Dal Tribunale di Lecco:
una sentenza semplicemente “vergognosa”
di don Giorgio De Capitani
Commentare una sentenza come quella emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Lecco, signora Nora Lisa Passoni, credo che sia facile da parte di chi non ha partecipato al processo in prima persona. Dall’esterno, il commento generale è stato: si è trattato di un sentenza politica.
Ho letto e ho sentito commenti veramente negativi sulla sentenza. Ci poteva anche stare una condanna, finché siamo nelle mani di una legislazione italiana, vittima di una ottusità veramente paradossale nei riguardi della libertà di opinione. Ma calcare la mano chiedendo come risarcimento cifre veramente esagerate rimane del tutto incomprensibile, tanto più che ci si aspettava almeno l’assoluzione per uno dei quattro capi di accusa. No! Si è voluto colpire e basta, per delle parole ritenute volgari e offensive nei confronti di un politico che meriterebbe forse ben più di quattro parole volgari.
Fin qui, il giudizio di gente anche competente in materia di giustizia e che comunque ha la testa sulle spalle.
Si chiederà: quale è stata la mia reazione?
Non poteva che essere di grande delusione per una sentenza che riterrei “iniqua” per diversi e differenti motivi.
Non entro nel merito se il giudice sia stato o no condizionato dal potente querelante. Anche i dubbi potrebbero essere messi sotto processo. Una cosa è sicura: il giudice, giovane, non poteva certo tirarsi la zappa sui piedi, ovvero rovinarsi la carriera, assolvendomi. L’ombra di Salvini ha pesato sul processo, come una minaccia.
Il giudice Nora Lisa Passoni poteva benissimo assolvermi, ma non l’ha fatto. Perché? Per di più mi ha condannato pesantemente. Perché? Poteva anche chiedermi se avessi deciso o no di accettare la proposta di Salvini di chiedere scusa. No! Ha fatto finta di nulla, perché voleva emettere la sentenza, una dura sentenza nei miei riguardi. Se avessi accettato la proposta di Salvini, per il Giudice sarebbe stato uno smacco. Voleva condannarmi, e l’ha fatto, facendo anche un buon servizio alla “nobile” causa di Salvini!
Sarei tentato di soffermarmi sulla prima Udienza, con la presenza dello stesso Salvini, sentito come testimone. Si poteva immaginarselo: è stata uno show degno dei migliori telefilm americani. Anzi, la realtà ha superato la fantasia.
Ero a due passi, e ho subìto una continua repulsione come essere davanti a un fantoccio disgustoso. Ma non era comunque “lui”, lo spaccone: ho notato sulla sua faccia un certo sconcerto. Era la prima volta che Salvini onorava il Tribunale della sua presenza fisica. Era come umiliato per questo, lui abituato a frequentare ben altri ambienti. Certo, ridacchiava (senza che il giudice aprisse bocca!) davanti ai suoi fan lecchesi. Era un ridacchiare da offeso, non da me, ma dal fatto di essere in un’aula di Tribunale.
Quello che ha detto sarà oggetto di analisi da parte dei miei avvocati. Qualcosa gli è sfuggito che potrebbe comprometterlo davanti alla legge.
Farsesca poi è stata la sparata mediatica della sua richiesta di scuse da parte mia: una sceneggiata da metterlo in ridicolo, supposto che sia rimasto in lui ancora qualcosa di coscienziosamente serio.
Non poteva fare la proposta subito, fin dall’inizio, diversi anni fa, prima di dare inizio al processo, che lui, con le sue assenze, rimandava e rimandava?
Tutto fa parte di un gioco mediatico di uno che vive sul consenso di idioti, abituati a frequentare gratis i circoli equestri. Gratis per modo di dire, perché arriverà il momento in cui tutta la marmaglia la pagherà caramente davanti al giudizio della Storia.
Sì, tutto fa parte di un gioco, ma il giocattolo può frantumarsi da un momento all’altro. E lo sarà al più presto. Men che te lo aspetti, cadrai trafitto dalla tua stessa insensatezza. Vedo già una grande valle di ossa inaridite!
Fuori dall’aula del Tribunale, Salvini, prima e dopo l’udienza, ha detto un mucchio di cazzate, che fanno parte oramai del suo lungo repertorio.
Ma, sinceramente, non mi hanno fatto alcun effetto. Ai buffoni lasciamo fare la loro parte, tranne che forse preferirei andare a teatro, per assistere a qualche bella commedia.
Quella di Salvini era la solita solfa: un prete non può dire certe cose, come se fosse un aggravante davanti alla legge italiana che un prete dica “pezzo di merda” a un politico. Se qualcuno mi dovrà punire, sarà il Diritto Canonico ecclesiastico Si comportava con più saggezza Roberto Castelli che, ai tempi in cui ero nella parrocchia di Sant’Ambrogio in Monte di Rovagnate, scriveva spesso al cardinale Dionigi Tettamanzi perché venissi rimproverato e anche punito. Comunione e Liberazione, attaccata da me anche violentemente (con articoli e video), aveva tentato, ma la Curia milanese si era opposta, che venissi giudicato a Roma davanti a un tribunale ciellino. Sono un prete; se mi comporto male da prete, dovrò essere giudicato dai miei superiori ecclesiastici. Se commetto un reato davanti alla legge italiana, allora sì che la legge mi punirà, ma non in quanto prete.
Si sa, sul fatto che sono un prete tutti giocano volentieri tentando di aggravare la mia responsabilità. Sono cittadino italiano come tutti, e in quanto cittadino contesto una politica che non va. Sarò giudicato in quanto cittadino, lasciando fuori il fatto che sono un prete.
Chissà perché quando un prete o addirittura un cardinale difende Salvini, allora sì che sono bravi. Salvini non dice loro: state in sacrestia!
Dico di più. Proprio perché prete dovrei combattere di più quell’ideologa leghista che violenta il Vangelo. E qui sì che l’aggravante ci sarebbe, se tacessi, davanti al tribunale di Cristo! Uno che mescola, di proposito, con arte diabolica, sacro e profano, screditando il sacro, e di per sé anche il profano, va condannato, e duramente, proprio perché si è preti.
La storiella che il prete non dovrebbe fare politica non sta più in piedi, ma non stava in piedi neppure una volta, quando i preti avevano più coraggio nel buttarsi nella mischia politica.
Un prete da zittire, e Salvini mi ha querelato. Certe querele, nel campo politico (e le scomuniche nel campo religioso) non vere minacce: sono promosse per far tacere i dissidenti. Ma le querele rivelano la debolezza di un uomo politico. Un politico, in quanto personaggio pubblico, dovrebbe essere disposto a tutto: anche agli insulti, alle offese. Nel mio piccolo, anch’io sono personaggio pubblico, e non ho mai querelato nessuno, nonostante le migliaia di offese e calunnie che ricevo.
Un politico che querela per far zittire un dissidente è un poveraccio che manifesta un vuoto d’essere.
Puoi querelarmi mille volte, farmi condannare mille volte, ma nessuno mi fermerà. Già te lo anticipo: Salvini, con me non potrai cantare l’Alleluia finale!
Io credo molto nella Legge della Storia, che ha un suo tribunale che non è quello di Lecco o di tanti altri. La Storia non perdona. La Storia si vendica. La stessa Madonna nel Magnificat l’ha detto: i potenti saranno buttati giù dai troni. È vero che via uno ne arriva un altro: via Salvini arriverà un altro populista. È il popolo da convertire, ma questo è un altro discorso, che si allarga a responsabilità che vanno ben al di là del popolino. Penso alla mia Chiesa che, purtroppo, lascia vuoti paurosi non solo nel campo educativo e pastorale, ma soprattutto nel campo della fede, vista ancora nei suoi aspetti puramente folcloristici.
Che cosa dire del processo?
Secondo me è stato una presa in giro del buon senso comune, intendendo per buon senso comune quel rispetto per la libertà di opinione (incluse le parolacce) che purtroppo nella legislazione italiana è ancora imbavagliata.
Il processo mi è sembrato qualcosa di pre-confezionato, ovvero con la sentenza già nella testa del Giudice ancor prima che iniziasse.
Certamente, l’apparato era necessario, ma è stato solo qualcosa di esteriore. È stato solo la cornice del quadro.
Potevi anche tirar giù i santi del cielo, tirar fuori dal passato i grandi Geni del mondo, ma tutto era giù scritto nella mente del Giudice.
Oramai l’equazione è intoccabile: parolaccia=offesa della persona=condanna. Una equazione paurosamente iniqua. È un circolo vizioso, da cui non se ne esce.
A che servirebbe far capire che c’è una differenza tra offendere la persona in quanto tale e contestare il suo comportamento? No, non servirebbe a nulla.
I tribunali e i giudici rimangono bloccati ad una demenziale legge che stabilisce come dogma l’equazione: contestare il comportamento uguale a offendere la persona. Ma come lo puoi sostenere, quando lo stesso buon senso dice che un conto è la persona e un conto è il suo comportamento?
Certo, il comportamento è di una persona, che viene perciò coinvolta nelle critiche o nelle contestazioni. Contestando il comportamento, contesto indirettamente anche la persona. Ma stiamo attenti a non confondere le cose. La mia critica non riguarda di per sé la persona, ma il suo ruolo, il suo comportamento.
Che cos’è la persona? Se non ho un’idea chiara della identità della persona, come posso parlare di offesa alla persona? Sulla persona ci sono concezioni filosofiche diverse e divergenti, mentre il comportamento è concreto, valutabile, giudicabile, anche se non sempre è evidente obiettivamente la sua colpevolezza. Ma si deve lasciare almeno il diritto di opinione.
Nel campo politico (e anche in quello ecclesiale) ritengo che sia lecito, anzi doveroso, esprimere le proprie opinioni, tanto più se quel politico ha grandi responsabilità di governo. Ho il diritto, anzi il dovere, di combatterlo, quando lo ritenessi opportuno, con qualsiasi mezzo non violento, anche usando il linguaggio che si ritiene il più efficace, senza dovergli dare una valutazione moralistica.
Sto lottando per la libertà di opinione, ma anche per la libertà del linguaggio, da non valutare nella sua più o meno volgarità, facendone quasi una gerarchia legalizzata con continue sentenze della Cassazione, ma nella sua consistenza di valutazione in rapporto al collegamento con un fatto reale.
Certo, non posso dire: “Mi sei antipatico, perciò sei un pezzo di merda!”, ma ti dirò che sei un “pezzo di merda” se tu alzassi il dito medio contro qualcuno oppure chiudessi i porti oppure tu fossi un assenteista.
Non penso di essere mai caduto nel ridicolo dicendo a qualcuno: “Hai una faccia che non mi piace, perciò sei uno stronzo”. Ho sempre legato le mie affermazioni, anche non del tutto ortodosse, a dei fatti concreti. Non ho mai lanciato invettive genericamente.
Ora, sentir dire che io odio Matteo Salvini, nella sua persona, ovvero in quanto Salvini, è del tutto gratuito, falso e ridicolo. Che l’avvocato di Salvini abbia fatto uno sproloquio falsificando la realtà, fa parte del suo “mestiere” di avvocato (è pagato per questo). La sua arringa è stata anche divertente, fondata talora su pregiudizi vergognosi.
Mentre l’avvocato di Salvini sproloquiava, snocciolando un mucchio di falsità e di pregiudizi, pensavo: speriamo che il Giudice valuti bene la consistenza delle sue parole! Ma al Giudice interessavano poco l’arringa dell’avvocato di Salvini, le arringhe dei miei avvocati e la mia spontanea dichiarazione finale. Aveva già in mente la sentenza da emettere!
Ripeto, il Processo è stato una cornice esteriore, inutile ai fini della sentenza. La sentenza era già stata emessa prima che ci fossero le Udienze.
Quali le mie decisioni?
Senz’altro, non mi lascerò abbattere. Dopo i primi momenti di incazzature varie, che mi hanno “spinto (istintivamente) a chiudere per sempre le mie tre pagine facebook (occasione solo di vergognosi insulti da parte dei soliti barbari leghisti), ho eliminato da Youtube tutti i video (più di mille), tranne le omelie e pochi altri (quelli riguardanti le serate culturali). Questo non vuol dire che non ne farò più. Ne farò tanti altri, con un altro stile.
Ho deciso di usare una nuova strategia, per colpire il Bisonte e la sua mandria.
Dire che userò più intelligenza che istintività sarebbe come dire che d’improvviso l’ideologia leghista sia diventata filosofia o mistica.
Dico solo che cambierò tattica. Sul linguaggio vedrò. Sto lottando anche per la libertà di linguaggio, tanto più se è quello popolare o volgare (da vulnus, popolo), che oramai fa parte delle nostre comunicazioni sociali.
Ma colpire il Bisonte e la sua mandria non mi sarà ancora facile: non ci può essere alcun dialogo con un ammasso di “carne” e di istinti bestiali.
Inserire anche un semplice ragionamento presuppone che nell’altro ci sia “disponibilità” o, meglio, “capacità intellettiva” di accettarlo, il che attualmente per il Bisonte e la sua mandria lo riterrei ancora del tutto impossibile.
Credo che la mia parte di dare colpi sempre più forti potrà risvegliare, spero, quello Spirito interiore, oramai messo a riposo dalla stessa Chiesa: poi, farà lui il resto!
Salvini e la massa di idioti che lo seguono saranno spazzati via come fuscelli inconsistenti.
So anche di non essere solo: c’è gente che crede nella mia lotta, e ciò mi dà ulteriore fiducia.
In questi miei anni che mi rimarranno darò il massimo delle mie “migliori” energie, fregandomene degli insulti dei barbari leghisti e delle stesse “sentenze di condanna” di Tribunali con la testa fasciata.
Infine, vorrei dire a Salvini: “Ride bene chi ride ultimo!”.
Ridi, ridi, pagliaccio!
Le tue buffonate ti lasceranno solo in una platea di gentaglia, che diventerà una massa di vermi pronti a roderti nel corpo.
Ricordo molto bene quel fare da sbruffone, prima di entrare in aula nel Tribunale di Lecco e anche dopo. Circondato dai suoi, Matteo Salvini era sicuro e sapeva di vincere e allo stesso tempo era impaziente di far fuori questa storia.
Ho ascoltato bene il video di don Giorgio e posso confermare che è tutto vero. Ho voluto essere presente e ricordo anche di quanta amarezza abbia provato nell’uscire poi da quell’aula in un giorno di novembre piovoso e grigio quasi come se anche il cielo stendesse un velo pietoso.
Il giudice aveva già deciso e è sembrato di assistere a un teatrino costruito ad arte. Era prevedibile una tale sentenza e penso che don Giorgio già se l’aspettasse ma, nella sua umiltà e onestà, credeva ci fosse ancora un briciolo di giustizia terrena. Purtroppo no!
Si è assistito a una sentenza a dir poco vergognosa di un tribunale che si è chinato di fronte a chi di onesto non ha proprio nulla, neanche un pelo del suo braccio.
Queste persone aizzano l’odio e questo non è forse un reato più di una parolaccia? L’Italia è un paese paradossale e ipocrita perché chi ammazza è santo e chi è santo è un assassino.
I casi in cui manca la giustizia terrena fioriscono sotto i nostri occhi e passano gli anni prima che la storia faccia il suo corso. È giusto??!
Devi essere potente, devi avere i soldi, devi essere qualcuno, altrimenti ti schiacciano. Questa è la “bella” mentalità che si è creata nell’ultimo trentennio a questa parte e spero tanto che ci sia presto una fine come che ci sia giustizia per don Giorgio, unico a lottare di fronte a qualsiasi potere e mai scappando di fronte alla legge come invece fanno quelli disonesti. Non si presentano mai, vanno in ospedale e così vanno avanti prendendoci in giro tutti!
Mi colpisce il fatto che proprio perché sacerdote don Giorgio non ammetta che venga diffamato la parola di Cristo e questo credo gli faccia ancora più onore. Ma gli altri dove sono?!?
È proprio vero che di don Giorgio ce ne è uno, anche se ce ne vorrebbero molti ma molti di più.
Le parolacce non sono alla persona ma al comportamento, don Giorgio non dice parolacce se non solo quando vede certe ingiustizie di fronte alle quali usa lo stesso loro linguaggio.
Ride bene chi ride ultimo… davvero! E che la cattiveria insita in queste persone le corroda!
Grazie di esserci stato quel giorno, accanto al nostro Don.