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30 Maggio 2023
Cara Meloni, anche meno.
Non si governa con solitarie celebrazioni,
striscianti intimidazioni, orgogliose occupazioni
di Elio Vito
Ci sono elementi preoccupanti per la nostra democrazia, per l’atteggiamento di questa destra. Non ci resta che scriverne e parlarne, dove è possibile, per come si può. E si deve.
Ventisette minuti di diretta televisiva nazionale per il comizio di chiusura della campagna elettorale a Catania di Giorgia Meloni e dei suoi alleati, interviste in prima pagina e a tutta pagina la domenica del voto sui principali quotidiani nazionali e locali per Meloni ed esponenti del suo partito. E ancora, nei giorni precedenti, immagini in tutti i telegiornali e in tutte le trasmissioni di Meloni al G7, mano nella mano con Joe Biden. E poi, in Emilia-Romagna per l’alluvione, rientro anticipato e pubblicizzato di 12 ore, senza telecamere e giornalisti al seguito, ma con il fido addetto alla propria comunicazione che fa filmati da Istitvto Lvce, esclusivi e quindi trasmessi ovunque perché gli unici di Meloni con gli stivali nel fango, Meloni tra la ggente, con un sostenitore che la acclama, un viceministro che la accompagna con lo sguardo vigile, che sceglie le zone protette da visitare, altro che quel pasticcio della conferenza stampa di Cutro. E il giorno dopo, Consiglio dei Ministri appositamente convocato per approvare un decreto legge che non c’è ancora per stanziare ben due miliardi per gli alluvionati, come mai nessuno prima aveva fatto, si autocelebra Meloni. Poi, ancora, giro in elicottero con Ursula von der Leyen sulle zone alluvionate, per chiedere soldi e un occhio di riguardo alla evidentemente non più perfida Europa, perché la pacchia, per l’Italia, di soldi ricevuti e non spesi, non è finita e non deve finire. Infine, incontro con i giornalisti per rivendicare, di nuovo, i due miliardi due, stanziati con il decreto legge che non c’è ancora e guai, sguardo truce, a chi fa domande scomode, tipo quella di non nominare come commissario per la ricostruzione il presidente della Regione interessata dall’alluvione, perché di sinistra.
Ecco, provate voi, a non vincerle le elezioni amministrative, amministrative per ora, dopo una campagna elettorale così, condotta in solitaria celebrazione di Meloni e della destra al governo.
Certo, gli avversari hanno dato il loro bel contributo alla loro sconfitta, divisi, litigiosi, rassegnati. Anche se si è visto qualche spunto interessante per possibili futuri diversi e mondi alternativi (alleanza vincente Pd-Lega a Trapani e Altamura, Italia Viva organicamente con la destra-destra a Velletri e altrove). Ma, francamente, cosa fa la sinistra, e il centro se esistesse, non ci riguarda, o perlomeno non riguarda me, mentre cosa succede alla nostra democrazia ci riguarda, riguarda tutti, eccome.
E oltre al monopolio della informazione e della comunicazione governativa, ci sono da registrare, di preoccupante per la nostra democrazia, le intimidazioni e le minacce di provvedimenti esemplari nei confronti di chi si oppone, anche se non se ne vedono, e nei confronti di chi fa semplicemente il proprio dovere, facendo osservare i ritardi, le responsabilità, gli errori del governo. Così, querele ai giornalisti, botte, denunce e arresti ai contestatori e ai manifestanti, limitazioni dei poteri alla Corte dei Conti, zittiti pure i propri presidenti di Regione che si erano permessi di dichiarare senza essere autorizzati, persino la ridicola presunzione di poter intimidire il capo dello Stato brandendo l’arma impropria del presidenzialismo. E preoccupa per la nostra democrazia l’assuefazione a un uso distorto del potere e delle istituzioni non solo con decreti legge, voti di fiducia, provvedimenti omnibus, ma anche con una commissione parlamentare d’inchiesta contro la gestione della pandemia da parte dei precedenti governi (e non delle Regioni governate dal centrodestra). E preoccupa per la nostra democrazia soprattutto il crescente astensionismo, elettori e cittadini rassegnati e sfiduciati, che non vanno più a votare, che pagano le tasse e si sentono dire dal presidente del Consiglio in campagna elettorale che sbagliano, che quello è pizzo di Stato, e lo dice a Catania, in Sicilia, dove i commercianti il pizzo lo pagano davvero, ma alla mafia.
Se questo di chi non vota più, di chi non va più a votare, di chi ormai non ci crede più, al rito del voto, dell’esercizio della partecipazione è a ben vedere il principale problema democratico, è un problema che non interessa a chi vince le elezioni proprio grazie all’astensionismo. La maggioranza degli italiani non va a votare, un astensionismo crescente che non preoccupa, perché non impedisce di vincere, anzi aiuta a vincere. Ed è pure un problema democratico se chi vince le elezioni non lo fa poi per governare, ma lo fa solo per occupare il potere, tutto il potere. E lo rivendica pure, tronfio, spudoratamente, in prima pagina sui giornali, proprio la domenica del voto. Rivendicare, in prima pagina, la domenica del voto, come si è detto, che il potere spetta tutto a loro, ma tutto tutto, perché hanno vinto le elezioni, anche se sono, per ora, minoranza nel Paese, pone una grande, enorme questione democratica. Perché vincere le elezioni vuol dire dover governare, risolvere problemi, non occupare. Ed in democrazia è chi vince le elezioni, chi governa che deve avere il senso e il rispetto del proprio limite, di non oltrepassarlo, di non poter prendere tutto, perché tutto, in democrazia, siamo noi, anche chi ha votato diversamente da chi ha vinto, anche chi non ha votato. Ma non è questa, oggi, la democrazia liberale, la democrazia parlamentare, la democrazia ideale, che stiamo vivendo. È il tempo in cui, tutto diventa democratico, pure vincere le elezioni in Turchia, pure mettere (da dieci anni, è la giustificazione ma in realtà è un’aggravante) pali che richiamano le forche nell’ambasciata iraniana a Roma. E allora è democratica pure la vittoria alle elezioni amministrative di questa destra che occupa tutto, vuole vincere facile, senza avversari e magari in futuro anche senza elettori. Non ci resta che piangere? No, non ci resta che scriverne e parlarne, dove è possibile, per come si può. E si deve.
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