dal Corriere della Sera
di Danilo Taino| 24 marzo 2023
Le armi per gli ucraini che muoiono anche per noi sono armi per fermare il fascismo di Putin e per impedire che si propaghi. Va detto agli italiani
Un Paese fascista alle porte sarebbe una tragedia e una minaccia mortale per l’Europa e per le società europee. Il dibattito italiano, sempre più acceso, sulle armi che servono a difendere l’Ucraina dovrebbe tenere conto delle conseguenze che avrebbe anche solo una semi-vittoria di Mosca. Perché la realtà triste è che Putin ha trasformato la Russia in un Paese che ha ormai praticamente tutte le caratteristiche che ne fanno una Nazione fascista. Il leader del Cremlino ha solo una possibilità di non perdere: che glielo permettiamo noi. È per questo che è importante sapere quali conseguenze drammatiche avrebbe un successo anche parziale della sua aggressione.
Una definizione scientifica di fascismo non esiste. Ma tutti possono concordare su alcune caratteristiche che i regimi di quel tipo hanno. Non ci sono elezioni libere. La repressione dei dissidenti e la soppressione del diritto di critica sono la regola. Lo Stato è di polizia. Tutte le istituzioni sono controllate dal potere politico. Esiste il culto del leader. Si propaga il mito del passato glorioso della Nazione. Si usa l’idea di famiglia tradizionale per emarginare il diverso. Ma poi i figli di queste famiglie vengono gettati in guerra con le scarpe di cartone, come carne da cannone. Si esalta il culto della morte. Si organizzano aggressioni di conquista verso altri Paesi. Si inventano simboli per incutere terrore, siano la svastica oppure la lettera Z. Si individua un nemico, necessario per giustificare ogni azione del regime: loro contro di noi. Sono caratteristiche che calzano perfettamente alla Russia di Putin. Con un’aggiunta: è egli stesso a inventarsi un nemico nazista, in modo da dimostrarsi erede delle glorie dell’Unione Sovietica. Ma non sono le parole della propaganda a cambiare la realtà: oggi, Vladimir Vladimirovich guida un regime fascista. Non a caso è incriminato per crimini di guerra dal Tribunale Internazionale dell’Aia.
Se in qualche modo avesse la meglio in Ucraina, per le democrazie di tutto il mondo, soprattutto per quelle europee, si aprirebbero anni, forse decenni, di buio. Ogni movimento illiberale si sentirebbe rafforzato. Visto quello che è successo all’Ucraina, parti forse non indifferenti delle opinioni pubbliche sarebbero disposte a non opporsi alle minacce che sicuramente Mosca farebbe, rassicurata nella sua politica aggressiva: «meglio sottomessi che morti» sarebbe una frase che corre. La libertà di mercato soccomberebbe per essere sostituita da un soffocante dirigismo di Stato. Alcuni Paesi geograficamente più vicini alla Russia — e per questo oggi antirussi — verrebbero in poco tempo minacciati direttamente: i tre Stati baltici, la Polonia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, probabilmente la Finlandia. Non invasioni, che forse non sarebbero nemmeno più necessarie al Cremlino, ma pressioni economiche, pesanti campagne di disinformazione e di sabotaggio.
E, in altri Paesi europei, finanziamenti alle forze antidemocratiche, campagne di propaganda fino a provocazioni per destabilizzare. Inoltre, forse soprattutto, campagne per rompere la compattezza della Nato e lasciare l’Europa vulnerabile come non lo è da decenni. Terreni sui quali Putin troverebbe quasi certamente il sostegno potente della Cina di Xi Jinping. La Ue difficilmente resisterebbe a qualcosa del genere. Sette decenni di integrazione e di crescita democratica, oltre che economica, correrebbero l’alto rischio di terminare. I litigi intraeuropei prolifererebbero. Più di un Paese si troverebbe solo e isolato. Come affronterebbe una pressione del genere il debole e spesso disorientato quadro politico italiano? Resisterebbe alle minacce e alle blandizie di Mosca e Pechino? Al bastone e alla carota che diventerebbero la regola delle relazioni internazionali?
Il quadro a tinte nere delineato può essere considerato esagerato. Non tutto necessariamente si realizzerebbe nel modo descritto. È però certo che un Paese fascista vincente e a quel punto potente ai cancelli dell’Europa provocherebbe una crisi esistenziale delle democrazie europee e delle istituzioni che si sono date. Distruggerebbe modelli di vita di intere società. E metterebbe sottosopra il quadro politico in un numero non piccolo di Paesi: certamente in Italia, probabilmente nella stessa Francia e forse nella Germania sempre attratta dalla Russia; i Paesi dell’ex blocco sovietico tremerebbero.
Soprattutto, però, Putin ha mostrato tutta la sua inconsistenza e debolezza e lo scenario da notte oscura si realizzerà solo se noi lo permettiamo. I partiti italiani farebbero bene ad alzare il livello del loro dibattito e a interrogarsi su cosa significa, concretamente, dire che siamo a una curva decisiva della Storia. Le armi per gli ucraini che muoiono anche per noi sono armi per fermare il fascismo di Putin e per impedire che si propaghi. Va detto agli italiani.
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dal Corriere della Sera
La pace delle dittature,tentazione pericolosa
di Beppe Severgnini| 25 marzo 2023
La Russia – grande nazione sfortunata – è finita nelle mani di un despota. Dissenso criminalizzato, media schiacciati, oppositori eliminati, culto del leader, improvvisate guerre di conquista: cos’è il fascismo, se non questo?
Mi ha colpito, nel periodo appena trascorso a Londra, quanto poco si discuta dell’Ucraina. Sui giornali, in televisione, in pubblico, a cena con amici. Non perché non interessi. Perché, in fondo, c’è poco da dire: il Paese è stato aggredito dalla Russia, e va aiutato. È nell’interesse dell’Europa libera, di cui il Regno Unito fa parte. Così l’Italia, anche se a volte sembra dimenticarsene.
Ci sono persone che non vogliono capire: abbandonare Kiev non è un modo per togliersi una preoccupazione, ma la via per aggiungerne di nuove. La Russia – grande nazione sfortunata – è finita nelle mani di un despota. Dissenso criminalizzato, media schiacciati, oppositori eliminati, culto del leader, improvvisate guerre di conquista: cos’è il fascismo, se non questo?, ha scritto ieri Danilo Taino sul Corriere.
Se Vladimir Putin inghiotte l’Ucraina, poi a chi tocca? Oppure vogliamo sperare che, trovando campo libero, si fermerà al Donbass? Ci siamo già dimenticati il tentativo di prendere Kiev, tredici mesi fa? Se non è riuscito, è perché gli ucraini si sono difesi.
Oppure vogliamo credere che alcuni Paesi Nato verranno trattati con più riguardo, se abbandoneranno l’Ucraina? Nessuno vuole la guerra, ma ascoltare Giuseppe Conte in Parlamento mentre invoca «uno sforzo diplomatico» fa venire il latte alle ginocchia. Ha idea, l’avvocato-leader dei Cinque Stelle, di quanti siano gli sforzi diplomatici – da Berlino a Brasilia, da Bruxelles a New York, da Roma a Pechino (forse) – per trovare una via d’uscita? L’impressione è che Conte insista sullo «sforzo diplomatico» perché dire soltanto «basta armi all’Ucraina!» sembra un po’ cinico. Perfino a lui.
Eppure, state a vedere: questa posizione guadagnerà terreno. E metterà in difficoltà Giorgia Meloni, la cui conversione europea è ammirevole e sorprendente in egual misura. Perché tanti connazionali onesti giochicchiano con le parole e sembrano pronti ad abbandonare l’Ucraina al suo destino? Perché pensano, sotto sotto, che la pace della dittatura sia meglio della resistenza della democrazia. Meno rischiosa, più rassicurante.
Errore madornale. Sperare nella clemenza dei tiranni non è soltanto umiliante. È incosciente.
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