Omelie 2018 di don Giorgio NELL’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE

30 dicembre 2018: NELL’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE
Pr 8,22-31; Col 1,15-20; Gv 1-14
Due brani del tutto speciali
Il primo e il terzo brano della Messa meriterebbero una speciale attenzione: un’attenzione che richiederebbe a sua volta un’approfondita esegesi.
Ma ciò ci porterebbe lontano. L’omelia liturgica, infatti, anche per il poco tempo a sua disposizione, non ha intenti del tipo istruttivo o scolastico/catechistico, ma del tipo meditativo e riflessivo, avente lo scopo di stimolare, risvegliando la coscienza dei credenti alla scoperta del mondo dello Spirito nella interiorità del loro essere.
Certo, di fronte al primo brano che parla della Sapienza, come personificazione divina, e di fronte al terzo brano che parla del Figlio di Dio come Logos che s’incarna, non si può rimanere del tutto indifferenti, e metterli quasi in una parentesi chiusa, giustificandosi dicendo che sono troppo “difficili” da comprendere: ecco perché sarebbe necessaria una previa esegesi.
Ma anche se non avessimo una particolare cultura biblica, non per questo non potremmo almeno intuire che nei testi citati ci sia qualcosa di straordinario: e ciò dovrebbe far scaturire il desiderio che qualcuno, che ne sappia più di noi, ci suggerisca almeno qualcosa, togliendo qualche velo ad una parola ispirata che si rivela sotto immagini e linguaggi forse troppo enigmatici o, meglio, troppo allegorici. D’altronde, Dio non può rivelarsi, se non tramite analogie che richiedono gli occhi dello spirito.
La Parola: anzitutto è Saggezza
Ed ecco la parola enigmatica o allegorica: la Sapienza del primo brano che poi, nel Prologo del quarto Vangelo, diventa in greco Logos, in latino Verbum, in italiano Parola.
Nel primo brano, la Sapienza viene descritta quasi come una regina o una dea, ripiena di saggezza che parla, gesticola, si muove e chiede di essere ascoltata.
La Sapienza, qui descritta, non ha nulla di astratto, ma si presenta come una persona, che ha un messaggio da comunicare; dunque, è anche una maestra, che ha qualcosa di importante da annunciare. Ma a chi si rivolge? Non tanto ai capi, ma alle folle.
Ecco perché si reca all’«incrocio delle strade», «presso le porte della città», il luogo del mercato, in cui si rende giustizia, là dove la gente s’incontra e gli uomini vivono in società. A differenza della meretrice, descritta nel capitolo precedente come una donna che seduce con parole lusinghiere e ingannevoli, la Sapienza parla in modo schietto, senza raggiri, nelle piazze, davanti a tutti. Vorrebbe, anzitutto, consigliare i giovani inesperti, allertare gli ingenui, facile preda dell’inganno, per riportarli sulla via della verità e della giustizia.
Qui si potrebbe inserire qualche considerazione, che riguarda la società attuale, anche nel suo aspetto politico e religioso. Possiamo chiederci: oggi chi prevale, la Sapienza o la meretrice che sembra invadere ogni angolo, pur di ingannare gli allocchi?
In fondo, ogni populismo, sia politico che religioso, è una forma di meretricio. Ecco perché, oggi più che mai, in una società che è vittima di un aberrante populismo, occorre dare ascolto alla voce della Sapienza, che grida, ma che nessuno ascolta; consiglia per il meglio, ma la mandria va a pascolare là dove c’è il peggio del peggio.
Siamo un po’ tutti accecati dalle luci psichedeliche di una musica di sirene allettanti. Tuttavia, c’è ancora speranza di aprire gli occhi agli ingenui, ai giovani inesperti, ai ciechi?  Credo che tentare qualcosa non solo sia possibile, ma doveroso.
Torniamo al primo brano della Messa. È un inno, anzi un auto-inno dal momento che la Sapienza celebra se stessa. La prima cosa da evidenziare è questa: la Sapienza era accanto a Dio quando egli creava il mondo. Possiamo dire che la Sapienza era nella mente del Creatore come suo progetto.
Tuttavia, ecco il secondo aspetto: proprio perché la Sapienza è il progetto voluto da Dio nella creazione, la Sapienza è presente nella realtà dell’uomo e dell’universo, in quanto progetto che si realizza. Quindi, la Sapienza è anche con noi, in noi e nel mondo.
Ecco i due volti della Sapienza: rappresenta Dio, è Dio stesso, ma è anche in mezzo a noi, sempre disponibile a realizzare il disegno di Dio sul mondo, e sempre disponibile a riportare le cose nella loro armonia.
Il Logos
Ora sembra più facile passare al terzo brano, che è il Prologo del Vangelo di Giovanni, dove si parla di Logos, un termine greco che richiama la Sapienza. Il Figlio di Dio, il Logos come lo chiama Giovanni, si è fatto carne, è venuto tra noi. Come la Sapienza descritta dall’autore del libro dei Proverbi.
Non posso spiegarvi il testo, perché sarebbe troppo complicato e richiederebbe troppo tempo. Mi limito a proporvi ciò che ha scritto Sant’Agostino.
«A quale scopo sono risuonate le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio? Anche noi, quando parliamo, diciamo delle parole. Forse che a tali parole è simile il Verbo che è presso Dio? Le parole che noi pronunciamo percuotono l’aria, e poi si disperdono. Vuol dire che anche il Verbo di Dio ha cessato di esistere non appena è stato pronunciato? In che senso allora tutto è stato fatto per mezzo di lui e niente senza di lui? Come può essere da lui governato ciò che per mezzo di lui fu creato, se il Verbo non è che un suono che passa? Qual Verbo è, allora, questo che viene pronunciato e non passa?».
Agostino propone un’interpretazione sorprendente delle parole di Giovanni. Il Verbum è descritto come quella parola che resta anche dopo essere stata pronunciata. La Parola è la parola di ognuno di noi, quando questa sgorga dallo spirito di chi la pronuncia. È la parola profondamente pensata, carica di vita interiore e che intimamente si dirige all’altro. Ascoltiamo ancora S. Agostino che dice:
«La vostra Carità presti attenzione: si tratta di una cosa sublime. A forza di parlare, le parole perdono valore: risuonano, passano, e non sembrano altro che parole. C’è però anche nell’uomo una parola che rimane dentro: il suono solo, infatti, esce dalla bocca. È la parola che viene pronunciata autenticamente nello spirito, quella che tu percepisci attraverso il suono, ma che non si identifica col suono».
Basterebbe intuire almeno questo: cerchiamo di cogliere la Sapienza di Dio che è la voce dello spirito. È dentro di noi, e non fuori di noi. Fuori di noi ci sono soltanto parole sciocche che passano come il vento che le spazza via.

1 Commento

  1. Paolo Raffaldi ha detto:

    Ennesima Omelia di grande respiro, che appare lontana da questi tempi barbari eppure ad un tempo così attuale. Abbiamo bisogno di questo livello di riflessione per tornare in noi stessi. Grazie a Don Giorgio.

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