Omelie 2022 di don Giorgio: DOPO L’ASCENSIONE

29 maggio 2022: DOPO L’ASCENSIONE
At 7,48-57; Ef 1,17-23; Gv 17,1b.20-26
Ci sono brani della Messa, come quelli di questa domenica, che a prima vista, diciamo alla prima lettura, suscitano già qualcosa di particolarmente interessante, coinvolgente, anche provocante.
C’è già qualcosa che fa dire: attenzione, c’è ad esempio un parola che lega i tre brani, e che merita perciò una particolare considerazione.
La parola che lega i tre brani della Messa di oggi è “gloria”. Nel primo brano, troviamo che Stefano, “pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Nel brano di san Paolo, si parla di “Padre della gloria”, di “tesoro di gloria”. Nel terzo brano, Gesù rivolgendosi al Padre dice: “E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa”. E poi aggiunge: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo”.
Ed ecco subito la domanda: che cosa si intende per “gloria”, tanto più che la parola “gloria” ricorre nel rituale della Messa: basterebbe pensare all’inno introduttivo: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”, parole prese dal Vangelo di Luca, e basterebbe pensare alle parole che accompagnano il segno della croce.
Se prendiamo un qualsiasi dizionario troviamo: “Gloria, ovvero altissimo onore, fama universale che si acquista per grandi qualità e capacità, opere di grande valore, meriti eccezionali, ecc. ecc.”.
Nell’antica lingua greca a indicare gloria o fama troviamo il termina “klèos”: la parola “klèos” è legata ad un’altra, “kluo”, che significa “io ascolto”. Perciò, sintetizzando possiamo dire che per gloria o fama si intende ciò che gli altri sentono dire di te. Un eroe greco otteneva dunque il kleos, fama o gloria, solo attraverso gesta gloriose, o addirittura con la sua stessa morte.
Il termine ebraico, presente negli scritti dell’Antico Testamento, che esprime il concetto di gloria è “kabod”, un termine che implica l’idea di peso: dunque si tratta di qualcosa di «pesante, importante, rilevante», degno perciò di rispetto e onore.
Da notare subito che in qualsiasi caso si tratta di qualcosa che si vede, si nota, non riguarda dunque l’essere, ma ciò che si manifesta, e allora uno diventa famoso, glorioso, per le sue ricchezze, per la sua posizione sociale, per il suo potere, per la sua autorità, per la sua bellezza o prestanza fisica.
Possiamo allora dire che nell’Antico Testamento l’espressione “la gloria di Dio” designa Dio non nel suo essere o essenza divina, ma in quanto si rivela nella sua maestà, nella sua potenza. Quindi la gloria divina ha carattere di manifestazione. L’Antico Testamento conosce due tipi di manifestazioni della “gloria divina”: i grandi atti di Dio; le sue apparizioni; ovvero la gloria divina si manifesta attraverso i miracoli o le teofanie.
Possiamo anche aggiungere che la parola “gloria” in ebraico di solito appare come shekhiná, e, oltre a “gloria”, significa “presenza o splendore di Dio”. Deriva da un verbo ebraico che significa “abitare” o “risiedere”, in modo che “gloria” possa anche essere identificata come “dimora di Dio”.
Precisati questi significati, sarei anzitutto tentato di parlare della gloria umana e subito mi vengono in mente le parole latine “sic transit gloria mundi”, così passa la gloria del mondo, che possiamo anche tradurre: “come sono effimere le cose del mondo”.
L’espressione deriva da un passo della “Imitazione di Cristo” (è, dopo la Bibbia, il testo religioso più diffuso di tutta la letteratura cristiana occidentale; il testo è in lingua latina e ne è sconosciuto l’autore; scritto durante il periodo medievale). In questo libro troviamo queste parole: “O quam cito transit gloria mundi” (“Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo”). Analogo il senso della locuzione “Mundus transit et concupiscentia eius” (“Il mondo passa e così la sua concupiscenza”) che si trova nella prima lettera di Giovanni (2,17).
Curiosità. In ambito ecclesiastico, le parole “sic transit gloria mundi” venivano ripetute tre volte dal cerimoniere al papa subito dopo la sua elezione e anche dal sacerdote mentre bruciava il pallone ovattato durante l’anniversario della festa di un martire.
Sarei tentato di insistere sulla transitorietà della gloria terrena. Quando penso ancora al delirio di onnipotenza di qualche potente di oggi penso all’impero romano che è crollato, e così via, penso anche ai piccoli potenti dei nostri paesi brianzoli del passato: oggi dove sono? Tutto crollato. Ma la storia non insegna nulla, eppure la prima cosa che dovrebbe insegnare è proprio questa: tutto passa, sic transit gloria mundi.
Sì, tutto passa, ma non l’Eterno presente. Ed è qui, nell’Eterno presente, che affonda le sue radici il nostro essere interiore.
Che cos’è allora la gloria di Dio? Non sono tanto le manifestazioni diciamo carnali di Dio (miracoli, teofanie, apparizioni ecc. ecc.), quanto la sua essenza più pura, ed è nel nostro essere più puro che noi possiamo contemplare la gloria divina.
Il diacono Stefano, pieno di Spirito santo, mentre viene colpito dalla sassaiola dei capi giudei, vede i cieli aperti, e così contempla la gloria divina.
Solo quando il cielo si apre, il sole illumina la terra. Ma il cielo si apre quando i nostri occhi spirituali, gli occhi dello spirito, vedono al di là delle nubi.
Gloria di Dio è Luce, Intelletto, Spirito. Tutto all’opposto di ciò che è la gloria umana, che è carnale, tenebra, imbecillità.
“Sic transit gloria mundi”, mentre la gloria di Dio è Eterna, perché lo spirito è eterno, mentre ciò che è carne passa, si consuma, deperisce, finisce nella tomba.
Sappiamo quanto S. Ambrogio fosse duro contro i ricchi e i prepotenti. In uno scritto invitava a scoperchiare le loro tombe per vedere il loro corpo putrefatto o in polvere.
Siamo ancora oggi preoccupati di onorare il corpo dei defunti visitando le loro tombe o, ancor peggio, di venerare il cadavere dei santi.
Dio è Spirito, e va onorato come Spirito e Verità. Per fortuna il cadavere di Cristo è sparito nel nulla, ma Cristo, mentre moriva sulla croce, ci ha donato il suo Spirito che è eterno.
Da vivi onoriamo un corpo fino a idolatrarlo, e tutto passa, e ci dimentichiamo che la vera gloria è il nostro essere interiore, dove la gloria di Dio rifulge eternamente.

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