Omelie 2024 di don Giorgio: V^ DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
29 settembre 2024: V^ DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Dt 6,1-9; Rm 13,8-14a; Lc 10,25-37
Il primo brano è tratto dal Deuteronomio, che è il quinto e ultimo dei 5 libri (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio) che compongono il Pentateuco, parola di origine greca, composta da “pente”, cinque, e da “teuchos”, astuccio. Ogni astuccio contiene un rotolo, cioè un libro. Deuteronomio, che significa “seconda legge”, è così chiamato per l’obbligo che il re aveva di tenere presso di sé una copia della Legge (“una seconda Legge”) come guida del suo governo e della sua condotta.
Secondo gli studiosi il Deuteronomio sarebbe come una grande omelia, costituita dai discorsi che Mosè rivolge al popolo d’Israele, accampato alle steppe di Moab, in attesa di intraprendere la conquista della terra di Canaan. Gli Ebrei lo chiamano “Debarim” (“Le Parole”). I suoi 34 capitoli sono strutturati sul verbo “Ascoltare” che significa: “obbedire, praticare quanto esce dalla bocca di Dio”. Anche nel brano di oggi troviamo per due volte l’invito: “Ascolta, Israele”. Ascoltare dunque significa “obbedire”. Difatti, in latino “oboedentia” viene da “ob-audio”, “do ascolto”. Obbedire vuol dire in primo luogo prendere “sul serio” il discorso dell’altro. “Dare ascolto” è diverso che ascoltare: non coincide con il generico porgere orecchio alle chiacchiere degli altri, ma con l’assunzione delle parole dell’altro come potenzialmente normative per sé. In questo senso l’obbedire è un dipendere dalle parole che ascolto, nel senso che sono autorevoli, tanto più che, nel caso biblico, a parlare è lo stesso Dio, o il profeta in nome di Dio.
Il Deuteronomio è impostato su tre discorsi di Mosè. Mosè delinea per Israele le scelte di Dio e le scelte che il popolo deve fare perché in questa Alleanza tra Jahvè e il suo popolo ci siano pace, serenità, abbondanza di prodotti della terra e ricchezza di vita.
Ecco le parole di Mosè: «Io ti do la terra su cui abitare, ti do i comandi, le leggi e le norme, ti do la vita nei figli, tu devi mettere in pratica ciò che ti comando ed educare i tuoi figli perché con te accolgano la Legge».
Anche qui qualche chiarimento. Anche tra gli studiosi c’è chi si dimentica una cosa fondamentale, ovvero che la Bibbia è Parola di Dio, nel senso che è ispirata dallo Spirito, e lo Spirito nel rivelare il senso pieno della Parola di Dio non lo fa di colpo, ma gradualmente, per cui sono convinto che finché ci sarà questo mondo ci sarà la possibilità di scoprire nella Bibbia cose sempre nuove che alla fine comporranno il mosaico divino.
È naturale che fra i 73 libri che compongono la Bibbia (di cui 46 dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo) alcuni piacciono di più e altri di meno, ma attenzione: in ogni libro c’è la presenza di quello Spirito che sa trarre anche dai numeri o da fatti scandalosi l’aspetto positivo, perché Dio, ripetiamolo, sa trarre il bene anche dal male, un fiore anche da un deserto.
E le immagini che lo scrittore sacro usa, solitamente tratte dalla natura (parola che significa “ciò che sta per nascere”), vanno lette e magari anche solo intuite nel senso dello Spirito che ci fa passare progressivamente dal materiale allo spirituale, dal tempo strettamente storico in cui è vissuto il profeta al tempo che passa, quindi anche all’oggi, cogliendovi ciò che è l’Eterno presente.
Sì, il profeta parla anche di beni materiali, di una terra promessa, di fertilità della terra, con buoni raccolti, di un presente anche promettente e felice, ma lo Spirito ci aiuta a capire che c’è dell’Oltre, già presente, ma da cogliere con gli occhi dello Spirito. Il profeta parla di norme, di leggi, di comandamenti in senso morale, riguardanti cioè il nostro comportamento, ma lo Spirito va oltre, e ci indica che le leggi, le norme, i comandamenti (ed è quanto poi Cristo stesso farà) vanno colte nell’Intelletto, che prima illumina così da prendere poi le giuste decisioni, e le giuste decisioni saranno da rendere migliori sempre alla luce dell’intelletto, da togliere dai legami dell’ego, il cui intento perverso sta nell’offuscare l’intelletto attivo, quello illuminato dall’Alto, per sostituirlo con l’intelletto passivo, quello che subisce ogni condizionamento delle cose.
Mosè dice al popolo: «Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».
Anzitutto, da evidenziare quel “fissi nel cuore”. I precetti dovranno essere fissi nell’essere interiore, se vogliono rappresentare il Volere divino. Prima di essere messi su una carta o in documenti ufficiali i precetti vanno immersi nell’essenzialità divina. E il cuore, per gli ebrei, rappresentava la totalità dell’essere umano, anche e soprattutto nel suo aspetto intellettivo.
Mosè invita poi ricordare i precetti, che nascono prima dal cuore (non dimentichiamo che la parola “ricordare” contiene già la parola “cuore”, ricordare dunque significa richiamare nel cuore). Ma anche vanno ricordati con dei segni, che richiamino i precetti divini. I segni sono utili, così distratti come siamo, anche perché siamo fatti anche di corpo.
Mosè dice: i precetti “te li legherai alla mano come un segno, saranno come un pendaglio tra gli occhi”. L’immagine ha a che vedere con i “filatteri”, cioè astucci di cuoio con il testo dello Shema legati alla mano e sulla fronte dell’orante. Queste strisce di cuoio allacciate evocano l’immagine (“segno”) di un legame, tra Dio e l’orante. Ricordiamo le dure parole di Cristo contro gli scribi e i farisei i quali «… per essere ammirati dalla gente allargano i loro filatteri e allungano le frange” a indicare che si era perso il legame con il Divino, per la voglia di farsi notare.
“Te li legherai alla mano”: la mano nella Scrittura indica simbolicamente la capacità di agire, il potere della persona. Il legame creato con l’ascolto va dunque ad incidere sulle azioni, non rimane ad un livello astratto. “Come pendaglio tra gli occhi”: funzionano come un’indicazione, come una traccia da seguire. “Li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”: l’usanza cui fa riferimento il testo è quella di fissare sullo stipite destro della porta di ingresso un astuccio contenente la preghiera dello Shema Israel. L’usanza più anticamente attestata era quella di incidere le parole direttamente sulla pietra degli stipiti, in modo tale che fosse visibile nel momento dell’entrare e dell’uscire.
Se prima era il tempo ad essere coinvolto nell’ascolto (quando ti alzerai… quando camminerai…), adesso l’attenzione si sposta sullo spazio: dagli stipiti della casa privata a quelli delle porte pubbliche della città. In particolare, l’attenzione è posta sulla porta, cioè su quella soglia che marca il passaggio dall’interno all’esterno, dall’intimità privata alla dimensione pubblica. Per colui che ascolta, non ci sarà contraddizione tra la dimensione interna e privata e quella esterna degli affari e delle relazioni. L’ascolto della stessa parola, posta sulla “soglia”, garantisce in qualche modo la coerenza del comportamento, delle parole e delle idee in ogni ambito.
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