da Il Corriere della Sera
Beccaria,
il cappellano Don Burgio:
«I ragazzi non ce la fanno più,
chiedono farmaci per calmarsi o dormire»
di Elisabetta Andreis
Parla il fondatore della comunità Kayros di Vimodrone e cappellano del Beccaria
Sembra che l’obiettivo primario di tutti sia, adesso, calmarli. Ma non li calmi, se non dai loro la prospettiva di potersi costruire giorno dopo giorno un futuro che a loro piace e interessa». Don Claudio Burgio, fondatore della comunità Kayros di Vimodrone e cappellano del Beccaria, ieri pomeriggio usciva sconsolato dall’Ipm di Milano dove si fronteggiava un’altra giornata di forti tensioni dopo la fuga di sette ragazzi e i disordini che sono seguiti.
Com’è la situazione?
«Alcuni ragazzi non ce la fanno più, pensano di non avere niente da perdere, sono provocatori a livello verbale, temono nuovi trasferimenti in carceri lontane. Spesso alla richiesta di farmaci per calmarsi o dormire la notte si acconsente ma anche la medicalizzazione, se diventa eccessiva, è un rischio: quando escono e tornano a casa o in comunità sostituiscono gli ansiolitici con le sostanze, pericolose a maggior ragione in presenza di disagi psichici. Dovrebbero riprendere a questo proposito laboratori trasversali e incisivi che informino sui danni dell’alterazione artificiale. I problemi sono molti, bisogna affrontarli uno ad uno con coraggio e spirito positivo, insieme a loro»
La detenzione, a maggior ragione per i minori, dovrebbe essere l’estrema ratio…
«Proprio così, ma il sistema fuori fa acqua. Non ci sono abbastanza comunità strutturate al punto da voler accogliere i casi difficili. Servono figure adulte con grande esperienza e predisposizione ma gli educatori sono pochi sia al Beccaria sia fuori».
In istituto penitenziario il minore dovrebbe sperimentare la possibilità di una vita diversa. Succede così?
«Non proprio. Il carcere è l’ultimo presidio totalitario, un sistema dove per definizione si reprime la libertà. Un luogo di violenza, dunque. In particolare mettere un adolescente, pur autore di reato, dietro le sbarre troppe ore al giorno è contro natura. Il rischio è l’effetto stigmatizzante che rafforza l’identità criminale. Oggi, quando sono andato via, battevano tutti contro i blindi, un rumore assordante. Per evitare che la violenza prenda il sopravvento bisogna che i ragazzi non avvertano il Beccaria come luogo solo di reclusione ma che lo vivano come un ambiente formativo costruito per loro: solo così investiranno su se stessi».
Lo scorso agosto c’è stato quell’episodio terribile venuto a galla, il ragazzo ferocemente abusato e picchiato in cella. È un’eccezione?
«Il bullismo che ha portato i ragazzi in carcere si ritrova spesso anche nelle celle e in particolare la prima accoglienza deve essere monitorata attentamente perché i rischi che si replichino certe dinamiche è molto alta».
Come sono le giornate di quei ragazzi?
«Troppo vuote, in particolare nei periodi di vacanza. Le attività, soprattutto dopo il Covid, sono state ridotte e si svolgono quasi solo all’interno delle sezioni, per la paura e la fatica organizzativa di trasferire in sicurezza e gestire gruppi di giovani in cortile o in palestra e teatro, luoghi peraltro ristrutturati e bellissimi che è un peccato non utilizzare con regolarità. Gli agenti sostengono uno sforzo enorme ma cosa deve succedere perché il ministero capisca che serve rafforzare l’organico e dare più stabilità al personale in continuo turnover?».
Che cosa non si riesce a organizzare regolarmente?
«Ad esempio allenamenti e partite di calcio e rugby o partite con esterni, come invece si faceva prima. L’osmosi tra dentro e fuori è oltremodo salutare, appoggio con stima l’idea della direttrice Maria Vittoria Menenti di creare una pizzeria interna. Servono aziende che investano in stage e tirocini: i ragazzi imparerebbero un mestiere e inizierebbero a guadagnare qualcosa con l’idea che iniziano a diventare grandi e dunque più responsabili».
Dico e scrivo quello che penso: è lo stesso sangue! Che la Meloni abbassi le ali! Io ho avuto un padre giusto, e me ne vanto. Ho preso da lui. La Meloni è una poveretta, si vede a quale famiglia appartiene.
Può sembrare duro quanto detto da don Giorgio, ma tutti abbiamo ereditato qualcosa dai nostri genitori non solo nell’aspetto fisico ma e soprattutto, nel nostro sangue.
Ci sono aspetti positivi altri meno da migliorare o addirittura ribaltare in meglio. L’educazione che si riceve è inoltre molto importante, da bambini si è molto recettivi, nel bene e nel male.
Nel momento in cui si inizia a conoscere se stessi, quando si rientra dentro di noi, allora certe cose si capiscono.