Omelie 2023 di don Giorgio: SACRA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE

29 gennaio 2023: SACRA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE
Sir 7,27-30.32-36; Col 3,12-21; Lc 2,22-33
La festa della Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe si è sviluppata a partire dal XIX secolo in Canada e poi in tutta la Chiesa a partire dal 1920.
Mentre nel rito romano viene celebrata la domenica successiva al Natale, nel rito ambrosiano la ricorrenza viene celebrata nell’ultima domenica di gennaio, quindi nella terza o quarta domenica successiva all’Epifania.
Anche i brani cambiano a seconda dell’anno liturgico. Nell’anno A come brano del Vangelo leggiamo il brano di oggi, nell’anno B l’episodio di Gesù dodicenne al tempio e nell’anno C
la fuga della Sacra famiglia in Egitto e il suo ritorno a Nazaret.
Solitamente faccio una premessa. Nella prima orazione leggiamo: “Signore, nella Santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita…”. Mi chiedo: come si può dire, magari con tutte le buone intenzioni di questo mondo, che la Famiglia di Nazaret è un modello da imitare? Pensate: un figlio unico del tutto eccezionale, una madre che lo ha concepito in modo del tutto verginale (per opera dello Spirito santo), un padre adottivo.
Cercherò di fare qualche riflessione su ognuno dei tre brani della Messa.
Primo brano. A parte il quarto comandamento mosaico, che sempre, ancora oggi, dovremmo ricordare: “onorare il padre e la madre”, del resto osservato anche da Gesù: “venne a Nazaret e stava loro sottomesso”, lo sottolinea l’evangelista Luca, dopo l’episodio di Gesù dodicenne che, all’insaputa di Maria e di Giuseppe, si era fermato nel tempio ad ascoltare i maestri facendo loro anche delle domande “intelligenti”, ripeto, a parte il quarto comandamento, forse i figli si dimenticano facilmente delle “doglie” della loro madre e, allargando il discorso anche al padre, si dimenticano dei loro genitori, e invece dovrebbero chiedersi: che cosa dare in cambio di quanto essi hanno dato?
Forse non si tratta di un benché doveroso ringraziamento per i propri genitori, ma del dovere di tener conto dei sacrifici fatti per far crescere un figlio. Qualcuno dirà: non tutti i genitori sono dei modelli di vita, e forse hanno speso per i figli le peggiori energie, o hanno educato nel peggiore dei modi. Diciamolo schiettamente: oggi ci si chiede come i genitori educhino i loro figli. Un argomento aperto e complesso da trattare. E non sempre sono da giustificare certe ribellioni dei figli. Ma mi pongo anche la domanda: la ruota gira, i figli di oggi domani che genitori diventeranno? Una domanda che riguarda un po’ tutti i campi, da quello ecclesiastico a quello politico. Il vuoto genera vuoto, il mostro genera mostri.
Secondo brano. Non vorrei soffermarmi sulla parte finale, tanto contestata, ma in ogni caso sarebbero da meditare le parole di San Paolo: “Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino”. Che cosa intende l’Apostolo per esasperazione? Forse sarebbero troppi gli atteggiamenti sbagliati dei genitori nei riguardi dei figli, ma uno vorrei evidenziarlo, ed è quel metodo educativo che non tiene conto della cosa essenziale, già contenuta nella parola “educazione”, dal verbo latino “ex ducere”, ovvero portar fuori.
I genitori, come del resto gli educatori in genere, tendono a mettere nei loro figli (nella testa e nel loro essere) ciò che i genitori vogliono, ovvero desideri sbagliati, modi di vedere la vita troppo personali, quindi un avvenire già frustrato. I genitori prendono i figli come dei contenitori da riempire, soffocando così ciò che ogni essere umano è dentro, ovvero quella realtà profonda che io chiamo divina.
I genitori dovrebbero preoccuparsi di far capire al figlio la sua ricchezza interiore, e di aiutarlo a farla crescere, quindi a portarla fuori: ex ducere. Si tende invece da parte dei genitori a immettere nel figlio il loro mondo, o il loro modo di vedere le cose, le loro aspirazioni con quelle stupide allucinanti parole: “Tu devi riuscire là dove io ho fallito oppure tu devi essere erede dei miei beni o della mia fortuna!”.
Dunque, educare è ex ducere, aiutare il figlio a realizzare quel mondo interiore che è di ciascuno, e che non è di nessun altro, all’infuori di Dio. Per il fatto che i genitori hanno dato la vita al figlio, ciò non giustifica un diritto di possesso sul figlio.
Forse oggi costa poco concepire un figlio, a parte la gestazione di 9 mesi nel grembo della madre e il suo parto, costa poco relativamente al dovere educativo. Ovvero, costa di meno concepire carnalmente un figlio che educarlo nel senso che ho appena spiegato.
Ora vorrei riallacciarmi al terzo brano, perché la frase finale è tutta da chiarire: “Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui (del figlio)”.
A me piace sempre andare all’origine di una parola o di un verbo, sapendo poi che il testo originale è scritto in greco, non sempre tradotto in italiano in modo fedele. Luca usa il verbo θαυμάζοντες, da θαυμάζω.
Gli studiosi dicono che θαυμάζω (thaumàzo) è un verbo greco che racchiude meglio delle altre il significato stretto della parola meraviglia. Ma per i greci questo sentimento di stupore o di sorpresa si prova davanti allo sconosciuto, all’ignoto, al mistero, a tutto ciò che è bello ma anche brutto, a ciò che provoca piacere ma anche dolore o paura.
Il “thauma” è la percezione dell’orrore di esistere e dell’inquietudine faticosa di trovare la propria strada e il proprio orizzonte di senso. Affrontare tutto questo dolore è il primo passo per accettare la meraviglia, ma molti preferiscono restare nel guscio del già noto, perché convinti di essere protetti in questo. Per sapere di essersi persi bisogna avere la sensazione che da qualche parte ci sia un luogo da raggiungere, che dentro si muove un sogno o un desiderio di meraviglia e che questo è racchiuso nella strada che facciamo per raggiungerlo.
Paradossalmente, ci possiamo meravigliare che i genitori di Gesù si siano meravigliati delle parole di Simeone su Gesù. Forse possiamo comprendere la meraviglia di Giuseppe; ma a Maria di Nazaret il messaggero speciale di Dio, Gabriele, non aveva forse già anticipato qualcosa sul Figlio di Dio, che sarebbe nato dopo il concepimento per opera dello Spirito. Se ci meravigliiamo della meraviglia di Maria forse non abbiamo ancora capito che cos’è in realtà la meraviglia di fronte al Mistero divino: un Mistero che è per natura La Meraviglia, ovvero La Sorpresa infinita. Guai se cessassimo di meravigliarci!
Maria ha vissuto tutta la sua vita di madre, meravigliandosi e meditando ogni istante sul Mistero del Figlio, anche nei momenti più dolorosi: pensiamo alla passione e alla morte di Gesù.
La Meraviglia è il costante atteggiamento interiore del credente, che non vive solo di riti, che possono anche stupirci per la loro bellezza estetica (ci vuole anche questa, soprattutto in un mondo che sa tanto di brutto): il credente vive di quella Fede purissima che ci mette vivere costantemente a contatto con la Sorpresa divina, dunque sempre piena di Meraviglie che suscitano meraviglie.

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