da www.micromega.net
Papa Francesco e l’ipocrisia della Chiesa
in fatto di omosessualità
Le recenti parole di papa Francesco sull’omosessualità in eccesso nei seminari confermano l’ipocrisia della Chiesa: omofoba a parole, omofila nei fatti. Il Vaticano è infatti omofobo solo quando si parla di diritti mentre il suo atteggiamento cambia radicalmente nei confronti degli omosessuali propensi a indossare l’abito talare.
Marco Marzano 28 Maggio 2024
Secondo papa Francesco, “c’è già troppa frociaggine nei seminari” (sono parole sue) per pensare che la Chiesa possa consentire ai ragazzi omosessuali di entrare ufficialmente nei ranghi del clero. La frase è stata pronunciata dinanzi ai membri della Cei, ai vescovi italiani riuniti in Assemblea.
Dunque apprendiamo che colui che viene presentato dalla maggior parte della stampa come il più grande amico degli omosessuali all’interno della Chiesa non solo si oppone con vigore al riconoscimento ai gay (anche a quelli “casti”, che si astengono cioè da ogni attività sessuale) di eguali diritti nell’accesso alla professione clericale (e questa non è una novità) ma si esprime con un linguaggio derogatorio e omofobo che non usa più nemmeno Vannacci e che sarebbe impensabile in qualunque luogo civile del mondo. Se, faccio un esempio, la usasse in una riunione il mio direttore di dipartimento ne chiederemmo tutti insieme, colleghe e colleghi, l’immediata dimissione.
Nel merito, la frase ribadisce un principio noto, e cioè che la Chiesa Cattolica, unica ormai tra tutte le organizzazioni del mondo occidentale, discrimina soprattutto due categorie di persone: le donne e i gay. Ad entrambi i gruppi la Chiesa impedisce formalmente l’accesso alle posizioni apicali a qualsiasi livello, dalla parrocchia di periferia sino a San Pietro. Il primo gruppo, le donne, viene blandito con discorsi paternalistici sul genio femminile che si manifesterebbe nella cura e nel servizio e non certo nel governo; il secondo viene condannato senza sfumature nei testi ufficiali e poi subdolamente blandito con concessioni umilianti come quella di ricevere una benedizione non pianificata, che non duri più di qualche secondo, rimanendo in piedi, indossando un abito ordinario e nel corso di un pellegrinaggio. In altri termini, le donne hanno diritto a salire sull’altare solo vestite da spose o al massimo per leggere un brano della Bibbia, i gay nemmeno quello. Si tollera che sopravvivano, ma l’importante è che stiano lontani dagli ambienti ecclesiastici.
Così funziona sulla carta. Il punto è però che mentre l’esclusione delle donne è reale e indiscutibile (solo pochi giorni fa Francesco ha negato ogni possibilità di concedere loro l’accesso anche al solo grado inferiore del ministero, il diaconato) quella dei gay è fittizia, falsa, una colossale bugia. Da questo punto di vista e sul piano meramente fattuale il papa non ha infatti mica torto: ci sono tantissimi gay nei ranghi del clero e dell’episcopato. Ce lo ha raccontato di recente Frederic Martel nella sua documentata inchiesta Sodoma e l’ho riportato anch’io nel mio libro La casta dei casti. I preti, il sesso, l’amore (Bompiani 2021), risultato di una ricerca sociologica durata un decennio e dedicata in larga parte alla vita sessuale nei seminari.
La Chiesa che fa il volto feroce con i “froci” (per usare l’orrendo linguaggio del papa), che pretende di tenerli lontani dai seminari è quindi in realtà un luogo molto accogliente per tantissimi gay, che possono, proprio nei seminari e a patto che lo facciano con discrezione, vivere una serena vita sessuale e affettiva, al riparo dai parenti che, se fossero rimasti fuori dal seminario, chiederebbero loro con insistenza quando si trovano una brava ragazza e dall’omofobia ancora diffusa in alcuni luoghi d’Italia e d’Europa. Per molti di costoro, come emerge dalle tante storie contenute ne “la casta dei casti”, il seminario è addirittura una palestra di omosessualità, un luogo tutto maschile dove scoprire e vivere appieno, assieme a una popolazione quasi totalmente gay, il proprio orientamento e le proprie passioni.
Un elemento essenziale di questa convivenza tra omofobia di diritto e omofilia di fatto è ovviamente rappresentato dal permanere del segreto, cioè dalla totale proibizione fatta a ogni sacerdote di rivelare quanto la Chiesa sia in verità amichevole verso quei ragazzi gay che decidono di non fare coming out, di non venire allo scoperto indossando l’abito clericale. La menzogna serve soprattutto a impedire al popolo di comprendere che la Chiesa è strutturalmente ipocrita, che predica una cosa e ne fa un’altra e che l’avversione all’omosessualità riguarda solo il piano dei diritti civili e delle battaglie per il riconoscimento: la Chiesa non ha assolutamente niente contro i gay a patto che non si vogliano sposare, non partecipino al gay pride e soprattutto che si facciano preti, che indossino la tonaca.
Le parole del papa vanno dunque reinterpretate in questa luce. La preoccupazione del pontefice riguarda nient’altro che la reputazione della Chiesa e la sua capacità di mantenere in vita il legame tra omofobia e omofilia, che tra le altre cose, sembra rappresentare l’unica via per reclutare nuovo clero senza rinunciare al celibato obbligatorio.
Questo sembra essere il convincimento del papa che sarà certamente condiviso da molti ai vertici della Chiesa. Non da tutti però se c’è stato almeno un vescovo, forse uno dei tanti presuli omosessuali che hanno partecipato a quell’assemblea o forse solo uno indignato da quelle parole, che ha fatto uscire la notizia, che ha rotto il clima di omertà da postribolo di quart’ordine, l’unico in cui quella parolaccia adoperata dal papa può ancora oggi essere impiegata. È presto per dire che si tratti di un’incrinatura che farà saltare l’edificio ma fiduciosamente stiamo a vedere.
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www.huffingtonpost.it
28 Maggio 2024
Vaticano e gay.
“Le parole del Papa denotano incapacità
di affrontare il problema”
di Federica Olivo
Vincenzo Lavenia (Alma Mater) commenta su Huffpost le parole di Francesco sulla “frociaggine” nei seminari: “Chi le ha fatte trapelare voleva azzoppare il Pontefice. L’omofobia nella Chiesa nasce con Sant’Agostino, da secoli è così. Almeno Ratzinger distingueva fra peccato e potenziale peccatore”
Un’uscita “improvvida, populista e volgare” ma, al netto dello slang più che discutibile, non del tutto inattesa. E, soprattutto, coerente con la dottrina della Chiesa. Vincenzo Lavenia, professore ordinario di Storia moderna all’Alma Mater di Bologna, autore di numerose pubblicazioni sulla storia della Chiesa, dà questa lettura alle parole usate a porte chiuse dal Papa e trapelate nelle scorse ore. Bergoglio, secondo quanto hanno riportato più fonti ai vaticanisti, avrebbe dichiarato che non bisogna ammettere seminaristi omosessuali perché “già c’è troppa frociaggine”.
Professore, Bergoglio era conosciuto come il Papa che piace ai progressisti, che degli omosessuali diceva “chi sono io per giudicarli”. Come dobbiamo interpretare queste parole?
Intanto bisognerebbe rispondere a due domande: perché trapelano adesso? E perché ha usato quel termine, tipico di chi è nato dopo il boom, ma che non userebbe nessuno da almeno 20 anni? È vero che la Chiesa non è mai riuscita a tenere un segreto, neanche in Conclave, che il confine permeabile tra segreto e spiffero è consustanziale all’attività del Vaticano, ma credo che qualcuno abbia fatto filtrare queste parole per azzoppare il Pontefice e, soprattutto, per evidenziare i limiti della rottura di questo Papa rispetto al passato. Parte della Chiesa non ha mai digerito quella frase che Bergoglio aveva proferito sull’aereo – “chi sono io per giudicare un gay?” – perché metteva in dubbio anche la mistica della Chiesa secondo cui il Papa è giudice sopra i giudici. Ma anche quell’apertura era solo giornalistica, dal punto di vista dottrinale non è cambiato niente.
Ecco, la dottrina. L’approccio della Chiesa all’omosessualità dei prelati non è cambiato negli ultimi tempi?
Non c’è stato nessun aggiornamento, da secoli. Se si guardano i testi di dottrina, non c’è stata alcuna modifica. Nella prassi si segue la linea instaurata da Paolo VI in poi, secondo cui bisogna fare una distinzione tra la tendenza omosessuale, che di per sé non viene apertamente condannata, e la pratica dell’omosessualità. Papa Francesco si è limitato a una serie di frasi contraddittorie, senza cambiare nulla. Ma del resto la storia dell’omofobia all’interno della Chiesa affonda le radici nel lungo tempo. Nasce da Sant’Agostino.
E su che basi si fonda?
C’è un rapporto stretto tra l’omofobia e la costruzione del celibato. La lotta per il celibato è stata accompagnata da una lotta contro la sodomia, contro gli atti sessuali considerati indebiti, contro lo spreco del seme. Contro tutto ciò che alterava un’idea precisa della natura. Un concetto, quello della lotta dottrinale contro ogni pratica considerata contro natura, che era già insito nel Liber Gomorrhianus di Pier Damiani, dell’XI secolo. E che non è cambiato neanche dopo il Concilio Vaticano II. Anzi, è stato usato come una clava durante il pontificato di Ratzinger, contro ogni forma di trasformazione sociale: dalla condizione della donna nella Chiesa fino alla bioetica.
Torneremo su Ratzinger tra poco, intanto però sorge spontaneo chiedersi se da Pier Damiani a oggi sia cambiato qualcosa.
La Chiesa, dal XVIII secolo in poi, non persegue più gli omosessuali nei tribunali basati sul diritto canonico. Fino ad allora non solo l’omosessualità era considerata un peccato, ma anche un reato. Negli ultimi secoli è rimasta solo la condanna dottrinale, volta anche a colpire chi all’interno della Chiesa a volte dava scandalo. Del resto, dopo la Seconda guerra mondiale sono stati tanti gli omosessuali entrati in seminario come ‘copertura’.
Ed era un fenomeno non ignoto alla Chiesa, anzi. Ratzinger diceva che l’accesso ai seminari andava precluso solo ai giovani che “praticano l’omosessualità”. Bergoglio allude a un’estensione del divieto?
Il discorso di Ratzinger si fonda sulla differenza tra la sessualità praticata e una tendenza considerata insopprimibile. Soprattutto sulla differenza tra il peccato, che non viene accettato, e il potenziale peccatore. Tra la colpa individuale e la colpa tout court.
Però le parole di Bergoglio sembrano andare oltre. Sembrano voler dire: “Non ammettiamo nei seminari gli omosessuali”, punto. Se così fosse sarebbe un passo indietro, rispetto alla società ma anche alla prassi della Chiesa. Lo trova plausibile?
Lo trovo espressione di un’incapacità di cimentarsi con il problema. Sarebbe ipocrita intervenire in questo modo sul reclutamento dei sacerdoti. Se, con i tempi lunghissimi con cui di solito si modifica la dottrina della Chiesa, si facesse una norma in tal senso, significherebbe che l’omosessualità viene considerata più corruttiva di altri comportamenti sessuali.
I precedenti di Francesco sembravano andare in un altro senso. Oltre alla frase sull’aereo, in un documento di risposta a un dubbio di un prelato sul battesimo, diceva che era possibile battezzare un bambino portato a battesimo da genitori gay: non è una contraddizione?
È una contraddizione spiegabile con il principio che tutte le anime vanno salvate e, quindi, molto meno innovativa di quanto si possa immaginare. Per la Chiesa, ed è interessante che a fare la domanda non fosse un prelato europeo ma sudamericano, l’anima va salvata a prescindere dal modo in cui è nato il bambino.
Quella parola, “frociaggine”, resta un macigno inatteso per chi, soprattutto fuori dal Vaticano, simpatizza per questo Papa. Ma a chi si stava rivolgendo, secondo lei?
È un doppio segnale: è innanzitutto un modo per parlare a settori della società più tradizionalisti, che non lo vedono di buon occhio, ma ai quali ultimamente ha iniziato a rivolgersi. È, però, anche un monito nei confronti dell’ala destra della Chiesa, in cui spesso ci sono persone che camuffano il loro orientamento sessuale. È un implicito invito che Bergoglio rivolge loro, affinché si guardino dentro.
Che ripercussioni avrà questa sortita per il futuro?
Dipende da quale atteggiamento prevarrà nella Chiesa. Se prevarrà la tendenza a una Chiesa identitaria, conservatrice, fanatizzata e condannata a essere una piccolissima parte della società, come le chiese evangeliche, o se prevarrà la saggezza. Una saggezza che, però, dovrebbe passare da una netta rielaborazione teologica, anche sui temi dell’omosessualità, che andrebbe compiuta dal Dicastero per la Dottrina della fede. Che Bergoglio ha commissariato. L’operazione, in ogni caso, sarebbe difficile, perché la Chiesa, tra spaccature e lacerazioni, vive sempre sull’orlo di uno scisma possibile.
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Ecco come AVVENIRE (Quotidiano della Cei)
IPOCRITAMENTE
cerca di sottovalutare anche con dubbi la realtà dei fatti
RIDICOLO!!!
Le sottolineature in rosso sono mie.
Da AVVENIRE
Il tema.
I gay nei seminari, il Papa si scusa:
«Mai inteso offendere»
Redazione romana
L’espressione irrituale in occasione dell’Assemblea della Cei del 20 maggio. La Sala Stampa: Francesco ha più volte detto che nella Chiesa c’è spazio per tutti
Ha suscitato un forte clamore l’indiscrezione mediatica secondo cui nel dialogo a porte chiuse con i vescovi italiani dello scorso 20 maggio il Papa avrebbe usato un’espressione colorita per indicare la propria posizione non favorevole all’ammissione in seminario delle persone con tendenze omosessuali.
Un clamore su cui questa mattina il direttore della Sala stampa vaticana Matteo Bruni, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha detto che papa Francesco è «al corrente degli articoli usciti di recente circa una conversazione, a porte chiuse, con i vescovi della Cei». Bruni ha aggiunto: «Come il Papa ha avuto modo di affermare in più occasioni, “Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti”. Il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri».
A parlarne per primo, domenica, è stato il sito Dagospia, riportando che Francesco avrebbe fatto riferimento a un espressione gergale italiana («frociaggine»). Successivamente anche un quotidiano nella propria home page ha ripreso l’indiscrezione. E a seguire tutti gli altri. L’agenzia Ansa, nel pomeriggio di ieri, ha poi affermato che «il severo intervento del Pontefice è confermato da diverse fonti».
Nessuna delle quali, però, ufficiale, essendosi per altro l’incontro tra il Papa e i vescovi svolto a porte chiuse e con carattere informale e colloquiale.
In merito al dialogo di una settimana fa già si sapeva – e anche Avvenire ne aveva dato ampiamente conto – che il tema dei seminari e della crisi delle vocazioni in Italia era stato oggetto di più domande da parte dei vescovi durante il dialogo che aveva di fatto aperto la 79.ma Assemblea generale, essendo un tema centrale anche del Sinodo. Domande alle quali, come riferito da più parti e com’è sua abitudine, il Papa aveva risposto con cordialità e franchezza.
Ma niente era finora trapelato circa l’oggetto dell’indiscrezione. Ad ogni modo la posizione della Chiesa non è cambiata rispetto a questo tema. Si può citare a tal proposito un’istruzione del dicastero vaticano per il Clero del 2005, nel pontificato di Benedetto XVI. In quel documento c’era scritto che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».
L’istruzione è stata confermata nel 2016 con papa Francesco. L’argomento non è nuovo neanche in ambito Cei con i vescovi che stanno rivedendo la ratio formativa dei seminari stessi. E persino nei dialoghi a porte chiuse con Francesco. Nel 2018 l’allora cardinale presidente Gualtiero Bassetti fece intendere di non essere favorevole, anche sulla base della sua lunga esperienza di educatore in seminario e riferì le raccomandazioni del Papa per una oculata scelta dei candidati al sacerdozio. Nihil novi, dunque. Perché al di là dell’espressione colorita eventualmente usata, ciò che interessa da sempre al Papa e ai vescovi è ordinare sacerdoti capaci di essere “pastori con l’odore delle pecore”, e cioè preti che stanno in mezzo alla gente.
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