da La Repubblica
27 DICEMBRE 2023
Addio a Jacques Delors, padre dell’Europa:
cattolico e socialista,
seppe mediare per l’unità del continente
di Andrea Bonanni
L’ex presidente della Commissione Ue aveva 98 anni e fu tra i promotori dell’euro
BRUXELLES — Adesso tutti piangono l’artefice dell’euro e del mercato unico. Ma Jacques Delors, morto ieri nella sua casa di Parigi all’età di 98 anni, è stato più che un padre dell’Europa e della sua moneta. È stato un padre dell’Occidente, inteso come quell’insieme di valori di libertà, liberalismo, giustizia sociale e solidarietà in cui si riconosce oggi una parte, purtroppo sempre minoritaria, del Pianeta. Al di qua dell’Atlantico, da socialista e cattolico, è stato uno dei pochi statisti a capire che il nostro modello di società era innanzitutto un paradigma etico, fondato sul principio della riconciliazione con la Storia. La riconciliazione franco-tedesca dopo la Seconda guerra mondiale. La riconciliazione tra Est e Ovest dopo la fine della Guerra fredda. La riconciliazione di classe, quella etica tra laici e credenti e quella politica tra socialisti e popolari. È stato un grande mediatore perché sapeva che i compromessi si fabbricano non tanto sulle concessioni ma sulla comprensione reciproca. Tutto il contrario della politica costruita sull’odio, sulle paure e sui pregiudizi che oggi minaccia la nostra democrazia.
Tra Francia e Germania
Nel 1990, all’indomani della caduta del muro di Berlino, Francia, Gran Bretagna e Italia vedono come una minaccia la prospettiva di una riunificazione tedesca. Thatcher, Mitterrand e Andreotti remano contro. Solo Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, sa cogliere il senso della rivoluzione in atto e si schiera fin da subito con il Cancelliere tedesco in favore della riunificazione. «L’Europa ha bisogno di un’anima», spiega per sottolineare il valore morale di quanto stava accadendo con la fine della Guerra fredda. Quell’anima la stiamo ancora cercando.
È sempre Delors a svolgere il ruolo di sottile mediazione tra Kohl e Mitterrand che porta alla nascita della moneta unica. Per tranquillizzare i partner comunitari, la Germania riunificata accetta di rinunciare al Deutsche Mark e alla sovranità monetaria legando così indissolubilmente il proprio destino a quello del resto d’Europa. Solo le resistenze di Mitterrand impediscono che una vera Unione politica, voluta da Delors e da Kohl, faccia da tandem alla moneta unica.
Alla guida della Commissione Ue
I dieci anni in cui Delors è stato alla guida della Commissione di Bruxelles (1985-1995) sono stati quelli del grande balzo in avanti dell’Europa. Nel 1986, appena nominato, la Ue si allarga a Spagna e Portogallo. Nel 1995, quando lascia la Commissione, entrano Austria, Svezia e Finlandia. Il Libro Bianco che porta il suo nome e l’Atto Unico conducono alla nascita del grande mercato unico e alla progressiva abolizione delle barriere protezionistiche. La politica della concorrenza riduce drasticamente la pratica degli aiuti di Stato costringendo l’industria a uscire dalla tutela interessata della politica. Il Trattato di Maastricht pone le premesse per la moneta unica e per il coordinamento delle politiche di bilancio. Il Trattato di Schengen segna l’abolizione delle frontiere interne. Continuamente in polemica con la Gran Bretagna di Margaret Thatcher e poi di John Major, Delors riesce ad imporre l’idea di una «Europa sociale» che determini standard minimi nei rapporti di lavoro.
La vita di Jacques Delors
Nato nel 1925, figlio di un funzionario della Banca centrale molto cattolico, Delors segue le orme paterne entrando nel ’45 alla Banca nazionale francese. Negli anni Cinquanta si avvicina alla politica attraverso il sindacato conservatore, la Confederazione francese dei sindacati cristiani, nel quale però prende posizioni più laiche e di sinistra. Dopodiché lavora al Commissariato generale alla pianificazione e insegna all’università. Nel ’74 aderisce al Partito socialista. Nel ’79 è eletto deputato europeo, carica che lascia due anni dopo per entrare come ministro dell’economia nel governo Mauroy riuscendo a raddrizzare i disastrati conti pubblici francesi.
Delors accanto all’allora leader socialista Francois Hollande durante un comizio nel 2005
Nel ’94, quando il suo mandato alla Commissione sta per scadere, i sondaggi lo danno gran favorito per la corsa alla presidenza della Repubblica come successore di Mitterrand. Ma è a questo punto che Delors, mai veramente a suo agio nei meandri di quella che i francesi chiamano «la politique politicienne», compie il suo gran rifiuto e si ritira dalla politica attiva appoggiando la candidatura del socialista Lionel Jospin. I francesi sceglieranno invece il gollista Jacques Chirac per la poltrona dell’Eliseo.
Schivo e ombroso di carattere, dopo il ritiro dalla scena politica Delors si dedica anima e corpo alla sua vera e unica passione: l’Europa. È presidente prima del Collegio europeo di Bruges e poi dell’associazione Notre Europe – Institut Jacques Delors (oggi guidata da Enrico Letta), attraverso la quale conduce le sue battaglie negli anni più difficili della costruzione europea. «Il modello europeo è in pericolo se dimentichiamo il principio della responsabilità personale», si affanna a spiegare a un Continente che appare distratto. Nel 2015 il Consiglio europeo gli ha conferito il titolo di Cittadino onorario d’Europa. Prima di lui, l’hanno ricevuto solo Jean Monnet e Helmut Kohl. Ora sono tutti scomparsi. Chi prenderà il loro posto?
***
da Il Corriere della Sera
Morto Jacques Delors,
ex presidente della Commissione europea:
aveva 98 anni
di Federico Fubini
«Padre» dell’euro, fu presidente della Commissione Europea tra il 1985 e il 1995 e ministro dell’Economia francese tra il 1981 e il 1984
Jacques Delors, scomparso ieri a 98 anni, ha vissuto così a lungo da vedere un’Europa profondamente diversa da quella che aveva immaginato. Eppure l’Europa che esiste, quella di cui 450 milioni di abitanti fanno l’esperienza ogni giorno, non sarebbe mai esistita senza il talento insieme umile, scaltro e audace di questo francese profondamente socialista e cristiano che resta uno dei più grandi innovatori politici dell’Occidente dell’intero dopoguerra.
In una certa misura, Jacques Delors non aveva mai studiato da leader. Non si era mai immaginato in un ruolo del genere, come alcuni sospettarono quando nel 1994 rinunciò a candidarsi all’Eliseo benché il suo apparisse in quel momento favorito per succedere ai due settennati di François Mitterrand. Proprio per Mitterrand, il più abile e incisivo presidente di sinistra della Quinta Repubblica, Delors sembrava aver raggiunto il massimo della sua influenza quale ministro delle Finanze nei primi anni ’80. Fino ad allora la sua era stata un’esperienza da tecnocrate illuminato, passato dai sindacati di ispirazione cristiana, al Commissariat général au Plan (il centro di programmazione dello Stato oggi noto come France Stratégie), al servizio come alto funzionario di governo attento ai temi del lavoro, al vertice della Banca di Francia.
Ma è con la presidenza di Mitterrand che Delors affronta le sue prime prove politiche dal 1981 in poi. Da quel momento allora quei due uomini così antitetici per personalità – il presidente cinico e seduttore, il ministro fermo sui principi e nello stile di vita – costruiranno un percorso comune che cambierà per sempre l’Europa. In Francia, Delors sarà decisivo nell’aiutare Mitterrand a uscire dal vicolo cieco della sua iniziale utopia socialista che aveva portato l’Eliseo sulla strada di un interventismo pubblico presto rivelatosi insostenibile.
Ma la svolta decisiva arriva pochi anni dopo, quando l’accordo di Mitterrand con Kohl proietta Delors alla guida della Commissione delle Comunità europee (come si chiamava allora). Il francese arrivava dopo il scialbo lussemburghese Gaston Thorn e pochi avrebbero immaginato una svolta così profondamente politica. Ma Delors in quel momento associa alla sua competenza da tecnocrate il suo miglior talento politico, quello di tirare fuori il meglio e il lato più costruttivo da chiunque. Da tecnocrate, il francese capisce che la Comunità europea di metà degli anni ’80 ha bisogno di integrare molto di più il suo mercato.
Da politico, intuisce che può far leva a questo scopo anche sul più euroscettico di tutti i leader: la britannica Margaret Thatcher, sempre a favore di riforme che avrebbero liberalizzato un’Europa ancora molto chiusa e corporativa. Nasce così l’Atto unico del 1986, seguito l’anno dopo da un’altra intuizione che resta: il programma Erasmus, di cui godranno centinaia di migliaia di studenti europei.
Da lì Delors continua a costruire. Si rende conto che non può esserci integrazione di mercato senza solidarietà che possa aiutare i Paesi più fragili a recuperare terreno: da lì la crescita del bilancio europei con i fondi strutturali, che trasformeranno la Spagna, il Portogallo e in seguito i Paesi emersi dal Patto di Varsavia (ma purtroppo non abbastanza il Mezzogiorno d’Italia).
Infine l’intuizione più rivoluzionaria, quella dell’euro. Da ex banchiere centrale, Delors è tra i primi a riconoscere che un mercato integrato sarebbe andato in mille pezzi senza una moneta comune che potesse stabilizzare gli equilibri finanziari fra la Germania del marco da un lato e la Francia e l’Italia, già alla fine degli anni ’80 segnata da un debito pubblico minaccioso (oltre che da un’inflazione patologica).
Delors decide che la manovra di avvicinamento, per rassicurare i molti tedeschi istintivamente riluttanti, doveva essere tecnocratica: nel 1988 crea e presiede un comitato di dirigenti delle banche centrali e di funzionari di governo. Tommaso Padoa-Schioppa avrebbe svolto un ruolo centrale. Il gruppo immagina un piano di «convergenza» verso la moneta unica nel quale i Paesi avrebbero dovuto allineare il più possibile i loro livelli di deficit, debito e di inflazione.
Nasce così l’embrione di quello che nel 1992 sarebbe diventato il Trattato di Maastricht. Ma l’ultimo capolavoro fu politico, perché questa volta sarebbe stato impossibile contare sull’appoggio di Thatcher e anzi andava aggirato il veto della «Lady di Ferro». L’operazione riuscì nel vertice di Roma del 1991, con un abile aggiramento della contrarietà di Londra grazie al coordinamento di Andreotti con Delors stesso, Kohl e Mitterrand. Mai più i leader dei principali Paesi europei avrebbero lavorato così efficacemente con un presidente della Commissione così visionario, scaltro e determinato. Si può misurare con sconforto la distanza dall’Europa di allora. O concludere che non avremmo quella di oggi, con tutti i suoi punti di forza, senza la stagione miracolosa di cui Delors fu il raffinato regista.
«Jacques Delors – ha ricordato Mario Draghi – è stato il padre dell’Europa moderna. Dal Trattato di Maastricht agli Accordi di Schengen, ha presieduto a cambiamenti epocali che ancora oggi definiscono l’Unione Europea, il suo potenziale, le sue aspirazioni. Delors ha mostrato a generazioni di europei come si possano combinare idealismo e concretezza per costruire un’Europa più forte, più prospera, più giusta. Questo metodo, fatto di visione e pragmatismo, deve continuare a guidarci nelle sfide sempre più complesse che abbiamo davanti».
***
da La Repubblica
28 DICEMBRE 2023
Enrico Letta:
“La lezione di Delors sulla solidarietà europea
è la via per il futuro dell’Unione”
di Serenella Mattera
L’ex leader del Pd ricorda l’ex presidente della Commissione Ue
L’Europa non riuscirà a superare le sue difficoltà se i singoli Paesi non la smetteranno di andare per conto loro e non si decideranno a recuperare la lezione di Jacques Delors, con un progetto di riforma di lungo periodo che poggi su concorrenza, solidarietà e cooperazione. È questo il filo del ragionamento di Enrico Letta, che dal 2016 presiede l’Istituto Jacques Delors, nel giorno della scomparsa del padre fondatore dell’Unione.
L’ex premier, che è stato incaricato dal Consiglio e dalla Commissione Ue di redigere un rapporto sul futuro del mercato unico europeo, documento che presenterà ad aprile, ha avuto il «privilegio» di confrontarsi con Delors in lunghe conversazioni, ogni mese, a casa sua. Ed è dalle sue idee che propone di ripartire, alle soglie di un anno cruciale per l’Ue. Di fronte all’avanzata dei sovranismi, afferma, bisogna recuperare la sua «intuizione di un’Europa come federazione di Stati nazione».
L’Europa appare oggi fragile, ostaggio delle sue divisioni: cosa resta dell’eredità di Delors?
«La sua eredità è nella frase più famosa e più completa. L’Europa per essere vincente – diceva – deve avere tre caratteristiche: la concorrenza che stimola, la solidarietà che unisce e la cooperazione che rafforza. È quello di cui c’è bisogno e che un po’ manca. La difficoltà di oggi è la difficoltà di un’Europa che stenta a tenere insieme quei tre capisaldi, in cui i Paesi vanno più per conto loro e il disegno unitario è più debole».
Cosa manca di più all’Ue?
«Si avverte una difficoltà molto forte nell’essere uniti e nell’agire insieme. Io ho fortissima memoria di quando nel marzo 2020 nel pieno del caos del Covid, con carenza di medicine e i governi in ordine sparso, Delors mi chiamò perché aveva deciso di intervenire, come non faceva da anni. Dichiarò che l’Europa stava morendo e il Covid la stava uccidendo: era il momento di dimostrare di essere uniti. Non a caso poco dopo sono stati lanciati il piano dei vaccini e il Pnrr».
Più integrazione, insomma.
«Solo con più integrazione si riuscirà a vincere la sfida planetaria. Quando Delors ha lanciato il mercato unico nell’85 i concorrenti erano Giappone e Stati Uniti. Adesso il mondo attorno a noi è molto più grande, con la Cina, l’India, i Brics: la necessità di integrazione è ancora più forte».
Da cosa passa l’integrazione?
«Delors, parlando dell’incarico che ho ricevuto sul futuro del mercato interno, mi ha sempre ricordato di aver fondato, insieme al mercato unico, la politica di coesione e dei fondi strutturali europei, perché non ci può essere mercato se non c’è lotta alle disuguaglianze generazionali e geografiche. Questo tema oggi torna fortissimo. Anche in vista dell’allargamento a Paesi come l’Ucraina, diventa ancora più importante l’intuizione di Delors: il mercato senza la solidarietà non funziona e solo l’Europa consente ai Paesi europei di contare nel mondo».
Ma tra sei mesi si vota per il Parlamento Ue ed è forte l’onda dei conservatori e sovranisti, che vogliono meno Europa.
«Delors è sempre stato molto preoccupato dai populismi e dalla deriva antieuropea, ma è sempre stato impegnato a capire gli elettori e chi votava i sovranisti. Tanto che la sintesi che ha spesso usato è che l’Europa deve essere una federazione di Stati nazione. Può sembrare una contraddizione, invece è una grandissima verità: gli Stati nazione vengono da millenni di storia, l’Europa completa questa storia e la unisce, senza cancellare le identità. È un pensiero molto moderno, col quale riuscire a convincere i popoli di oggi a fare un’integrazione europea».
Alle soglie delle Europee, però, il futuro dell’Ue appare in bilico. Come si fronteggia questo rischio?
«Saranno elezioni molto importanti anche perché si svolgono nello stesso anno delle elezioni americane. Ed è allora ancora più importante guardare alla lezione di Delors, l’uomo dei grandi progetti di lungo respiro, del mercato unico, delle politiche di coesione, dell’Erasmus e dell’Euro. Nell’Europa degli ultimi tempi anche le azioni positive sono state reazioni a momenti di crisi improvvisa, come il Covid e l’invasione russa dell’Ucraina: è il momento di recuperare progetti decennali, di lungo respiro».
E l’Italia? Cosa pensava Delors delle spinte antieuropeiste del governo della destra di Meloni?
«Aveva grande passione per l’Italia e amicizia per i grandi europeisti italiani, Mattarella, Napolitano, Prodi, Draghi, Monti. E Padoa Schioppa, presidente prima di me dell’Istituto Delors. Ora era preoccupato, ma ha sempre pensato che l’Italia ce l’avrebbe fatta. Pensava in positivo: di sé diceva je suis activiste, né ottimista, né pessimista. Senza l’Italia, era convinto, non c’è l’Europa».
***
www.adnkronos.com
27 dicembre 2023
Morte Delors, Draghi:
“Sua visione e pragmatismo ci guidino in sfide
che abbiamo davanti”
La nota all’Adnkronos: “Padre dell’Europa moderna, ha mostrato a generazioni di europei come si possano combinare idealismo e concretezza per costruire un’Europa più forte”
“Jacques Delors è stato il padre dell’Europa moderna. Dal Trattato di Maastricht agli Accordi di Schengen, ha presieduto a cambiamenti epocali che ancora oggi definiscono l’Unione Europea, il suo potenziale, le sue aspirazioni”. Così l’ex premier ed ex presidente della Bce, Mario Draghi, commenta con una nota all’Adnkronos, la scomparsa dell’economista francese Jaques Delors.
“Delors – prosegue Draghi- ha mostrato a generazioni di europei come si possano combinare idealismo e concretezza per costruire un’Europa più forte, più prospera, più giusta. Questo metodo, fatto di visione e pragmatismo, deve continuare a guidarci nelle sfide sempre più complesse che abbiamo davanti. Ai suoi cari, le mie più sentite condoglianze”.
Altri tempi (purtroppo), altra tempra e capacità di disegnare una fratellanza reale, senza gelosie e protezionismo. Guardate chi abbiamo (purtroppo) oggi nei ruoli chiave della U.E. e chi si permette di alzare la voce…