31 dicembre 2017: NELL’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE
Pr 8,22-31; Col 1,13b.15-20; Gv 1,1-14
La Sapienza
Il primo brano della Messa, che fa parte del libro dei Proverbi, è forse una tra le più belle pagine della Bibbia: altamente lirica, al cui confronto tanti poeti del passato e recenti sembrano solo delle ombre.
Ogniqualvolta leggo e rileggo questa pagina, sento dentro di me vibrare qualcosa di nobile che mi eleva, al di là di una società che sembra camminare con la testa all’ingiù e ragionare con i piedi.
Oggi vi sembra “normale” ad esempio parlare di sapienza che governa il mondo? Non è forse quel lusso o quel di più da lasciare ai mistici o ai filosofi, che non hanno nulla da fare?
La Sapienza personificata
Il primo brano non parla solo di sapienza, quasi fosse una delle tante virtù che rendono nobile l’uomo, ma mette in scena la Sapienza come fosse una persona: già donna che collabora con Dio nel creare il mondo e nel governarlo, o appena fanciulla che gioca con le bellezze create da Dio.
Dunque, la Sapienza personificata sta prima del mondo, all’inizio del mondo: come consigliera al fianco del Creatore, addirittura come un “architetto-artigiano-capomastro” che segue i lavori e vi partecipa. In ogni fase, ogni giorno è la delizia di Dio e ne condivide la gioia, come una spensierata ragazzina che si diverte.
In ogni cosa c’è un senso da scoprire
Qualcuno dirà: “Bella poesia, solo poesia! La realtà è un’altra!”. Certo, la realtà sembra un’altra: noi, esseri umani, siamo riusciti a rendere brutto anche il bello, a distruggere o coprire in ogni realtà quel significato profondo, che è il riflesso della bellezza divina.
Possiamo però scoprire, con meraviglia inesausta, le tracce dell’intelligenza divina nelle cose del mondo. Ma ad una condizione: che sappiamo usare la nostra intelligenza o, meglio, riattivare quella scintilla divina che è in ognuno di noi.
C’è un rapporto profondo, direi inscindibile, tra la sapienza divina e l’intelligenza umana. Ma quanti oggi usano l’intelligenza che fa parte del nostro spirito interiore? Come si può allora scoprire quel senso profondo che è in ogni cosa creata?
Solo la Sapienza divina, di cui il nostro intelletto è una scintilla, possiede e può donare il significato ultimo delle cose. Se non si vede o non si scopre questo senso ultimo delle cose è perché non si usa la propria intelligenza: si rimane fuori del proprio essere interiore, vediamo le cose da estranei, da alieni, in superficie.
Il modo con cui abbiamo vissuto il mistero natalizio, passando di colpo a festeggiare il passaggio da un anno all’altro non è forse la prova del nostro agire da alieni? Anche il tempo è una creatura di Dio, ma che cos’è il tempo per noi credenti?
È tempo di grazia, per cui il tempo vive già qualcosa di eterno o di divino, oppure il tempo è un contenitore di cose consumate, per cui si crede che, voltando pagina, il contenitore si svuoti per essere pronto a riempirsi di nuovo di cose e di cose, e così via?
Il Prologo di Giovanni
Il terzo brano della Messa riporta il Prologo di Giovanni.
Tra parentesi. Quando la Messa era ancora in latino, prima della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, il celebrante, al termine di ogni Messa feriale, in ginocchio davanti all’altare, recitava il Prologo di Giovanni, che era riportato su una tabella o cartagloria, che era sempre posta davanti al tabernacolo. Ogni prete lo sapeva a memoria. Ora sembra messo nel dimenticatoio.
Certo, è un brano che gli studiosi ritengono di difficile interpretazione, anche per far capire quanto loro siano importanti. Ma il guaio è che nessuno di loro è riuscito ancora a mettersi d’accordo nel farci veramente amare un testo che ha un suo fascino tutto divino.
Il problema sta nell’intendere il senso del termine greco Logos, tradotto in latino come “Verbum” e in italiano come “Parola”. Ma dire “Logos” e dire “Parola” non è la stessa cosa. Il termine greco “Logos” richiama qualcosa di più profondo, che si avvicina di più al Mistero di Dio.
In ogni caso, possiamo almeno intuire che c’è un collegamento tra “Logos” e la Sapienza personificata del Libro dei Proverbi. Il “Logos”, dunque, andrebbe meglio tradotto come Sapienza divina. La Sapienza richiama l’Intelletto, l’Intelletto richiama lo Spirito, il quale non parla, ma casomai, come ha scritto San Paolo, emette gemiti inesprimibili, gemiti che richiamano quelli di una partoriente. Infatti, è nello Spirito che avviene la nuova rigenerazione. Ed è nello Spirito che possiamo cogliere il senso dei gemiti di un creato che, come scrive ancora Paolo, è in perenne gestazione.
“Tutto è stato fatto per mezzo di lui…”
Per agganciarmi ancora alla Sapienza personificata del libro dei Proverbi, vorrei soffermarmi sulle parole del Prologo, quando Giovanni scrive: ”Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”.
Commenta don Angelo Casati: «Stupefacente. Ma non so se ci crediamo. Se crediamo che in tutto c’è un seme del Verbo creatore. O se, per non censurare la Scrittura sacra, diciamo: “È poesia”. Mi sembra di capire che “in nuce” (ovvero, “in embrione”, “in abbozzo”, “in progetto”) in ogni cosa viva un frammento dell’Architetto, del Verbo creatore. Che certo attende di trovare forma, con la collaborazione di ciascuno di noi. Dunque, tutto, tutti, tutto ha un senso. Nessuno escluso, niente escluso. Mi ritorna alla mente una scena indimenticabile tenerissima di un film “La strada”, uno dei primi di Federico Fellini, una scena ricca di tenerezza e poesia, quando a una Gelsomina che sconsolata non sa dare senso e importanza alcuna alla sua vita, il Matto dice: “Il Padre Eterno che sa tutto, quando nasci, quando muori, chi può saperlo… Non so a cosa serve questo sasso, ma a qualcosa deve servire. Perché se questo è inutile, allora è inutile tutto… anche le stelle. Almeno, credo. E anche tu. Anche tu servi a qualcosa… Ognuno di noi, ogni uomo e ogni donna, ogni essere vivente. Come è bello ed emozionante pensarlo! Ognuno di noi come argilla che custodisce questo soffio, questo soffio della Parola di Dio, che ci ha suscitati».
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