29 giugno 2025: TERZA DOPO PENTECOSTE
Gen 3,1-20, Rm 5,18-21; Mt 1,20b-24b
Come è stato più volte detto, l’omelia che si tiene durante la celebrazione eucaristica ha i suoi tempi che sono stretti (non oltre i dieci/dodici minuti) e ha un proprio scopo ben preciso: non è una succinta conferenza, ovvero una trattazione più o meno dogmatica, e neppure, come succede solitamente, un predicozzo moralistico. Deve volare alto. Possibilmente.
Detto questo, quando la liturgia ci propone testi come quelli della Messa di oggi, ci si chiede cosa un povero prete debba inventarsi per proporre qualche stimolante riflessione, tanto più che l’assemblea oramai è di poche anime, magari digiune di ogni conoscenza. Un tempo si presupponeva la conoscenza della Bibbia, oggi si deve partire sempre daccapo.
Con questo non intendo dire che i brani scelti siano di poco interesse, tutt’altro; ma proprio perché fondamentali si rischia di cadere nel banale. E la cosa anzitutto da fare è quella di rimetterli nel loro contesto, ma come fare in pochi minuti?
Mi limito all’essenziale. Mi faccio aiutare da un esegeta che ne sa più di me. Il primo testo è tratto dai primi 11 capitoli del libro della Genesi. Sono capitoli preziosissimi poiché indicano l’inizio ed il sorgere della vita (capp 1-2), e quindi la storia di cinque generazioni da Adamo ad Abramo (inizio del mondo ed inizio del popolo d’Israele) in cui si consuma una terribile degradazione dell’umanità, dovuta all’arroganza dell’uomo che si ribella al progetto di sviluppo e di crescita del Creatore (capp 3-11). Con il cap. 12 compare nella narrazione Abramo che inizia di nuovo il cammino sulla Parola del Signore che lo chiama.
Anzitutto la domanda: in che cosa consiste la degradazione morale? L’uomo, inteso in senso lato come essere umano, desidera innanzi tutto giungere ad una autonomia morale: diventare come Dio e decidere da solo ciò che è bene e ciò che è male. In breve, si passa all’abuso della vita e infine all’abuso del potere.
Dunque, siamo ai primi capitoli della Bibbia, i più interessanti, fondamentali, ma gli esegeti ci avvertono che queste pagine vennero raccolte dopo una parte cospicua di eventi narrati nella Bibbia. E dunque rimane una curiosità: perché si sentì il bisogno di raccogliere questi racconti? Forse perché non poteva essere sottaciuta una domanda: “Da dove il male se la creazione canta la bontà e la bellezza?”. Quindi l’intento non è quello di fare una cronistoria né di dare interpretazioni scientifiche. Ma di aprire scorci di sapienza, radunando tradizioni e racconti. Racconti. E i racconti non danno definizioni, ma suggestioni, rimandano domande. E purtroppo possono, talvolta, lasciare spazi anche a fraintendimenti. E i racconti iniziali della Bibbia sono testi che, non solo nella loro interpretazione, ma anche nell’immaginario, hanno aperto voragini di fraintendimenti.
Dunque, l’autore sacro non ha di mira il racconto in sé, ma dare un messaggio, pur nascosto in un mito, che tenda a rendere l’uomo consapevole della sua dignità di essere umano. Se vogliamo ridurre tutto in una parola, possiamo soffermarci sulla parola “spirito”, o alito di vita. Dio ha messo nell’uomo la sua stessa vita. L’uomo è divino in sé, nel suo essere interiore, nello spirito. L’identità nostra è la divinità. “Siamo”, in quanto esseri divini.
E se possiamo o dobbiamo parlare di peccato (lasciamo stare cosa è successo), il male sta nel nostro essere interiore, in quanto siamo stati colpiti nel nostro spirito. E la nostra stupidità consiste nel non capire o nel non voler capire che, se siamo messi male, è perché dentro si è spento qualcosa di divino. E, dopo millenni, siamo arrivati al punto di ritenerci composti di corpo e di psiche, dimenticando la realtà più profonda che è lo spirito. E l’imbecillità più grossa sta in una chiesa che oggi ha sostituito la spiritualità con la psicologia.
Sono rimasto di stucco quando tempo fa un Vicario generale della nostra diocesi, confermando un andamento generale, mi ha detto, quasi con soddisfazione: “I preti giovani di oggi sono accompagnati da psicologi”. Ho risposto. “Io ho avuto la fortuna di essere guidato da un autorevole Padre spirituale. Padre “spirituale”, non psicologico.
La psicologia che si ferma al mondo della psiche, dimenticando o negando la realtà dello spirito, fa danni, e non dà assolutamente benefici sperati.
Noi, quando leggiamo il racconto, tra l’altro mitico, degli effetti del peccato originale rimaniamo colpiti dai risvolti di carattere fisico: la donna partorirà con dolore, e l’uomo lavorerà sudando. Poi il progresso scientifico ha attuti per l’uomo che lavora il sudore della fronte e per la donna che partorisce i suoi dolori fisici. Tutto risolto?
E il mondo va a rotoli, per colpa di un male che è dentro l’uomo: quel male che i Mistici medievali chiamavano “amor sui”, l’amore di se stesso, di ciò che ognuno di noi ritiene “suo”, quindi un amore di appartenenza, di possesso, di appropriazione.
Il male interiore poi ha ricadute sulla nostra psiche e sul nostro corpo. I problemi psicologici o fisici non si risolvono, se non si parte dal male che è dentro di noi, quel male che è “amor sui”, ed è quell’ego che si fa dio, impone la sua dittatura, il suo impero, nel piccolo o nel grande.
L’ego confonde tutto per cui non riusciamo più a capire ciò che è bene e ciò che è male. L’ego, o amor sui, acceca l’intelletto, che da “attivo” diventa “passivo”. Che cos’è l’intelletto “attivo”? Lo diceva già il filosofo pagano Aristotele: è lo spirito che prende luce dall’Alto, ovvero da Dio. I Mistici medievali parlavano di “scintilla divina”, che è in noi ed è il nostro spirito. Già lo spirito richiama lo Spirito divino. L’intelletto puro illumina e ci fa capire ciò che è bene e ciò che è male. L’intelletto puro o attivo perciò precede la volontà: senza la luce la volontà ci fa fare cose sbagliate. Le scelte giuste si fanno nella luce, e non al buio.
Allora capiamo le parole di Cristo: “Metanoèite”, cambiate il vostro modo di pensare, ovvero: riprendetevi l’intelletto attivo, quello puro, che prende luce da Dio, Sorgente infinita di Luce.
Cristo puntava in Alto quando insegnava alle folle, con le parabole, che perciò non vanno intese come favole moralistiche, come poi farà la stessa Chiesa, nei suoi gerarchi e nei suoi preti, che daranno alle parabole una interpretazione di carattere comportamentale.
Come puoi, Vicario generale tal dei tali, dirmi che oggi i preti novelli sono accompagnati da psicologi, dimenticando la realtà dello spirito, e quell’ego da intendere come “amor sui”, capace di spegnere il nostro intelletto interiore o quella scintilla divina che è in ogni essere umano? In realtà, nessuno mai potrà del tutto spegnere l’intelletto o la scintilla divina, o la realtà dello spirito. Etty Hillesum parlava del dovere di “disseppellire Dio”, perciò del nostro dovere di riattivare la luce dell’intelletto attivo, spegnendo invece o attutendo almeno quell’ego che vorrebbe sempre riprendersi il primato.
Se stiamo bene dentro, stiamo bene anche nella psiche e nel corpo, pur immersi in un mondo che fa di tutto per seppellire Dio e la sua Luce, sotto una montagna di pietre. Basterebbe un po’ di fede pura per spostare le montagne e così disseppellire Dio e la sua Luce, come scintilla dello Spirito.
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