Eccellenza, un po’ di rispetto…

Eccellenza, un po’ di rispetto…

Anzitutto Le vorrei ricordare che è “rispetto” la parola dell’anno nel 2024 per la Treccani. È stata scelta dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana “per la sua estrema attualità e rilevanza sociale”. Lo stesso Dizionario dell’italiano Treccani definisce il rispetto come un “sentimento e atteggiamento di stima, attenzione, riguardo verso una persona, un’istituzione, una cultura, che si può esprimere con azioni o parole”.
Lei, di rimando, potrebbe obiettarmi che anche io Le ho più volte mancato di rispetto, e tuttora la contesti anche duramente. Ma c’è una differenza, che ho sempre chiarito, anche nei tribunali, per difendermi da alcune assurde querele di giornalisti e di politici, ed è che se me la prendo con un gerarca o un uomo o donna potente lo faccio senza toccare la persona in sé (solo Dio può giudicare!), ma il ruolo di chi dovrebbe difendere il bene comune o del gregge, e non lo fa, o lo fa in un modo che mi sembra poco corretto o poco evangelico.
Ieri sera, sabato 27 dicembre, ore 19 circa, il parroco della Comunità pastorale S. Antonio Abate, dove risiedo fisicamente (da 11 anni chiuso in casa), ma da cui, in quanto comunità pastorale, mi è stato tolto ogni legame vitale, ignorato perfino dai preti locali – ero già a letto (vado a letto solitamente molto presto, perché ogni mattina mi alzo prestissimo) – mi ha fatto avere in casa una confezione di biscotti, con due lettere di accompagnamento.
Ogni dono, anche se formale, ovvero quando arriva in occasioni in cui per forza bisogna essere “buonisti”, è sempre una opportunità di grazia, da cogliere al di là di ogni forma ipocrita.
Perciò, non me la sono presa neppure per il ritardo, due giorni dopo il Natale: si sa come vanno le cose in una grossa diocesi, in cui tutto rallenta a causa di ingranaggi talora poco oleati.
Ora però capisco la spontaneità della visita in casa, avvenuta settimana fa, del Vicario episcopale di Zona, monsignor Gianni Cesena: al di là delle previsioni e di alcuni dubbi da parte dello stesso Vicario (forse temeva una mia reazione di chiusura!), il colloquio è stato cordialissimo e costruttivo.
Ripeto, ogni dono, che arrivi anche fuori tempo o avesse anche qualche facciata formale per non dire ipocrita, va colto come gesto di riconciliazione, tanto più che siamo appena entrati nell’anno giubilare.
Ma… ciò che mi ha amareggiato fortemente è stato lo scritto di accompagnamento del Vescovo Mario Delpini.
Nulla da dire dell’altra lettera di accompagnamento, scritta da monsignor Ivano Valagussa, Vicario episcopale per la Formazione del Clero milanese. Certo, anche questa una lettera generica, quasi anonima, ma che cosa pretendere da una Diocesi tanto grossa da trattare i preti, malati e di una certa età, come numeri che contano poco o nulla ai fini pastorali? Ma anche qui, una volta dicevano che il difetto sta sempre nel manico.
Ma veniamo alla lettera del “Vescovo Mario”, come lo chiamano i suoi devoti. Premetto subito che sulla confezione dei biscotti c’è questa scritta personale, già di per sé almeno sollazzevole stile Delpini:

Ecco la lettera:

Forse la parola “vecchio” sa già di dispregiativo, poco “rispettoso” dell’età di chi ha vissuto una vita a servire una Diocesi mettendo in campo le energie migliori. Una parola di ringraziamento, no, vescovo Delpini? E che cosa, ora “vecchio”, dovrei provare leggendo invece certe insinuazioni per il fatto che, essendo “vecchio”, potrebbero tornare antiche passioni, o quel lamentarci, proprio da “vecchi” brontoloni, a cui non ne va bene una?
Avrei preferito, altro che una confezione di biscottini, magari una bella delicata immaginetta con una preghiera particolare per il Giubileo, per la conversione anzitutto di una Chiesa gerarchica che mette da parte i preti “vecchi”, per pensare ai carcerati (che ossessione, mio Dio!), magari dimenticando altri carcerati, ad opera di vescovi che lasciano preti chiusi in casa per anni e anni?
Questo è il Giubileo del vescovo Delpini, il quale aprirà le porte, e quali?, per tenere chiuse altre, che sono sotto gli occhi di tutti?
Da ultimo, vorrei dire, chiaramente – è sempre stato il mio stile pastorale e non solo pastorale – che non me la prendo mai per questioni puramente personali: mi metto sempre nei panni di chi soffre per ingiustizie, e non ha la capacità di reagire e di lottare.
Altra occasione persa, vescovo Delpini, sì altra occasione di Grazia, di quella Grazia che non ha tempi stabiliti dalla gerarchia della Chiesa istituzionale che apre fisicamente porte e ne chiude altre che dovrebbero sempre essere aperte, perché la Grazia di Dio possa germinare secondo le leggi dello Spirito.
Posso aspettarmi un chiarimento? No, non pretendo scuse, sarebbe troppo, e impossibile per un gerarca che non si rispecchia mai nella Grazia illuminante di Dio.

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