e delle imprese suggerisce di andare verso una riduzione e una semplificazione, per ricomporre una rappresentanza.
Cgil e Uil hanno convocato il quarto sciopero generale in quattro anni. Tre su tre col governo Meloni. Dice il segretario della Cisl Luigi Sbarra: “O c’è un pregiudizio ideologico di fondo oppure si è del tutto inefficaci nell’azione negoziale”. Le sta dicendo che è uno sciopero politico.
La risposta migliore sarà quella del 29: quanta gente sciopererà e quanta gente sarà in piazza. Io non voglio polemizzare con nessuno. Porto rispetto verso le altre organizzazioni e chiedo il medesimo rispetto per le nostre ragioni. Noto però due cose. La prima è che nel nostro paese l’ultimo sciopero unitario di Cgil, Cisl e Uil risale al 2013, sulla manovra del governo di Enrico Letta. Sono passati 11 anni e tanti governi, l’elemento di continuità è che c’è una organizzazione che lo sciopero generale non è più stata capace di proporlo. Ne prendo atto. La seconda è che tra i lavoratori, ed è quel che mi interessa di più, non registro tutte queste obiezioni. Registro piuttosto malessere e paura perché le condizioni di vita materiali stanno peggiorando. E vedo anche, proprio sulle agenzie di oggi, un appello di dirigenti e iscritti alla Cisl, che non sono d’accordo con quello che la Cisl sta facendo.
Sì, però c’è un punto. Lei dice “c’è malessere”, “le condizioni materiali sono peggiorate”, tutto giusto. Ma non si fa uno sciopero contro il malessere. Si fa su una piattaforma precisa di pochi punti qualificanti. Se c’è tutto dentro – cambiare fisco, sanità, contratti, detassazioni aumenti contrattuali, riforma delle pensioni – è una piattaforma più politica che sindacale, o sbaglio?
Lo sciopero generale, di per sé, è sempre anche un atto politico perché in quel momento fai svolgere al sindacato una funzione generale, che consiste nel difendere i diritti delle persone e porre una questione più ampia: quale modello sociale e quali politiche economiche. E la cosa che noi abbiamo contestato da cui discende la legge di bilancio è il piano strutturale di bilancio presentato in Europa.
Si riferisce la riforma del patto di stabilità.
Sì, noi siamo di fronte a una novità, nell’ambito della scelta europea, da noi contestata, di riconfermare una logica di austerità nel patto di stabilità. Il governo si è vincolato alla riduzione del debito pubblico per i prossimi sette anni. Bene, io sono d’accordo sulla riduzione del debito su cui paghiamo interessi incredibili. La scelta che noi contestiamo al governo è questa: puntare sulla riduzione della spesa invece che sull’aumento delle entrate e investimenti. Aumento delle entrate significa fisco, lotta all’evasione, non tassare solo lavoro dipendente e pensionati ma il reddito dei profitti, la rendita finanziaria, la rendita immobiliare. Invece di andare su questa strada, si è scelto di andare avanti a marchette elettorali. Gli investimenti poi sono il grande assente di questa manovra, in un paese dove da diciannove mesi la produzione industriale cala: 4 miliardi in meno sull’automotive, 6 sullo sviluppo del Mezzogiorno. Insomma, in piena ripresa della crisi, zero politica industriale e zero politica energetica.
Lei parla molto di fisco, anche in relazione all’enorme questione salariale che c’è in Italia. Però la questione salariale non è mai “soltanto” una questione distributiva, essa ha a che fare con la capacità di contrattazione nei luoghi di lavoro. Non sarà che fate poca contrattazione, e su questo si misura un deficit di rappresentatività del sindacato?
E infatti sono aperte tutte le trattative per il rinnovo dei contratti. Il governo ha sbandierato che, nei primi tre mesi di quest’anno, c’è stato un aumento delle retribuzioni. Mica è merito loro. Quell’aumento è stato frutto del rinnovo dei contratti in vari settori. Chiedo: cosa sta facendo il governo come datore di lavoro? Di fronte a un’inflazione conclamata del 17 per cento dal 2022 al 2024, gli aumenti nel settore pubblico non arrivano al sei per cento. Aggiungo: il problema della questione salariale è ampio e riguarda anche i livelli di precarietà e il problema del sistema di appalto, subappalto, finto appalto che ha orientato il sistema del lavoro non alla qualità, allo sviluppo e all’innovazione, ma verso una competizione allo sfruttamento. Poi, se lei mi chiede se in questi vent’anni di riduzione del salario, c’è anche un problema di politica sindacale, la risposta è sì.
Ha ammesso che c’è stato un problema che riguarda anche il sindacato. Vuole dire che ora si cambia registro e assisteremo a una nuova stagione di lotte per il salario? In America uno sciopero a oltranza ha paralizzato le Big Three dell’auto, i lavoratori hanno strappato il 25 per cento circa di aumento salariale. Al picchetto degli scioperanti sono andati sia Biden che Trump. È questo il modello?
Già prima della proclamazione dello sciopero generale ci sono stati mesi di lotte e mobilitazioni: lo sciopero generale dei metalmeccanici, dei chimici, della scuola, del trasporto pubblico locale. Ci sono state varie manifestazioni e vertenze aperte. Purtroppo si è interrotta la trattativa per il rinnovo dei metalmeccanici, quella sugli edili e chimici è aperta. E poiché la questione salariale è centrale io penso che a partire dalle piattaforme presentate questo tema deve essere affrontato.
Lei ha fatto un appello alla “rivolta sociale”, scatenando molte polemiche. Ed effettivamente si presta a strumentalizzazioni. Riuserebbe quella parola?
Da quando abbiamo proclamato lo sciopero, qualsiasi cosa dico viene strumentalizzata. Non voglio fare la vittima, ma è indubbio che è in atto una campagna di delegittimazione. La verità, scritta nella storia di questo paese, è che se il terrorismo è stato sconfitto è stato possibile anche grazie al ruolo del movimento sindacale e del movimento operaio. Quindi non accetto lezioni. Se parlo di rivolta sociale dico una cosa precisa: è il momento che le singole persone non si voltino dall’altra parte rispetto al livello di diseguaglianze che ci sono nel nostro paese. È un invito a non rassegnarsi.
Cioè lei voleva dire: mobilitatevi.
No, io volevo proprio dire: rivolta sociale. Noi siamo nel pieno di una crisi democratica. Tale è quando metà dei cittadini non vota più perché non si sente rappresentata da nessuno. Quando sono andato a palazzo Chigi ho regalato alla presidente del Consiglio un libro, L’uomo in rivolta di Albert Camus. Chi lo ha letto sa che Camus criticava non solo il capitalismo, ma anche l’Unione sovietica, facendo ragionamenti sulla rivolta e sulla rivoluzione. Io dico: se le singole persone non si rivoltano, ovvero non smettono di girarsi dall’altra parte assumendo la lotta contro le diseguaglianze come centrale, non cambia assolutamente nulla. Certo in forma democratica e non violenta, ma lo devo dire? Noi siamo quelli che talvolta le prendono, è il governo che sta facendo una legge per cui occupare le fabbriche diventa un reato.
Sì, però lo sciopero lo convochi, la protesta la convochi e la gestisci, la rivolta scoppia, e prende forme non gestibili. Secondo me è un termine estraneo alla tradizione della Cgil.
La rivolta è usare la rabbia per non girarsi dall’altra parte, mettersi assieme in un meccanismo di solidarietà con altri, perché solo insieme si può cambiare questo paese. Solidarietà significa il singolo non riesce a stare bene se quelli che stanno attorno stanno male. E quindi, in definitiva, stiamo parlando di una battaglia di libertà. Perché il lavoratore che per vivere ha bisogno di lavorare, ma non arriva alla fine del mese non è libero. Io la parola libertà non la voglio lasciare a qualcun altro. È il fulcro di un nuovo modello sociale.
Lei fa un discorso che è anche molto politico. Sente che sta esercitando una supplenza verso la sinistra politica?
Le dico una cosa che ho detto anche alla presidente del Consiglio. Quando proclamiamo uno sciopero, io non penso mica che scioperino solo quelli di sinistra, ma anche quelli che l’hanno votata. Nel momento in cui svolgo una funzione sindacale, non la svolgo per una parte o per un’altra, ma per rappresentare tutti i lavoratori.

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