L’EDITORIALE
di don Giorgio
Pasqua e Resistenza
Dire Mistero pasquale è dire nella sua realtà essenziale: passione, morte e risurrezione di Cristo. Era questo, solo questo, l’annuncio evangelico (“kerigma” in greco) degli apostoli nei primi tempi della Cristianesimo.
Già la parola “pasqua”, in ebraico “pesach”, significa “passaggio”, e per il popolo eletto ricordava il “passare oltre” dell’angelo sterminatore, alla vista degli stipiti delle porte degli ebrei, schiavi in Egitto, marchiati con il sangue di un agnello.
Quindi, tutto opera del Dio liberatore, che chiedeva dal suo popolo solo un segno di riconoscimento e di fede.
In greco πάσχω significa “io soffro”, da cui il termine πάθος, pathos, sofferenza.
Chiariti i termini, possiamo fare qualche riflessione.
Non possiamo non partire dal Mistero di un Dio liberatore e di un Dio che si è fatto carne per morire su una croce. Per gi ebrei Dio era solo un liberatore vincente, non potevano accettare (uno “scandalo” come ha detto San Paolo) un Messia sofferente e apparentemente perdente.
Sì, è scandaloso, una “follia” (come per i greci di allora, come ha scritto ancora Paolo) che un Dio fosse sottoposto a una condanna di morte. Eppure proprio qui, nello scandalo e nella follia della Croce, sta l’essenza del Cristianesimo, ma il tutto nella sua più radicale positività.
Abituati come siamo alla logica del successo, del vincere ad ogni costo, del predominio del più forte, o, diciamo meglio, dell’eroe che vince sempre, la Croce la riteniamo una sconfitta, una delusione, un fallimento: è inaccettabile semplicemente l’idea un Dio che si fa condannare dal più forte.
E noi credenti ci salviamo dicendo che la Pasqua è il passaggio dalla morte alla vita; questo è vero, ma come intendere questo passaggio: un passaggio pur doloroso che si risolve nel trionfo del bene?
Già dire che è un passaggio doloroso è già capire qualcosa del Mistero pasquale: Cristo è risorto dopo aver patito le “pene dell’inferno”, e questo lo vediamo solo come atto di solidarietà con il soffrire umano, e ci fermiamo qui, come se fosse un ininterrotto venerdì santo. La gente viene numerosa ancora oggi in chiesa, anche miscredenti e non più praticanti, a baciare il Cristo crocifisso, e ho visto alcuni piangere, e poi la notte del Sabato santo troppo pochi partecipano all’annuncio della Risurrezione. Un fenomeno “strano”, che mi ha sempre fatto riflettere come prete di parrocchia.
Eppure, ripeto, il Mistero pasquale è l’annuncio, ancora oggi, della passione, morte e risurrezione, un trio di parole inscindibili tra loro.
Non c’è risurrezione se prima non si soffre e si muore. Qui sta il Mistero di Dio. E in questo mistero bisogna credere. Già i Mistici (dire “già” è tardivo in confronto a secoli e secoli di poca lucidità di una Chiesa alle prese con il potere umano), avevano intuito dove sta il segreto della passione e della morte, come distacco radicale dalla carnalità opprimente lo spirito. A soffrire è la psiche e il corpo, come è stato per lo stesso Gesù di Nazaret, ma lo spirito non soffre, casomai si vede tolto quello spazio così da non permettere al Divino di rigenerarsi nell’essere umano.
Ma vorrei insistere su un altro aspetto, che richiama una attualità sconcertante.
Cristo nel suo ministero pubblico mai aveva indietreggiato davanti agli inganni del Maligno, tanto “intelligente” da incarnarsi nella mente dei detentori del potere anche religioso.
E non dimentichiamo che Cristo, se talora sembrava fuggisse davanti ai tentativi dei capi giudei di ucciderlo, era solo perché non era ancora giunta la sua Ora, l’Ora stabilita dal Disegno del Padre. E fuggiva anche davanti alle folle che volevano farlo re.
Quando oggi parliamo di resistenza ci poniamo su un piano ancora carnale: è chiaro che occorre resistere anche fisicamente al male, ma senza una forza non tanto morale quanto interiore ogni resistenza regge, e, diciamolo apertamente, i veri resistenti sono gli spiriti liberi.
La storia della Chiesa migliore è fatta dai martiri e dagli spiriti liberi, e chi sono i martiri se non coloro che hanno resistito fino a dare il proprio sangue per una causa che non poteva essere compromessa con rese o negoziati. Nessun santo in quanto tale ha ceduto al male e ai suoi artefici.
E questo vale in ogni campo, anche per quel senso di giustizia, che non va sostituita da un pacifismo becero e diplomatico. E lo ripeto: si resiste anche fisicamente, ma perché dentro c’è una forza vitale da vincere ogni potere o super potere.
E i giovani di che cosa hanno bisogno soprattutto oggi? Di testimoni di valori eterni, pronti a dare radicalmente la vita, senza scendere ad alcun compromesso.
La pace senza la giustizia non sta in piedi, o meglio non è pace. Qualcuno mi dirà che le prime parole del Risorto rivolte ai discepoli sono state: “Pace a voi!”. Ma i discepoli in quel momento non avevano bisogno di sentir parlare di giustizia, anche se poi diranno, tramite l’apostolo Pietro, davanti al popolo ebraico: «Voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino» (At 3,14). Gli apostoli erano chiusi in casa, pieni di paura per i capi giudei che avevano appena fatto uccidere il loro Maestro, e il Maestro appare loro risorto per dire: “Sono qui con voi vivo più che mai!”.
E il Risorto in realtà quale pace aveva promesso ai discepoli? Se tra i beati ci saranno anche i pacifici, ovvero gli operatori della pace, Cristo dirà anche: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi, per causa mia». Operare per la pace significa allora resistere al male, opporsi al maligno, senza cedere mai, senza mai alzare bandiera bianca, senza venire a patti col Diavolo.
La qualità specifica del credente è la resistenza, ovvero contribuire con il Risorto a realizzare il Disegno del Padre in questo mondo, con una lotta a oltranza fino a quando resterà anche una sola zolla nelle mani del Maligno.
Se dobbiamo analizzare tutta la storia millenaria della Chiesa, possiamo dire che si è trattato di un ininterrotto intreccio tra il Bene e il Maligno: una storia drammatica per persecuzioni causate all’interno della stessa Chiesa da parte di gerarchi ottusi e ciechi, e al di fuori della Chiesa, da parte dei suoi nemici. Lotte interne e lotte esterne.
Una storia millenaria di resistenza da parte dei fedelissimi alla Chiesa radicale di Cristo, senza sconti neppure in nome di una obbedienza o di rispetto per il vicario di Cristo stesso sulla terra. Vale anche per la gerarchia ecclesiastica ciò che disse Pietro ai capi ebrei: “Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato».
30 marzo 2024
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