
www.huffingtonpost.it/
28 Maggio 2025
Che cos’era l’Italia di Adriano Olivetti?
di Antonella Tarpino
Un laboratorio di riflessioni e sperimentazioni che metteva a confronto sogni e paradossi di una civiltà industriale mentre “si pensava”, dove gli intellettuali erano chiamati a svolgere compiti decisivi nella guida dell’azienda e a diventare, dagli anni ’50, i futuri nomi più importanti della cultura italiana
Mi immergo nelle pagine della recentissima riedizione per Comunità del libro L’Italia di Adriano Olivetti di Alberto Saibene (studioso e curatore delle opere di Adriano) con un notevole conforto: per me, di famiglia olivettiana, una sorta di riconsacrazione, dopo lo stridore del “Piano Olivetti per la cultura” presentato, su iniziativa di Fratelli d’Italia, con le parole di un deputato ex Fronte della Gioventù. Un’associazione che mi è suonata stonata ripensando proprio al patrimonio ideale di Adriano Olivetti così stridente con l’Italia meloniana di questi anni (e non solo).
L’Italia di Adriano Olivetti, è vero, è stata un unicum: un laboratorio di riflessioni e sperimentazioni che mette a confronto i sogni e i paradossi di una civiltà industriale mentre “si pensa”. Dove gli intellettuali sono chiamati a svolgere compiti decisivi nella guida dell’azienda e a Ivrea confluiscono, a partire dagli anni cinquanta, i futuri nomi più importanti della cultura italiana: con i capitoli del libro dedicati a Volponi, Giudici, Fortini, Ferrarotti, Musatti, Ottieri, Gallino per citare solo i più noti… Tutti impegnati a coniugare il tema dell’industria e quello della comunità (tanto più con la fondazione di un partito, il Movimento di Comunità).
Il ricco libro di Alberto Saibene attraverso i ritratti olivettiani – con significative aggiunte e inedita presenza di donne, da Luciana Nissim ad Angela Zucconi – fa risaltare perfettamente il duplice innesto proprio dell’olivettismo: e cioè il senso fortissimo del “moderno” come missione ma insieme la critica dello stesso. Quasi anticipando, mi vien da dire, quella teoria della “modernità riflessiva” che troverà voce solo a partire dagli anni Duemila.
“In me non c’è che futuro” ricorda Saibene la frase attribuita ad Adriano cui fa riscontro la consapevolezza dei rischi che la grande fabbrica, secondo gli insegnamenti del padre Camillo, avrebbe potuto portare alla dimensione dell’umano, ai legami tradizionali, al rapporto col territorio. È una fabbrica multinazionale (il primo capitolo si intitola non a caso Il secolo americano di Adriano Olivetti) ma attenta a salvaguardare, da Ivrea a Pozzuoli, quell’equilibrio fra campagna e fabbrica che la rivoluzione industriale aveva quasi ovunque spezzato. E dove industria e morale avevano nel pensiero di Adriano lo stesso peso: così afferma Guido Piovene. Lo rivelano i principi stessi dell’Ufficio pubblicità milanese dell’Olivetti annunciati da Franco Fortini (l’inventore dei celebri nomi Lexicon e Lettera 22) per cui la missione è accompagnare chi compra, il futuro cittadino consumatore, verso “l’atto responsabile dell’acquisto”.
Innovazioni uniche, specie nel panorama italiano, che toccheranno l’apice con la ricerca nel campo dell’elettronica (già Dino Olivetti, suo fratello, nel 1952 aveva fondato la divisione elettronica Olivetti vicino a New York) e la messa a punto del primo computer costruito in Italia, l’Elea, e della P. 101, il primo desk computer al mondo. Divisione elettronica che come sappiamo verrà ceduta, negli anni successivi alla morte di Adriano, e segnerà il destino stesso dell’Olivetti.
Massima innovazione tecnologica e, insieme, fortissima attenzione (inedita per quel periodo) agli sviluppi della psicologia, non solo con l’introduzione degli psicologi in fabbrica per superare il disumano della catena di montaggio ma anche con la sperimentazione della terapia psicoanalitica grazie a personaggi come Ernst Bernhard e la scuola di Jung, sotto l’nfluenza dell’onnipresente Bobi Bazlen, fondatore tra l’altro di numerosi marchi editoriali.
Così che è stato per me emozionante ritrovare nel libro la testimonianza di Ottiero Ottieri a Pozzuoli quando, in occasione della visita di Adriano alla fabbrica, così lo descrive “diverso dal mondo che lo esprime, il mondo dei puri profitti, senza inconscio e senza stelle”.

Commenti Recenti