29 dicembre 2024: NELL’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE
Pr 8,22-31; Col 1,13b.15-20; Gv 1,1-14
Noi preti, davanti ai brani difficili della Bibbia, che la Liturgia talora ci ripropone, preferiamo sorvolare, con omelie così generiche da dire ben poco di interessante e di stimolante. Solitamente ci rifugiamo nella solita omelia moraleggiante, magari di pessimo gusto.
In questi giorni natalizi c’è un brano che sembra perseguitarci, obbligandoci a dirne almeno qualcosa. Già l’ho detto: quando la Messa era ancora in latino, al termine anche di ogni Messa feriale, il celebrante leggeva (talora biascicandolo velocemente, tanto la gente non capiva!) in ginocchio, davanti al tabernacolo, prima di andare in sacrestia, il Prologo di Giovanni. Mi ricordo benissimo che sull’altare, davanti alla porticina del tabernacolo, c’era una tabella, di solito dentro una cornice talora artistica, detta “cartagloria”, che riportava il testo in latino.
Poi, dopo il Concilio Vaticano II, con la Messa in lingua italiana, tutto è sparito, e ancora oggi fatichiamo gli stessi giorni di Natale a spiegare alla gente il senso di una pagina che fa da ouverture al Quarto Vangelo. Ouverture in cui, come per il musicista, l’evangelista Giovanni ha anticipato i temi principali del Vangelo.
Dico subito che per dire qualcosa sul brano del Vangelo, che riporta i 14 versetti del Prologo, non si può non tener conto del primo brano, che riporta una famosa pagina sulla personificazione della Sapienza, nella sua idealità femminile.
Partirei da qualche riflessione di don Angelo Casati, prete milanese, che ho sempre stimato per la sua capacità di farci riflettere usando anche un linguaggio lirico, come del resto sapeva fare Gesù il Logos, che è entrato nella storia in punta di piedi, proprio per la sua realtà eternamente spirituale.
La prima parola del Prologo è “In principio”, in greco Ἐν ἀρχῇ. Commenta don Angelo: «Non so se ci affatica o se ci incanta questo puntare oggi degli occhi al più lontano che si può, per fare poi ritorno al più vicino che si può. Puntare gli occhi al più lontano nel tempo. E che cosa sta all’origine? E non è la domanda degli scienziati, che pure è legittima e degna di stima. Ma la domanda di coloro che cercano un senso o si chiedono se ci sia un senso. Un senso o una insensatezza? A volte ci sembra di essere osservatori, fermi al retro di un arazzo, un groviglio di fili: ognuno un filo con la sua vita, con la sensazione – càpita – di essere fuori posto, ma con il brivido di essere abbracciato a un altro filo. A chiederci se c’è un disegno. Ecco perché i pensieri corrono all’origine, all’“in principio”, all’“arché”, che significa origine”.
Don Angelo ora si aggancia al primo brano, che parla della Sapienza personificata in una donna ideale, uscita dal Mistero trinitario.
Ecco le parole di don Angelo: «E il cuore è come se riprendesse a pulsare quando legge di una Sapienza che sta dall’“in principio”, prima dello snodarsi delle cose; non l’insensatezza, ma la Sapienza. Così raccontava oggi il brano del libro dei Proverbi: “La Sapienza grida: Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra”. È la condizione perché anch’io metta il mio piccolo filo. Ma ancora ho trovato scritto che la Sapienza non solo faceva tutt’uno con Dio, ma racconta “Ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo”. Qualcuno ha scritto: “In principio era la gioia”. Dio per noi ha in mente la gioia, l’armonia, la felicità. Peccato che a volte sia passata l’idea di una religione che mortifica e mette pesi, e non di una fede che si premura, come il suo Dio, di far sorridere tutti, tutto: ti voglio bene, voglio che i tuoi occhi sorridano, portare il sorriso. Anche il prologo del Vangelo di Giovanni oggi ci riconduceva all’“in principio”, e raccontava: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. Bellissimo che si inizi dal Verbo, dalla Parola, e non da un silenzio muto che ti raggela: sei salvo se sguscia una parola che già in sé porta segno di voglia di comunicare. All’inizio di tutto sta la voglia di comunicare di Dio, come una grande luce, una immensa luce, all’inizio un mare di luce».
Vorrei aggiungere. Che bello quando si parla di luce! Ci si apre alla luce, quando cieli chiusi si squarciano per lasciare spazio a qualche raggio di sole. Sembra di rinascere.
Don Angelo continua: «E poi è detto… “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. Pensate, nulla che non porti in sé una traccia del divino – ma ci pensate? – nulla di quanto c’è oggi, nulla di quanto ci fu dal primo battere del mondo ad oggi, nessuna donna, e nessun uomo, e – che so io? – nessuna formica, nessuna goccia d’acqua, nessun filo d’erba, nessuna polvere di stelle, nessun popolo del mondo, nessuna religione, nessuna cultura, nulla di quanto oggi vedrai uscendo da questa chiesa. Vedrai l’anima del mondo. Pensate, se le scrivessimo sulle pareti di casa queste parole, se le incidessimo sulle pareti dell’anima? “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. Dal più lontano al più vicino, perché ora mi si accende l’altra parola del prologo di Giovanni: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. O – se volete, nella versione più letterale – “e mise la sua tenda in mezzo a noi”. Si fece carne, quasi la carne fosse il punto estremo del suo desiderio di comunicare con noi. Che siamo carne, siamo storia, siamo volto, parliamo con parole e con il volto, ci esprimiamo con scoppi di riso e con il silenzio del pianto, siamo mani che lavorano e mani che si fanno dono per una carezza, occhi che scrutano o anche occhi che sono semplicemente fessure di bellezza, siamo corpo e attesa di profumo, di vino e di abbracci…».
Vorrei aggiungere: bisogna stare attenti, c’è anche il rischio di cadere in una esaltazione del corpo per il fatto che diciamo che il Verbo si è fatto carne. Ma il corpo, ogni corpo, ha un’anima che lo rende bello o, se volete, lo rende divino. È l’anima, ovvero lo spirito che dal di dentro emana quella luce divina, tutti hanno dentro una scintilla divina, che fa sì che il corpo prenda la sua armonia, che dunque non è solo fisica o puramente estetica, che è sempre soggetta al tempo che mette le rughe, ma ogni corpo deve trasmettere la bellezza dell’anima interiore.
Il Prologo non poteva chiudersi senza parlare di grazia e di verità. La Grazia è ogni dono divino, che per la sua natura è gratuita. Siamo partiti dal Logos, eterna Sapienza, per parlare poi di Luce, di Vita, di carne, il tutto e sempre nella verità che è Grazia.
Forse dire semplicemente Grazia è già dire tutto del mondo del Divino, ovvero di quell’Unico Bene Necessario, da cui emana quell’eterno infinito voler bene di un Dio che ama in Se stesso le sue creature.
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