Qualis pater talis filius! Il giornalismo italiano mai così in basso!!!

da www.wired.it

Il caso Feltri-Boldrini

contiene tutti i paradossi del giornalismo italiano

I blog degli “ospiti”, i rapporti di parentela, il ruolo dei media: nelle ultime ore si è scatenato un dibattito che parla di politica e giornalismo, ma anche e soprattutto del nostro rapporto con l’informazione
In queste ore il palcoscenico della medialità italiana ha fatto da sfondo al dibattito su una storia piccola, una storia di giornali e delle persone che vi ruotano attorno, ma che parla del nostro sistema informativo più di quanto ci piaccia pensare. Giovedì 26 novembre l’onorevole Laura Boldrini ha fatto sapere su Facebook che un suo contributo, scritto per il blog di HuffPost, non avrebbe visto la luce a causa dell’intervento del direttore della testata Mattia Feltri, che “non ne ha autorizzato la pubblicazione”. L’articolo era stato pensato per la Giornata contro la violenza sulle donne (25 novembre) e secondo quanto riferito dalla stessa Boldrini chiamava in causa Vittorio Feltri, padre di Mattia e giornalista a sua volta, che qualche giorno prima dalle colonne di Libero aveva firmato un duro – e becero – attacco contro la vittima di stupro.
Vittorio Feltri, che di Libero è stato direttore e fondatore, aveva definito “ingenua” la ragazza di 18 anni sequestrata e violentata per ventiquattr’ore dall’imprenditore Alberto Genovese, instillando il dubbio sulla veridicità del racconto e arrivando provocatoriamente a chiedersi se “entrando nella camera da letto dell’abbiente ospite” la ragazza pensasse di “andare a recitare il rosario”. Dall’estate scorsa Vittorio Feltri non è più un membro dell’Ordine dei giornalisti e non può dunque essere soggetto ad alcuna sanzione professionale.
Poche ore dopo il post di Boldrini, è arrivata anche la versione di Mattia Feltri, che su HuffPost ha sostanzialmente confermato il racconto della deputata del Partito democratico, spiegando che l’articolo conteneva “un apprezzamento spiacevole su mio padre Vittorio” e che “al pari di ogni direttore ha facoltà di decidere cosa va sul suo giornale e cosa no. “Oltretutto l’onorevole Boldrini, come altri, su HuffPost cura il suo blog. Quindi è un’ospite” ha concluso Feltri, “E gli ospiti, in casa d’altri, devono sapere come comportarsi”. Tornando sull’accaduto, il 28 novembre Mattia Feltri ha difeso la sua scelta, chiarendo di non essere a suo agio nel commentare le vicende che riguardano il padre e che per questo non vuole che il suo giornale tratti l’argomento.
Il 27 novembre l’articolo di Boldrini è stato pubblicato integralmente da Il Manifesto, la parte che chiama in causa Vittorio Feltri è la seguente: “Si chiama victim blaming. Ed è parte, grande, del problema, rispetto a cui il ruolo dell’informazione è centrale. E mi riferisco polemicamente a quei giornali che fanno di misoginia e sessismo la propria cifra. Cosa dire del resto dell’intervento di Feltri su Libero, in cui si attribuiva la responsabilità dello stupro non all’imprenditore Genovese ma alla ragazza diciottenne vittima?”.
Partiamo da un presupposto: prima che una storia di giornali, questa è la storia di una vittima. Vittima due volte, come troppo spesso accade in questi casi, prima di una violenza fisica e psicologica e poi di un’aggressione verbale, che fa ricadere sulle sue spalle la presunta colpa di aver subito quella prima violenza. Le parole di Vittorio Feltri sono semplicemente inaccettabili, nel senso che le società umane evolute hanno sviluppato la naturale tendenza a marginalizzare posizioni così problematiche e a infliggergli uno stigma sociale, dati che queste società sono fondate sulla protezione del più debole, e non esiste soggetto più debole di una vittima. Per questo motivo condannare con nettezza le parole di Vittorio Feltri non è una presa di posizione, è l’essenza stessa delle nostre comunità.
Esplicitato l’ovvio, veniamo ai giornali. Com’è palese anche da una rapida lettura, il contributo di Laura Boldrini non conteneva alcun “apprezzamento spiacevole” e il passaggio su Vittorio Feltri era privo di riferimenti diffamatori o eccessi verbali. Non era un contenuto giornalistico, ma se lo fosse stato avrebbe superato il processo di verifica dell’accuratezza in qualsiasi redazione del mondo. Come ha spiegato lo stesso Mattia Feltri, la decisione di non pubblicare le parole di Laura Boldrini è stata dunque puramente personale e slegata da ogni criterio giornalistico. Nel suo ruolo di direttore responsabile, Mattia Feltri ha tutto il diritto di decidere come sarà il suo giornale, cosa pubblicare e cosa no, che voce dargli. Il problema semmai è di opportunità.
Come ha scritto su Twitter il direttore del Foglio Claudio Cerasa, i giornali non sono buche delle lettere. Ed è vero, ma la premessa necessaria è che i giornali non dovrebbero essere costruiti per esserlo. Fin dalla sua nascita, nel settembre 2012, HuffPost si è presentato come un ibrido tra blog e testata giornalistica, che sull’impronta del corrispettivo americano dedicava ampio spazio ai contributi esterni, relegati in una sezione a parte ma spesso e volentieri promossi in apertura di homepage, a corredo dei pezzi principali.
I blogger che scrivono per HuffPost non sono pagati per farlo (particolare che destò non poche polemiche al momento del lancio) e non producono contenuti giornalistici. Per questo motivo la policy della testata specifica che “opinioni e altre dichiarazioni espresse dagli utenti e da terze parti (ad es., i blogger) appartengono solamente a loro e non rappresentano le opinioni di The Huffington Post. I contenuti creati da terzi sono unica responsabilità di tali terze parti e la loro accuratezza o completezza non sono avallate o garantite”. La responsabilità (penale, morale, di immagine) dei contenuti pubblicati dai blogger non è insomma del direttore responsabile, che non ne garantisce l’accuratezza pur essendo pubblicati su una testata giornalistica. L’esempio perfetto di “buca delle lettere” applicato al giornalismo.
Laura Boldrini e centinaia di altri blogger prestano il loro lavoro gratis ad HuffPost, che da parte sua utilizza i click prodotti da quegli articoli per vendere spazi pubblicitari agli inserzionisti sul web. Ma mentre Laura Boldrini, ex presidentessa della Camera, ha fama e seguito per veicolare i suoi scritti attraverso altri canali, la maggior parte dei blogger di HuffPost scrivono per pura visibilità. Non meritano di essere definiti “ospiti” che “devono sapere come comportarsi”.
Quanto all’opportunità di bloccare la pubblicazione di contenuti per motivi strettamente personali, non esistono risposte facili e gran parte del dibattito passa da una sola domanda: che ruolo vogliamo per il giornalismo nelle nostre società? Si può lecitamente pensare che giornalismo sia semplicemente dare la notizia e che non abbia responsabilità sul mondo che contribuisce a modellare. In questo senso la decisione di Mattia Feltri è solo la scelta di un figlio che non desidera fare i conti con la figura di un padre troppo ingombrante e con cui spesso è in disaccordo.
Oppure si può pensare che il giornalismo sia parte integrante delle nostre vite e che i mezzi d’informazione siano costruttori di significato, in grado di guidarci nella comprensione di un mondo complesso. E allora è giusta la scelta dei network americani che hanno interrotto la diretta in cui Trump denunciava brogli inesistenti ed è sbagliata quella dei giornali italiani, che nel marzo scorso avevano pubblicato la bozza del dpcm che istituiva la zona rossa in Lombardia, incuranti delle possibili conseguenze sull’ordine pubblico. In questo secondo caso Mattia Feltri è solo un professionista dell’informazione, che ha abdicato al ruolo di spiegare ai suoi lettori quanto faccia male a tutti un giornalista che usa il suo giornale per rinfacciare a una vittima di essere stata una vittima.
***
da Il Manifesto
EDITORIALE

La gogna mediatica

alimentata dal dibattito pubblico

Violenza maschile. Pubblichiamo l’intervento dell’ex presidente della Camera che il direttore dell’Huffington Post Mattia Feltri ha rifiutato di pubblicare per via di un riferimento critico a Vittorio Feltri, suo padre
Laura Boldrini
27.11.2020
Ringrazio il manifesto per la disponibilità a pubblicare l’intervento che avevo scritto in occasione della giornata del 25 novembre per il blog sull’Huffington post. Intervento che il direttore Mattia Feltri ha rifiutato di pubblicare per via di un riferimento critico a Vittorio Feltri, suo padre.
Una maestra di Torino le cui immagini intime destinate al fidanzato sono state fatte circolare dallo stesso, una volta diventato ex, provocandone il licenziamento dalla scuola, dopo essere stata esposta al pubblico ludibrio di un’intera comunità.
Una diciottenne sequestrata e stuprata da un noto imprenditore nel suo attico di Milano, riuscita a scappare in strada salvandosi così, probabilmente, anche la vita. Un uomo che tenta di uccidere la moglie e la suocera, gravissime ora in un letto di ospedale, e che prova a suicidarsi prima di venire arrestato. Questo è successo solo negli ultimi giorni.
Ho ripercorso la cronaca perché dobbiamo aver chiaro di cosa stiamo parlando: la violenza degli uomini sulle donne è una strage quotidiana. Una «violazione dei diritti umani», l’ha definita in passato il presidente Mattarella, centrando in pieno la gravità della questione: quella di uno sfregio inferto a tutta la società e alla democrazia.
Ne celebriamo la Giornata di contrasto voluta dall’Onu, ricordandone tutte le forme di manifestazione: da quella fisica a quella psicologica, dal femminicidio allo stupro, dalla violenza domestica allo stalking, dalla molestia all’odio in rete.
Snoccioliamo dati, come sempre allarmanti. Ricordiamo le vittime, come sempre addolorati. Parliamo delle leggi, come sempre più convinti della loro bontà. Tutto giusto, tutto vero, tutto sincero. Ma restiamo, come sempre e ancora oggi, in difetto rispetto alla sfida più grande: realizzare una rivoluzione culturale, un cambio della mentalità collettiva, a partire dalla parità fra i sessi, in particolare fin dall’educazione delle bambine e dei bambini.
Quando dico rivoluzione culturale e cambio di mentalità intendo in tutti gli ambiti, ma veramente in tutti. Anche nella narrazione che sui media viene fatta della violenza di genere.
Ed anche qui la cronaca, purtroppo, ci dice molto.
Lo ha denunciato bene e con coraggio Chiara Ferragni, influencer con 22 milioni di follower il cui contributo può essere prezioso per mandare un messaggio chiaro di libertà e rispetto, soprattutto alle più giovani.
C’è sempre un sottinteso nella narrazione, anzi spesso una palese e volontaria ricostruzione di particolari che finiscono con lo spostare il peso della colpa dalla vittima all’aggressore: «era ubriaca», «era vestita in modo provocante», «lui era geloso», «erano noti i problemi della coppia», «era una escort». Come ci fosse una giustificazione per un crimine in chi se ne macchia, come ci fosse, soprattutto, una colpa da parte di chi lo subisce.
Si chiama victim blaming. Ed è parte, grande, del problema, rispetto a cui il ruolo dell’informazione è centrale. E mi riferisco polemicamente a quei giornali che fanno di misoginia e sessismo la propria cifra. Cosa dire del resto dell’intervento di Feltri su Libero, in cui si attribuiva la responsabilità dello stupro non all’imprenditore Genovese ma alla ragazza diciottenne vittima?
Purtroppo il sessismo, che alimenta la misoginia, è presente in ogni ambiente del nostro Paese e si manifesta in tante forme anche in quelle del linguaggio. Un sessismo radicato che viene giustificato e minimizzato come goliardia.
Un grande fraintendimento, questo, che sottende il peggiore dei pregiudizi: quello di dare scarsa considerazione alla dignità della donna, che cerca di sminuirne facoltà e capacità.
Ma il sessismo non è goliardia, è l’anticamera della violenza: ti dico ciò che voglio, ti sminuisco come mi pare e piace perché tu non vali niente, dunque di te posso fare ciò che voglio.
Questo accade in famiglia, sui posti di lavoro a tante, tantissime donne di fronte a questi atteggiamenti lesivi così come di fronte a battuta a sfondo sessuale si trovano a disagio ma abbozzano.
Nel dibattito pubblico stiamo toccando il fondo: esponenti politici che augurano lo stupro alle avversarie o che le insultano usando il peggiore sessismo; parlamentari che si rivolgono con espressioni volgari alle loro colleghe solo per avere seguito sui social. Alimentare la gogna mediatica contro le donne che hanno un profilo pubblico non è normale, è una degenerazione.
Non dobbiamo abituarci a questa deriva. Tali modalità violente hanno un obbiettivo: espellere le donne dalla sfera pubblica, istituzionale e politica. Perché? Per consolidare il potere maschile. E tanto più le donne si fanno strada, tanto più aumenta questa spinta opposta e contraria alla loro tenacia di avanzamento e realizzazione.
Serve dunque fare ancora molta strada, serve un radicale cambiamento culturale che testimoni un cambio di mentalità in ogni ambito della nostra società ancora troppo ancorata a millenni di patriarcato. In ballo c’è l’evoluzione del nostro Paese e la sostanza della nostra democrazia.
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Qui la replica del direttore dell’HuffPost Italia Mattia Feltri

e il comunicato della redazione sulla vicenda

2 Commenti

  1. Luigi Sirtori ha detto:

    Ricordo la nascita con l’annuncio della seconda figlia e le reazioni telefoniche della mamma e del suocero: “Ancora una femmina!”. Ci rimasi male. Ricordo la gioia del papà con la prima. Ci aveva lasciato qualche giorno prima della nascita. La mia compagna di vita ed gli abbiamo dato il suo nome al femminile. Era un credente non religioso. Al contrario la mamma e i suoceri religiosi cattolici. La misoginia nei religiosi cattolici non c’è solo negli uomini. C’è un termine dialettale usato da entrambi come disprezzo: “Purcuna” (maialona). Chi non ricorda la bestemmia: “Porco Dio” che quando la diceva il papà la ritenevo una preghiera. Perchè la dignità delle donne è calpestata? Perchè è parte della religiosità italiana dura a morire. Misogino per eccellenza è padre Livio Fanzaga feroce con la Cirinnà e mieloso con Salvini, come lo era Carlo Giovanardi, deputato DC. Chi invece offriva una valutazione positiva della donna, rispetto a quella negativa di Aristotele ed Esiodo, era Socrate: “Per essere un buon amante un uomo deve saper aspettare, far crescere il desiderio nella donna e mantenerlo proporzionato al suo.” Che lezione per la maggioranza degli italiani che si credono grandi amatori e che poi reagiscono con ogni forma brutale di violenza. E’ questo essere uomo? Quando si ama veramente una donna? Quando la si ama per quello che è e non per quello che ha. Quando la relazione è alla pari. E’ l’Essere e non l’Avere che tiene unita la coppia. Per quanto riguarda i Feltri. Caro Mattia è la “Morte” del Padre (Freud) che fa crescere.

  2. Giuseppe ha detto:

    Per qualcuno la parola “maschio” è con ogni evidenza sinonimo di padrone. E quando (sempre più spesso) si verificano soprusi sulle donne da parte degli “uomini” è gioco facile per loro trovare giustificazioni nell’atteggiamento, nel modo di vestirsi e di familiarizzare delle donne, le quali oltretutto, in una certa concezione che ha trovato spazio anche nella chiesa cattolica sono per definizione identificate come tentatrici…

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