Omelie 2021 di don Giorgio: SACRA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE

31 gennaio 2021: S. FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE
Is 45,14-17; Eb 2,11-17; Lc 2,41-52
I quattro Vangeli
Sappiamo che il Vangelo (parola che significa Buona Novella o Buona Notizia o Bella Novità), prima di essere stato messo per iscritto, è stato predicato a voce dagli Apostoli, testimoni oculari del Gesù di Nazaret. Il primo annuncio (in greco kerigma) era: Gesù ha patito, è stato crocifisso, ed è risorto. Ecco il Mistero pasquale in tutta la sua essenzialità.
Inizialmente non interessavano né la nascita di Gesù e tanto meno la sua vita privata a Nazaret, durata circa trent’anni, e neppure ciò che Gesù aveva detto e aveva fatto durante il suo ministero pubblico.
Questo all’inizio. Poi, solo successivamente, a mano a mano che gli anni passavano, forse anche stimolati dalle domande dei primi credenti, gli Apostoli hanno iniziato a narrare i detti e i fatti del Gesù di Nazaret, tenendo conto della composizione delle prime comunità cristiane: c’erano convertiti dal giudaismo e c’erano convertiti dal paganesimo. Solo più tardi, si è parlato anche dei primi anni della vita di Gesù. Poi è successo che si è sentito l’esigenza di mettere per iscritto il Vangelo, in quattro versioni, a partire da Marco, poi Matteo, poi Luca e infine Giovanni.
Solo Matteo e Luca hanno parlato dell’infanzia di Gesù. Pochi racconti, non tutti da prendere in senso letterale. Pensate al racconto dei magi.
Il racconto di Luca
Il racconto, riportato solo da Luca, che riguarda Gesù dodicenne, è l’unico che noi conosciamo della vita privata o nascosta di Gesù. Un racconto che ritengo fondamentale, da leggere però con attenzione, al di là della cronaca, che può anche suscitare delle curiosità fuori posto.
Il cuore del racconto è la risposta di Gesù alle parole della madre: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
Facciamo subito notare la priorità della figura della madre. Già questo, ovvero che sia la donna a parlare, e non il marito, è significativo. Lasciamo da parte la figura di Giuseppe, solo padre putativo, Maria parla come madre e come donna. Chiede al figlio spiegazioni sul suo “strano” comportamento, con una punta di rimprovero.
Potrebbe sembrare paradossale che Maria non avesse capito le esigenze di Gesù come Figlio di Dio. Non l’aveva generato nello Spirito santo? Dunque, come poteva ritenerlo solo nella sua carnalità, come se fosse un figlio qualsiasi nato da un rapporto carnale tra un uomo e una donna? Una incomprensione che sarà presente anche e soprattutto durante il ministero pubblico di Gesù. Come non ricordare l’episodio narrato dai tre evangelisti sinottici (Marco, Matteo e Luca)? Marco addirittura scrive: Gesù «entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: “È fuori di sé!”». Poco dopo, lo stesso evangelista scrive: «Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: “Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano”. Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». (Mc 3,20-21.31-35)
Dobbiamo, dunque, pensare a un rapporto conflittuale tra Gesù e sua Madre? E come non ricordare l’episodio di Cana di Galilea?
Ma, anche se sarebbe veramente interessante approfondire lo stato d’animo di Maria nei riguardi di Gesù nel suo operato e in particolare nella sua scelta di morire su una croce (tra parentesi, che dire invece del rapporto tra Gesù e un’altra donna, Maria di Magdala, la sua preferita, a cui Gesù ha confidato con maggior intesa mistica il suo segreto di Logos incarnato per compiere il volere del Padre?), la cosa centrale del brano di Luca è la risposta di Gesù dodicenne al rimprovero di sua madre: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Già quel “non sapevate” è un contro-rimprovero. Come a dire: “Almeno tu, madre, dovresti sapere che mio Padre è lo stesso Dio, al quale devo obbedire in quanto Sommo Bene!”.
Obbedire al Sommo Bene mette in secondo piano i beni relativi, come i genitori naturali, ai quali si presta obbedienza, ma solo se sono espressioni del Bene Assoluto. I genitori non possono esigere obbedienza come se loro fossero i detentori di un bene proprio. Il volere dei genitori è relativo al Bene Assoluto. Nel caso contrario, non meritano obbedienza.
Ciò che fa specie nel racconto evangelico è l’età di Gesù: a dodici anni, rivendica la propria autonomia, in nome di un Bene Assoluto.
L’età non conta. Anzi, già i piccoli andrebbero educati a una certa autonomia, quando si tratta del loro mondo interiore. Forse bisognerebbe ripristinare il senso originario della parola “educazione”. Educare deriva dal latino “e-ducere”, ovvero “trarre da”. Quindi, non imporre ai figli qualcosa dal di fuori, ma aiutare i figli a riscoprire il tesoro che hanno dentro di loro. Oggi i genitori non fanno che imporre ai figli il loro modo di vedere, non rispettano le loro risorse spirituali, li costringono ad essere carnali in una società carnale, dando loro tutto un mondo di cose inutili, che sono di ostacolo alla vera crescita interiore dei figli.
L’autonomia interiore dei figli va rispettata, anzi promossa, sollecitata, accompagnata con grande delicatezza, prudenza, fede in quel Dio che è il Sommo Bene.
Chissà perché certe autonomie rivendicate dai figli vengono giudicate ”ribellioni” da reprimere, mentre certe alienazioni vengono giudicate come progresso, e non ci si accorge che così si consegna il figlio nelle braccia di una società trita-tutto.
La finale del brano di Luca è davvero qualcosa di stupendo. Poche righe che dicono tutto.
“E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
Possiamo star qui delle ore a spiegare che cos’è la sapienza e la grazia. E poi magari riusciremmo a dire poco o niente.
Certe parole, come sapienza e grazia, vanno lasciate parlare da sole dentro di noi, e allora sentiremmo vibrazioni particolari. Sapienza e Grazia sono due qualità divine.
È Dio che ci parla. Si cresce solo scendendo dentro di noi, per incontrare il mondo del Divino. Il bambino da solo non ce la fa, tocca a noi adulti creare attorno a lui le disposizioni ideali perché egli possa crescere in età, sapienza e grazia.

1 Commento

  1. Grazie!!!!!da meditare e soprattutto da assimilare.

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